le CHIESE di GENOVA


(the Genoese churches, les églises génoises, las iglesias genoveses, as igrejas genoveses, Генуэзских церквей, ジェノヴァの教会, 热那亚教堂, وجنوة الكنائس) 


Le chiese disseminate nel centro storico di Genova raccontano la storia di antiche casate nobiliari, di ordini religiosi secolari e della Chiesa, impersonificata dagli abitanti di Genova,  a partire dal diciassettesimo secolo, nella figura di Maria protettrice della città raffigurata anche nelle monete cittadine: 

SERENISSIMAE REIPUBBLICAE GENUENSIS
REGINA ATQUE PATRONA ACCLAMATA
DIE XXV MARTH MDCXXXVII

Questa epigrafe è posta alla base di una statua raffigurante la Madonna e ricorda la Sua elezione a Regina di Genova avvenuta il 25 marzo 1637, giorno nel quale la città Genova elesse la Vergine a propria Regina e si pose sotto la Sua protezione. 
In questa pagina, strutturata come una lunga passeggiata che parte da San Giovanni di Prè, Vi porterò nelle più belle chiese che ancora oggi trovano posto nei vicoli della Superba e in altre di cui abbiamo solo una lapide in ricordo o qualche antico scritto.
Non aspettatevi però una dettagliata guida di tutte le chiese che descriverò: alcuni paragrafi saranno dedicati a quelle più conosciute dei vicoli, di cui Vi darò solo una breve descrizione, mentre in altri mi soffermerò più dettagliatamente su quegli aspetti poco conosciuti che più mi hanno incuriosito nella mia ricerca e su quelle chiese sconosciute ai più o scomparse a causa delle guerre e della scelleratezza degli uomini.
Di alcune chiese infine troverete per il momento solo qualche foto: in attesa di aver tempo di descrivervele, godetevi qualche immagine!

INDICE
1. San Giovanni di Prè
2. San Sisto
3. San Vittore
4. Sant'Antonio a Prè
5. San Carlo (poi Santi Vittore e Carlo)
6. Santi Gerolamo e Francesco Saverio
7. Santissima Annunziata del Vastato
8. Santa Fede
9. Santa Sabina
10. Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese
11. Sant'Agnese
12. San Bernardo dell'Olivella
13. San Bartolomeo dell'Olivella
14. San Nicolosio
15. Monastero della Santissima Annunciazione e della Santissima Incarnazione (più conosciuto come monastero delle Monache Turchine)
16. San Filippo
17. San Marcellino
18. San Pancrazio
19. San Siro
20. San Luca
21. San Francesco di Castelletto
22. Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani
23. San Matteo
24. San Domenico
25. Sant'Andrea
26. Gesù e dei Santi Ambrogio e Andrea
27. San Donato
28. San Bernardo
29. San Lorenzo
30. Santissimo Nome di Maria e degli Angeli Custodi (detta anche "Chiesa delle Scuole Pie") 
31. San Paolo (in Campetto)
32. Santa Maria delle Vigne
33. San Pietro in Banchi
34. San Marco al Molo
35. San Giorgio
36. San Torpete
37. Santi Cosma e Damiano
38. Santa Maria delle Grazie
39. Santa Maria di Castello
40. Santa Maria in Passione
41. Santa Maria delle Grazie la Nuova
42. Santa Croce
43. San Silvestro
44. San Salvatore
45. Sant'Agostino
46. SS. Madre di Dio
47. Santa Maria dei Servi
48. Santa Maria Assunta
49. Santa Maria in Via Lata
50. Santa Margherita della Rocchetta
51. San Giacomo Maggiore
52. Cappuccine
53. Sant'Antonio
54. Santa Chiara
55. Conservatorio delle Figlie di San Bernardo
56. Sant'Ignazio
57. San Leonardo
58. N.S. del Rimedio
59. Santo Stefano
60. N.S. della Guardia o Santo Stefano Nuova
61. Santa Maria della Pace
62N.S. della Consolazione e San Vincenzo Martire
63. San Vincenzo Martire
64. Santo Spirito (in Via San Vincenzo)
65. Nostra Signora del Rifugio o delle Brignoline
66. N.S. della Misericordia
67. Santi Giacomo e Filippo
68. Santissima Annunziata di Portoria (più conosciuta come "Santa Caterina")
69. Santa Croce e San Camillo
70. Santa Marta
71. San Sebastiano 
72. Santa Caterina a Luccoli
73. Romite di San Giovanni Battista (o "Battistine")
74. Santissima Concezione - Padre Santo
75. San Bartolomeo degli Armeni
76. San Bernardino
77. Santa Maria della Sanità 
78. Sant'Anna
79. San Gerolamo
80. SS. Incarnazione detto "delle Turchine"
81. San Nicola
82. Madonnetta
83. San Barnaba
84. Santuario di Nostra Signora di Loreto a Oregina
85. Santa Maria Vergine e Brigida in scala coeli
86. Santa Teresa all'Acquaverde
87. N.S. della Neve
88. N.S. della Visitazione
89. Figlie della Provvidenza
90. Spirito Santo (in Piazza Acquaverde)
91. San Michele di Fassolo
92. Santa Consolata
93. San Paolo (in zona Prè)
94. San Tommaso
95. Santissima Trinità e San Benedetto al Porto
96. San Rocco di Granarolo
97. San Francesco da Paola
98. San Vincenzo de' Paoli
99. San Teodoro
100. San Lazzaro
101. N.S. degli Angeli
102. Chiappella
103. San Benigno
104. San Bartolomeo del Fossato 
105. San Bartolomeo Apostolo di Promontorio



1. San Giovanni di Prè

Un'antica immagine della Commenda di Prè prima dei lavori che riapriranno le arcate al piano terreno ridonando all'intero complesso il suo aspetto originario


Le splendide volte a crociera della chiesa superione di San Giovanni di Prè
(foto di Antonio Figari)


La selva di colonne della chiesa inferiore di San Giovanni di Prè
(foto di Antonio Figari)


L'antico refettorio di San Giovanni di Prè
(foto di Antonio Figari)


2. San Sisto

La prima edificazione di questa Chiesa avvenne alla fine dell'undicesimo Secolo in ricordo della vittoria dei genovesi e dei pisani  sugli arabi avvenuta il 6 agosto 1087, giorno in cui la Chiesa festeggia appunto San Sisto (due secoli più tardi, il 6 agosto 1284, sempre nel giorno di San Sisto, Santo patrono di Pisa, i genovesi sconfiggeranno i Pisani nella celebre battaglia della Meloria).
La Chiesa, in stile romanico, era a livello del mare e, come la vicina Commenda, si trovava fuori dalla cinta muraria e ospitava i pellegrini di passaggio a Genova.
La seconda edificazione avvenne alla fine del XVI Secolo: la Chiesa venne ricostruita più in alto a livello di Via Prè.
Risale al XIX Secolo la terza ed ultima ricostruzione della Chiesa: le cronache dell'epoca ci raccontano che la stessa fosse piuttosto mal ridotta e dunque si decise di abbatterla e ricostruirla nella forme neoclassiche.
Il progetto fu affidato a Pietro Pellegrini a cui successe, dopo la morte, Giovanni Battista Resasco.
L'interno, a croce greca, è sormontato dalla grande cupola, affrescata da Michele Cesare Danielli con il Martirio e la Glorificazione di Papa Sisto II, che occupa quasi interamente lo spazio interno e dalla  quale, una volta entrati, si viene subito "rapiti" per la sua grandezza e maestosità.
Intorno alla metà del XIX Secolo, a Domenico Tagliafichi venne affidato il compito di realizzare una tribuna rialzata affacciata sul presbiterio e collegata con un passaggio aereo, ancora oggi presente su Via Prè, a Palazzo Reale: in questo modo i Savoia potevano giungere in Chiesa senza uscire da palazzo e assistere alla funzioni religiose in uno spazio a loro riservato detto ancora oggi "Sala Regia".



La cupola della Chiesa di San Sisto
(foto di Antonio Figari)

In un altare laterale è conservata la statua di Maria Bambina che ogni anno vien portata in processione per le vie di Prè l'8 settembre, giorno in cui la Chiesa festeggia la natività della Vergine.



La statua di Maria Bambina custodita nella Chiesa di San Sisto
(foto di Antonio Figari) 


 Entrando  in chiesa ci sono due busti collocati in controfacciata: sulla destra vi è quello dedicato al parroco Giorgio Lanfranco, morto durante l'epidemia di peste del 1656-1657.
Curiosa è la storia legata ad un busto che si trova entrando sulla sinistra: esso rappresenta il parroco Gerolamo Lercari, ucciso sull'altare della Chiesa il 27 dicembre 1601, come ricorda una lapide posta sotto il busto.
Ebbene, il suo assassino scappò da Genova riuscendo così a farla franca.
Dopo molto tempo, sicuro di esser stato dimenticato, l'assassino tornò in città: il caso volle che due donne, oramai in età avanzata, riconobbero in lui l'assassino del Lercari. L'omicida venne così arrestato e condannato a morte.


Il busto dedicato allo sfortunato Gerolamo Lercari
(foto di Antonio Figari) 

Tra i tanti fatti accaduti in questa Chiesa, ricordiamo anche il matrimonio, il 22 agosto 1736, tra Nicoletta Conio e Carlo Goldoni (la storia del celebre veneziano e dei suoi gioni genovesi nella pagina de poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI).



3. San Vittore

Conoscete questa Chiesa? L'avete mai vista? Non potete che rispondermi con un no secco.
Essa infatti non esiste più, ed è un vero peccato perchè era una splendida chiesetta che sorgeva tra Via Prè e l'attuale Via Gramsci. Proprio la costruzione di questa strada (intrapresa nel 1835 e concluda nel 1839), già Via Carlo Alberto, è la causa della demolizione di questo antico  tempio cristiano.
In realtà, recenti scavi hanno riportato alla luce parte di essa, una sorpresa anche per gli stessi studiosi della storia dell'arte della Sovrintendenza della Liguria che ha recentemente acquistato il palazzo della Finanza in Piazza dello Statuto, sotto il quale vi è questo tesoro.
Se e quando riuscirò a visitarlo Vi posterò le foto.
Oltre a quanto riportato alla luce dai recenti scavi, c'è ancora una parte della Chiesa che è ben visibile dall'esterno: si tratta della parte terminale del campanile che, come un piccolo edificio di forma cubica, svetta sul terrazzo che fa da lastrico solare ed è ben visibile dalla Sopraelevata.

G. Brusco, planimetrie delle chiesa di San Vittore, San Sisto e Sant'Antonio di Prè



4. Sant'Antonio a Prè


In Via Prè, fino a qualche secolo fa, scorrazzavano liberamente maiali con un campanellino all'orecchio, lo sapevate? 
Questi simpatici quadrupedi appartenevano ai monaci dell'Abbazia di Sant'Antonio: essa, fondata nel 1184, si estendeva tra via Prè, Vico di Sant'Antonio, via Balbi e Vico inferiore del Roso.
Il suo ricordo è inciso nel nome dell'omonimo vicolo nel quale si può ancora ammirare la medioevale porta d'ingresso dell'abbazia.


L'ingresso dell'Abbazia di Sant'Antonio
(foto di Antonio Figari)

Torniamo ai suini in giro per Prè: i frati antoniani avevano a Genova, come in tutto il resto d'Europa, il privilegio di possedere maiali i quali venivano nutriti dalla comunità intera e scorrazzavano liberi per le strade svolgendo anche una funzione sociale molto importante: ghiotti di tutto, essi ripulivano le strade dalla "rumenta" che i cittadini buttavano in strada dalle finestre di casa.


Sant'Antonio e ai suoi piedi i maiali in Vico Inferiore del Roso, lungo il muro perimetrale dell'antica abbazia
(foto di antonio Figari)

Particolare del bassorilievo con Sant'Antonio e ai suoi piedi i maiali
(foto di antonio Figari)


I maiali dei monaci si distinguevano dagli altri da un campanellino appeso all'orecchio, particolare che li rendeva speciali e intoccabili dalla popolazione, che rischiava pesanti sanzioni dal Senato della Repubblica in caso di loro uccisione o ferimento.
Gli anni passano e i suini si moltiplicano a dismisura finchè la Repubblica decide di emanare una Grida per limitare il numero di maiali dei Frati che potesse circolare liberamente per le strade intorno all'Abbazia e stabilendo che potessero vagare per i vicoli non più di un verro, tre scrofe e venti porcellini. Ogni animale in più poteva esser catturato ed ucciso.
Papa Leone X, su richiesta dei monaci, fece annullare la Grida e i porci ripresero possesso dei vicoli finchè un gruppo di suini caricò un corteo di senatori, imbrattando e ferendo alcuni di loro. Fu questa la goccia che fece traboccare il vaso: venne emanato un editto che permetteva a chiunque di appropriarsi dei maiali che scorrazzavano fuori dall'Abbazia sia vivi che morti.
Fu questa la fine dei maiali in giro per le strade di Prè.
Nel perimetro dell'antica Abbazia vi era anche un ospedale dove veniva curato il Fuoco di Sant'Antonio (herpes zoster), uno dei tanti piccoli ospedali sparsi nei vicoli prima che in città venisse fondato l'ospedale di Pammatone (vi rimando al paragrafo dedicato agli agli ospedali medievali alla pagina de gli EDIFICI pubblici per approfondire il tutto). 
Ancora oggi sono visibili le colonne dell'antico ospedale: se entrate in un piccolo supermercato, all'angolo tra Via Prè e Vico inferiore del Roso, in mezzo agli scaffali, si ergono le antiche colonne e sono conservati ancora integri gli archi in mattoni dell'epoca.

Le colonne e gli archi dell'antico ospedale
(foto di Antonio Figari)


L'Abbazia purtroppo fu distrutta alla fine del XIX secolo quando il nuovo proprietario del palazzo, Edilio Raggio, decise di ampliare l'edificio.
Ed ecco una sorpresa che proprio non mi aspettavo e che non è segnalata nei libri: in Palazzo Raggio esiste ancora porzione dell'antico convento di Sant'Antonio.
Varcato il portone di legno che dà su Vico Sant'Antonio infatti, sopravvive ancora una grande sala che conserva uno splendido soffitto di legno affrescato.

Il soffitto affrescato di Sant'Antonio di Pré
(foto di Antonio Figari)

Un curioso aneddoto è legato a questa Abbazia: il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, le dame della nobile famiglia dei Doria portavano come dono all'abate cinque scudi ed egli, in cambio, donava loro uno dei maiali dell'Abbazia. Di questo e di tanto altro parlo nell'ottava puntata de "i SEGRETI dei VICOLI di GENOVA in pillole" che trovate qui di seguito:





5. San Carlo (poi Santi Vittore e Carlo)

L'interno della Chiesa dei Santi Vittore e Carlo visto da sopra l'altare
(foto di Antonio Figari)


Suore in preghiera il Venerdì Santo nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo
(foto di Antonio Figari)


La Chiesa di San Carlo, situata in Via Balbi di fronte a Palazzo Reale, fu edificata a partire dal 1629 su progetto di Bartolomeo Bianco, il quale, dopo alcune divergenze con i committenti, i frati carmelitani, abbandonò i lavori che vennero terminati dai frati stessi nel 1635, anno in cui fu inaugurata il 4 novembre, nel giorno la Chiesa festeggia San Carlo. Fu proprio uno dei frati, Padre Agatangelo di Gesù e Maria (al secolo Giovanni Agostino Spinola) ad acquistare il terreno sul quale venne costruita la Chiesa.
L'edificio fu letteralmente scavato nella roccia. A questo proposito, per evitare che l'umidità della collina retrostante intaccasse i muri della Chiesa, venne creato uno spazio vuoto tra il muro del coro e la collina: se andate dietro al coro, Vi ritroverete in una intercapedine larga un metro, a nord la nuda roccia finemente scolpita, umida e pregna d'acqua, a sud invece il retro del muro del coro, asciutto e senza alcuna traccia d'umido.


L'intercapedine dietro l'abside nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo
(foto di Antonio Figari)

Al 1743 risale la ristrutturazione finanziata da Gerolamo Durazzo con il rifacimento la facciata e del loggiato decorati con stucchi e marmi.
L'interno della Chiesa, ad unica navata, pesantemente rimaneggiato tra il 1890 e il 1898 su progetto dell'architetto Maurizio Dufour, conserva alcune "chicche".

L'abside nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo dove si nota la data dei lavori di rifacimento
(foto di Antonio Figari)
 
L'altare maggiore, opera dello scultore G.B. Casella, proviene dalla diruta cappella della famiglia Sauli nella Chiesa di San Domenico. Dopo la distruzione di questo Convento, l'altare, smontato, venne dapprima destinato ad una Chiesa in Africa e in seguito invece venne portato qui dove lo vediamo oggi. Entro la nicchia era conservata una statua di San Domenico e alla base scolpite storie della vita del Santo. Data la posizione sopraelevata rispetto alla base dell'altare, i bassorilievi sopracitati, ancora presenti, sono quasi invisibili se non si ha la fortuna, come il sottoscritto, di poter camminare sopra l'altare e vederli a pochi centrimetri dagli occhi.
Entro la nicchia, ove un tempo vi era San Domenico, è oggi conservata la statua di N.S. della Fortuna: essa ha una storia molto particolare che la lega al mare e ad un miracolo, la conoscete?
La storia narra di un freddo giorno di inverno, il 17 gennaio 1636, nel quale una furiosa tempesta si abbatté sul porto di Genova distruggendo le navi in esso ancorate.
Il giorno seguente i genovesi, ancora increduli per la spaventosa bufera che aveva flagellato il porto della Superba, tra i rottami delle navi ritrovarono quasi intatta la polena di una nave irlandese, alta due metri e trentacinque, raffigurante una signora con in braccio un bimbo, che, messa all'asta, fu acquistata da due marinai e portata nei fondi di un palazzo di porprietà Lomellini nei pressi di Via Balbi e lì lasciata a prendere polvere, abbandonata al suo destino fino a che un giorno accadde qualcosa di miracoloso: una bimba cadde dalla finestra di uno dei piani alti di quel palazzo "atterrando" a terra illesa. La bimba raccontò che una signora in abiti azzurri, uscita dal magazzino del piano terreno, l'aveva presa in braccio appena prima che toccasse il suolo. 
La gente si precipitò in magazzino e si trovò difronte la "nostra" polena che subito fu ritenuta miracolosa e tutti in essa riconobbero la Madonna con in braccio Gesù Bambino. Spolverata, ripulita e vestita di ricchi abiti di raso la statua fu trasportata con una solenne processione nella vicina Chiesa di San Vittore (la quale si trovava tra Via Prè e l'odierna Via Gramsci). A seguito della sconsacrazione di questa antica Chiesa la statua venne trasportata in San Carlo e collocata in una cappella laterale e successivamente sull'altare maggiore dove tuttora si trova.

Altar maggiore con la statua di N.S. della Fortuna
(foto di Antonio Figari)


La statua di N.S. della Fortuna
(foto di Antonio Figari)

Molti ex voto testimoniano la devozione dei genovesi per questa Signora dal vestito d'oro e il mantello azzurro. Anch'io nei miei anni all'università, prima di sostenere gli esami, spesso entravo in San Carlo a salutare Nostra Signora della Fortuna e a chiederLe un piccolo aiuto. Tuttora conservo nel mio portafoglio una Sua immagine con sul retro la preghiera che a Lei si rivolge e ogni tanto, quando mi capita di passare in Via Balbi, salgo le scale di San Carlo ed entro in Chiesa a porle un saluto e una prece.
Perché detta "della fortuna"? Due le ipotesi: deriverebbe dal termine fortunale (vento di tempesta) o, forse, da fortuna di mare (così erano dette le cose che si salvavano dai naufragi).
Una curiosità ai più sconosciuta è a pochi passi dall'altare: alla sinistra della Madonna, in una nicchia, è conservata una seconda polena, forse raffigurante San Giuseppe, di legno scuro e la cui storia non è collegata alla più famosa sull'altar maggiore.
Sotto l'altare maggiore c'è una cripta dove sono sepolti alcuni membri della nobile famiglia Cattaneo Adorno.
Tra le cappelle laterali degna di nota è la Cappella Franzoni con le statue del bolognese Algardi.

La Cappella Franzoni nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo
(foto di Antonio Figari)


La Chiesa conserva inoltre splendide opere pittoriche come "Santa Teresa" di Andrea Carlone, "San Giovanni della Croce" di Domenico Piola,  "I Santi Anna, Francesco da Paola e Liborio" di Lorenzo de Ferrari e un "Presepe" e una "Adorazione dei Magi" di Orazio de Ferrari.
A seguito della chiusura della Chiesa di San Vittore, sconsacrata e chiusa a culto, di cui Vi ho parlato al precedente paragrafo 3, il titolo di San Vittore fu aggiunto a quello di San Carlo. 
Una curiosità: se osservate lo sportello del tabernacolo del primo altare sulla destra noterete che la raffigurazione della Fede è stata dipinta con tre gambe!

Il particolare sportello di un altare laterale nella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo
(foto di Antonio Figari)

La splendida sagrestia andò perduta a causa del crollo di parte dei muri del vicino Collegio dei Gesuiti che collassò a seguito dei pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.


6. Santi Gerolamo e Francesco Saverio

Quella che fino a poco tempo fa era la Biblioteca Universitaria in Via Balbi al civico 3 (la nuova sede della biblioteca è oggi in Via Balbi n. 40 nei locali di quello che fu un tempo l'Hotel Colombia) nasce nel XVII secolo quale Chiesa dell'attiguo Collegio dei Gesuiti (oggi sede dell'Università).
Costruita tra il 1650 ed il 1658 sulle fondamenta dell'antica Chiesa di San Gerolamo del Roso (ecco spiegato il perché del nome di questo Santo nel titolo accanto a quello del Gesuita Francesco Saverio) su progetto dell'architetto Pietro Antonio Corradi, allievo di Bartolomeo Bianco e molto legato alla famiglia dei Balbi, proprietari di questo terreno, i quali allo stesso qualche anno prima già avevano affidato la progettazione del giardino e dello splendido ninfeo di Palazzo Balbi Senarega (di cui trovate la storia e le immagini nella pagina de "la GENOVA sotterranea" al paragrafo "7. Le grotte artificiali dei giardini genovesi"), questo edificio si presenta ad unica navata, senza cupola e transetti.
Francesco Maria Balbi si fece carico delle spese per l'erezione di questo edificio riservando a sé e alla sua discendenza una parte della Chiesa come, per così dire, implicitamente dichiarato nell'iscrizione al centro della facciata:

"D.D. HIERONYMO 
ET 
FRANCESCO XAVERIO
FRANCISCUS MARIA
BALBI
ANNO MCDLXVIII"

Ed è proprio la parte della Chiesa riservata ai Balbi, il coro, il vero gioiello di questo edificio (il piano terreno conserva ancora tracce dell'antico edificio ma purtroppo non sono riuscito a visitarlo).
Al giorno d'oggi, persa la sua funzione religiosa, l'edificio è suddiviso in piani. La quota del piano di quella che fino a poco tempo fa era sala lettura della biblioteca, posto a pochi metri dal soffitto della Chiesa e occupante l'intera superficie della stessa, permette di godere da vicino degli splendidi affreschi della volta del coro, opera di Domenico Piola con la collaborazione del quadraturista bolognese Paolo Brozzi.
L'arco trionfale che immette nel coro reca al centro lo stemma Balbi sorretto da figure allegoriche; nella volta della coro è raffigurato "L'incontro di San Francesco Saverio con il Re del Bongo"; sulle pareti sono invece dipinti i dottori della Chiesa e l'Orchestra Celeste.



La facciata di qulla che fu la Chiesa dei Santi Gerolamo e Francesco Saverio
(foto di Antonio Figari)


L'interno dell'edificio
(foto di Antonio Figari)


Lo stemma Balbi sorretto da Allegorie
(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)






7. Santissima Annunziata del Vastato


Il magnifico interno della Chiesa della Santissima Annunziata del Vastato
(foto di Antonio Figari) 

 
La cupola della Chiesa della Santissima Annunziata del Vastato
(foto di Antonio Figari)


8. Santa Fede

Situata nell'odierna Via delle Fontane, di fronte alla Porta dei Vacca (il cui nome ufficiale è proprio Porta di Santa Fede), essa fu edificata nell'XI secolo sul terreno occupato da una necropoli paleocristiana. Così proverebbe un'antica lapide un tempo collocata nella chiesa.
Il primo documento che parla di questa chiesa risale invece al 1142 (la Repubblica di Genova autorizzava un certo Ansaldo di Vacca ad edificare alcune abitazioni vicino alla chiesa).
La chiesa è intitolata a Santa Fede: la stessa è identificabile con la santa martire di Agen (odierna cittadina nella regione della Nuova Aquitania francese, all'epoca facente parte della gallia transalpina sotto il dominio romano), molto venerata in età altomedievale. Di nobili origini, a dodici anni venne torturata, posta su una graticola di ferro arroventata ed infine decapitata per essersi rifiutata di compiere un sacrificio alle divinità pagane. La sua morte avvenne, secondo la tradizione, intorno alla fine del III secolo d.C. Dalla chiesa di Conques-enRouergue, dove nel IX secolo furono trasportate alcune sue reliquie, il culto si espanse in tutta Europa (il tutto aiutato anche dal fatto che questo luogo si trovava lungo il cammino di Santiago de Compostela e dunque era molto frequentato dai pellegrini). La basilica edificata invece nel luogo ove la stessa venne seppellita, nella sua sua città natale, fu demolita nel 1892 per esigenze urbanistiche.
Alla prima fase di edificazione risale l'abside le cui fondamenta ancora oggi potete vedere all'interno della chiesa.
La chiesa viene completamente ricostruita nel 1673, su progetto di Giovanni Battista Grigo, assumendo le forme barocche: viene modificato l'orientamento della chiesa (come in altri edifici religiosi: ne è esempio ancora esistente la chiesa di San Giovanni di Prè) spostando l'ingresso verso levante e gli interni vengono suddivisi in tre navate sorrette da dieci colonne. La chiesa viene arricchita da tele di G.B. Paggi, Bartolomeo Guidobono, Giulio Benso (Gesù Crocifisso), Gregorio De Ferrari (Santa Teresa coi santi Francesco Saverio e Francesco d'Assisi) e Giuseppe Galeotti (Beato Agostino Caracciolo). Era presente in chiesa dal 1618 anche un statua di marmo, opera di Martino Rezi, raffigurante Nostra Signora della Misericordia sita, come ci racconta l'Alizeri, sull'altar maggiore. Il titolo di N.S. della Misericordia fu aggiunto a Santa Fede nel 1715 in occasione della consacrazione della chiesa. Con la soppressione degli ordini religiosi durante la Repubblica Ligure, i Chierici Minori lasciano il convento e dopo qualche tempo la chiesa viene affidata ad un parroco. Sempre in questo periodo, a seguito dell'ampliamento del convento e la costruzione di alcune case private, la chiesa perde una campata.
Nel 1926 con decreto dell'arcivescovo Minoretti la parrocchia fu soppressa, il suo territorio assegnato alla giurisdizione della chiesa di San Sisto, e il titolo parrocchiale trasferito alla nuova chiesa di Santa Fede in Corso Sardegna così come alcune opere d'arte che qui erano conservate come la Santa Teresa di Gregorio De Ferrari sopra citata. L'edifico sconsacrato diventa un deposito di vini. Negli ultimi anni del Novecento si avviano importanti lavori di restauro che riporteranno alla luce un muro e due delle tre absidi dell'antica chiesa di epoca romanica. Sul lato sud della chiesa vengono abbattute fatiscenti case settecentesche creando la piazza che ancora oggi prende il nome di Santa Fede.  Oggi gli interni ospitano gli uffici del Municipio I Centro Est. 


Particolare dell'interno della Chiesa di Santa Fede
(foto di Antonio Figari)




 

Le fondamenta dell'antica abside riaffiorate dopo i recenti restauri
(foto di Antonio Figari)




9. Santa Sabina


 La facciata  della Chiesa di Santa Sabina prima della sua demolizione


L'interno di quella che fu la Chiesa di Santa Sabina, oggi filiale di una banca
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa di Santa Sabina si trova lungo Via delle Fontane nell'omonima piazza, accanto all'Oratorio della Morte ed Orazione (di cui trovate la storia alla pagina de gli ORATORI e le CASACCE).
Le sue origini risalgono al VI secolo: distrutta nell'Alto Medioevo, nel 936 d.C., durante un'incursione saracena (i quali ebbero gioco facile poiché questa Chiesa si trovava fuori dalla cinta muraria nella quale fu inglobata solo nel 1155 quando vennero costruita le cosiddette Mura del Barbarossa), essa fu affidata ai Padri Benedettini i quali la ricostruirono tra il 1008 ed il 1036. Alizeri ci racconta che l'interno nei secoli successivi subì rifacimenti in stile gotico.
Al periodo romanico  risalgono i resti che ancora oggi possiamo vedere. La Chiesa di Santa Sabina infatti, dopo essere stata soppressa come parrocchia nel 1931 (il titolo sarà trasferito alla nuova chiesa di Santa Sabina in Via Donghi), fu in parte demolita e trasformata in sala cinematografica nel 1939. Oggi è divenuta la filiale di una banca: su Via delle Fontane nulla  è rimasto dell'antico edificio, ma entrando noterete sulla parete opposta dell'edificio la parte absidale dell'edificio che la scelleratezza dell'uomo ha risparmiato dall'abbattimento. 
La splendida pala d'altare della "Annunciazione (Incarnazione)", oggi qui conservata, opera di Bernardo Strozzi, proviene dal diruto  Conservatorio Interiano di cui trovate la storia alla pagina de gli EDIFICI pubblici


L'abside di quella che fu la Chiesa di Santa Sabina
(foto di Antonio Figari)


"Annunciazione (Incarnazione)", opera di Bernardo Strozzi 
(foto di Antonio Figari)

Alcuni capitelli e rocchi da semicolonna di scuola lombarda, in pietra nera di Promontorio e databili XI Secolo, provenienti da questa Chiesa, sono conservati oggi nel Museo di Sant'Agostino.


Un capitello di scuola lombarda,  proveniente dalla Chiesa di Santa Sabina, oggi conservato nel Museo di Sant'Agostino
(foto di Antonio Figari)

Gli altari, la Statua di Santa Sabina, le colonne in marmo verde e altre parti  dell'antico edificio furono trasferiti nella nuova parrocchia di Santa Sabina che venne edificata in Via Donghi e dove tuttora sono visibili.
Se vi infilate in Vico Croce Bianca, come Vi documento nella foto qui sotto, Vi apparirà in lontananza l'esterno dell'abside. Purtroppo il cortile sulla quale l'abside stessa insiste è chiuso da cancelli ma se suonate il campanello di un'associazione che ha lì sede non è difficile che Vi aprano e possiate goderVi da vicino la bellezza di quel che rimane di una delle più antiche Chiese della Superba.


L'abside della Chiesa di Santa Sabina visto da Vico Croce Bianca
(foto di Antonio Figari)



Particolare dell'abside di Santa Sabina
(foto di Antonio Figari)


L'abside di Santa Sabina visto dall'alto
(foto di Antonio Figari)



10. Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese

La Chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant'Agnese vista da Corso Carbonara
(foto di Antonio Figari)



Nicolò Traverso, La Gloria di Sant'Agnese




11. Sant'Agnese

C'è una chiesa di Genova rimasta solo nelle pagine dei libri o quasi: è quella intitolata a Sant'Agnese.
Essa sorgeva nel quartiere del Carmine poco distante dalla Chiesa che dà il nome al quartiere.
Ecco come la descrive Carlo Giuseppe Ratti, nel volume 1 del suo libo "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.": "CHIESA parrocchiale di S. AGNESE, che ha titolo di Priorato, e quantunque non sia molto grande, pure è formata a tre navi. Nel secondo altare a destra la tavola della Sacra Famiglia è di Giambattista Resoaggi Genovese; quella dell'Assunta nella cappella che segue, è del Bertolotto, e nell'altra della Madonna del Rosario ha dipinti i cinque Misteri gaudiosi l'anzidetto Resoaggi. La tavola del Crocifisso al suo altare in testa dell'altra nave è di mano del Lomi; quella dell'atare della colonna è di Giovannandrea Ferrari; l'altra di S. Barnaba ne ha una di maniera del Paggi, e l'ultima di S. Teresa una di Castellino Castelli."
Edificata nel 1192, venne ricostruita  alla fine del  XVI secolo.
Nel 1797 la parrocchia fu soppressa ed unita alla vicina parrocchia di Nostra Signora del Carmine che tuttora conserva nel proprio titolo anche quello di Sant'Agnese, oltre a varie opere provenienti dalla stessa.
Tra le tante opere oggi conservate al Carmine, mi piace ricordare "La Vergine del Pilar intercede per le anime purganti", tela del 1627 di Gio. Andrea De Ferrari commissionata allo stesso dai confratelli della Compagnia della Colonna per la chiesa di Sant'Agnese.
L'antica chiesa venne infine demolita nel 1820 quando fu deciso il tracciamento di Via Polleri. 
Consultando le antiche cartine planimetriche della zona possiamo dire che essa sorgeva più o meno in corrispondenza dell'attuale civico 4 di Via Polleri il cui perimetro tocca anche Via Sant'Agnese.
Ed è proprio questo palazzo a riservarci delle sorprese: la demolizione dell'antica Chiesa infatti non è stata totale.
Se riuscite ad entrare nell'androne del civico 4 noterete a fianco dell'ascensore una colonna che sembra emergere dal moderno muro: essa è uno dei reperti sopravvissuti alla demolizione ottocentesca.

La colonna di Sant'Agnese a fianco dell'ascensore
(foto di Antonio Figari)
 
Particolare della colonna di sant'Agnese
(foto di Antonio Figari)


Capitelli dell'antica Chiesa "sopravvivono" all'interno di uno degli appartamenti del primo piano, un'altra colonna è visibile in un negozio piano strada ed infine una porzione dell'antico muro è conservata nei moderni muri perimetrali.


12. San Bernardo dell'Olivella

Il portale di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Poco sopra Piazza del Carmine, se vi inoltrate in salita San Bernardino troverete in cima alla salita il portale dell'antico monastero che dà il nome a questa strada.
Di esso e della sua storia ci parla l'Alizeri, nella terza giornata della sua guida, al quale lascio volentieri la parola:
"Ora, guadagnando cammino, scendiamo pel destro lato nella contrada che dicono Vallechiara. In capo ad essa ove metton radice le alture dell'Olivella è un tempietto dedicato a S. Bernardo, che suol però distinguersi colla denominazione suddetta. Servì dal principio (ché le ragioni sono incerte) a monache di Santa Chiara per le quali fu costrutto insieme al monistero, previo l'assenso dell'abate di S. Siro. Nel 1581 incorporandosi queste alle Clarisse di S. Leonardo vendettero il locale coll'attigua villa per lire 7000 a Bartolomeo Lomellini, il quale fece disegno d'erigerla in abbazia secolare per comodo e splendore della propria famiglia. Ne trasmise l'istanza a Pp. Gregorio XIII, e ne ottenne favorevol rescritto l'anno 1584, ove si concedeva a lui e a' suoi discendenti l'jus praesentandi in perpetuo. È da credere, che a spese di lui si riducesse la chiesa nell'attual forma, non vasta, ma gentile e degna di nobili patroni. L'altar di mezzo ha un quadro di Luca Cambiaso col santo titolare in mezzo ai santi Battista e Bartolomeo, che vuol noverarsi tra quelli dell'ultimo suo stile e dell'ultima età, come certifican gli anni in cui dovett'esser dipinto. Due altri si veggono ai laterali, notati come il precedente, nella guida del Ratti; ché da quella in poi né s'aggiunse né si tolse a questa chiesa, difficile a visitarsi in ogni stagione dell'anno. Quello a destra ha per soggetto il noli me tangere, ed è opera di grazioso ma ignoto pennello. Dell'altro rimpetto han merito due valenti pittori, ma dissimili tra loro quant'esser possono un pittore dall'altro. La figura di Maria col bambino è di Bernardo Strozzi, picciol quadro a cui si volle far tale aggiunta che bastasse alle dimensioni della nicchia. Enrico Vaymer, uomo pazientissimo e divoto, prese sopra di sé lo spiacevole incarico, ed empiè il resto della tela con un S. Filippo Neri che contempla l'imagine. I due lavori, e specialmente il primo, son da pregiarsi ove si osservino separati, ma così uniti si fan guerra implacabile."
Cosa rimane di tanto splendore descritto dall'Alizeri?

La facciata di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


 
Una bifora in facciata di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


Purtroppo poco: il tetto fu colpito nell'ultimo conflitto mondiale e per decenni l'interno è rimasto esposto agli agenti atmosferici con tutti i danni che ne derivano. Oggi, dopo recenti restauri, la Chiesa di San Bernardo è una sala utilizzata per eventi del quartiere e conserva ancora alle pareti e sull'altare piccole porzioni di stucchi settecenteschi, antico vanto di questo monastero.

L'interno di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

L'altare di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


Gli stucchi e la cantoria alla destra dell'altare di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


Particolare degli stucchi della parete destra della Chiesa di San Bernardo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)




13. San Bartolomeo dell'Olivella

La facciata di San Bartolomeo dell'Olivella prima dei restauri del 2012
(foto di Antonio Figari)

La facciata di San Bartolomeo dell'Olivella nel dicembre 2012 dopo i restauri
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa di San Bartolomeo dell'Olivella con annesso chiostro nel quartiere del Carmine è tutto ciò che rimane di un antico monastero, fondato nel 1305 dall'Ordine Cistercense con l'aiuto ed il finanziamento del banchiere genovese Bonagiunta Valente, padre di Giovanni, il quale diventerà terzo doge della Repubblica di Genova.
Detto convento fu destinato alle monache cistercensi che nel 1470 vennero sottomesse alla Regola di Sant'Agostino.
Intorno al 1798 le monache abbandonarono il complesso.
Alizeri ci narra che, mentre scrive la sua guida, nei giorni estivi la Chiesa era officiata la domenica dalla Confraternita dei SS. Giacomo e Leonardo, il cui oratorio in zona Prè (del quale Vi parlerò nella pagina de  "gli ORATORI e le CASACCE") era stato demolito per la costruzione della Carrettiera Carlo Alberto, l'attuale Via Gramsci.
La Chiesa, edificata in stile gotico, fu trasformata in stile barocco tra il 1640 ed il 1670 e sopraelevata. Segni gotici rimangono in facciata nel portale e nell'arco all'entrata al complesso monastico su Salita San Bartolomeo del Carmine, mentre il portale del complesso monastico che insiste su Salita Carbonara è di età barocca. La sopraelevazione del XVII secolo è evidenziata in facciata dalle linee oblique che si uniscono nel rosone barocco.

Il portale gotico e parte delle antiche mura perimetrali del Monastero di San Bartolomeo dell'Olivella su Salita San Bartolomeo del Carmine
(foto di Antonio Figari)

Il portale barocco del Monastero di San Bartolomeo dell'Olivella su Salita Carbonara
(foto di Antonio Figari)


L'interno, ad una sola navata, venne magnificamente affrescato da Giovanni Battista Carlone, a cui si deve la decorazione della volta sopra l'altar maggiore ("Gloria di San Bartolomeo") e della parete destra ("San Bartolomeo che libera un'indemoniata", purtroppo non più leggibile) e sinistra ("San Bartolomeo che atterra un idolo") del presbiterio, dal figlio Giovanni Andrea, a cui si deve la decorazione della volta con episodi come "La gloria di Sant'Agostino" e "Il Battesimo di Sant'Agostino", insieme probabilmente anche al fratello Nicolò autore della "Discesa dello Spirito Santo".
Le quadrature architettoniche sono opera del bolognese Paolo Brozzi, le decorazioni del quale troviamo anche in altri luoghi genovesi come nel salone di Palazzo Pantaleo Spinola in Via Garibaldi o in un salotto di Palazzo Giacomo e Pantaleo Balbi in Via Balbi.
Eccovi le foto:

La splendida volta affrescata di San Bartolomeo dell'Olivella nel suo complesso
(foto di Antonio Figari)

Particolare della volta e il rosone di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta di San Bartolomeo dell'Olivella con San Bartolomeo
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta di San Bartolomeo dell'Olivella con la discesa dello Spirito Santo in occasione della Pentecoste
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta di San Bartolomeo dell'Olivella con un angelo
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta dal quale si capisce a che altezza sia il soppalco in cemento armato del ventesimo secolo
(foto di Antonio Figari)



Gli altari era tre, tutti di marmo con colonne rosse come ci raccontano le fonti antiche e decorati da tre splendide pale, opere di Luca Cambiaso menzionate anche dal Ratti: sull'altare maggiore "Il Martirio di San Bartolomeo", su altri due altari "L'Assunzione della Vergine" e "Sant'Agostino e altri Santi".
Alizeri nella sua guida ci dice che da qualche anno esse erano state portate via ed alienate.
Che fine fecero? "Il Martirio di San Bartolomeo" fu trasportato nell'Oratorio dei Re Magi (di cui trovate la storia alla pagina dedicata a gli ORATORI e le CASACCE) e andò distrutto presumibilmente insieme a tutto il complesso  sotto i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale; le altre due pale d'altare del Cambiaso invece sono sopravvissute ai secoli e sono oggi conservate nella Chiesa di San Bartolomeo di Vallecalda a Savignone, piccolo paese nell'entroterra genovese.
Il 1920 segna un passo doloroso per la chiesa ossia la sua sconsacrazione alla quale seguirà, negli anni '50, l'asportazione  degli altari, la demolizione del coro delle monache con la conseguente perdita dell'affresco di Giovanni Andrea Carlone raffigurante "la discesa dello Spirito Santo" e la costruzione di un soppalco in cemento armato ancora oggi presente, il tutto per trasformare l'antica chiesa in un piccolo teatro.
Attualmente la chiesa è chiusa al pubblico e solo la benevolenza dell'Abate della Chiesa di Nostra Signora del Carmine mi ha permesso di godere di questo piccolo tesoro nascosto nei nostri vicoli.
Una porticina ed una scala esterna portano sul tetto della Chiesa da dove si gode una bella vista delle facciate colorate del quartiere del Carmine e si è ad un passo dal piccolo campanile a vela della Chiesa.

Le facciate colorate del quartiere del Carmine viste dal tetto della Chiesa di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Il campanile a vela della Chiesa di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Alla sinistra della Chiesa un piccolo portone con sopra una lapide marmorea è l'ingresso al complesso monastico ed all'antico chiostro.

La lapide marmorea posta sopra l'ingresso del chiostro di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Il chiostro è chiuso al pubblico ma non è difficile riuscire ad entrare: un piccolo tesoro Vi aspetta varcato il portone.
Nonostante la sua attuale suddivisione in appartamenti il complesso conserva ancora il colonnato dell'antico chiostro, le volte a crociera e lungo le scale ed i corridoi,  segni dell'antico splendore.

Il chiostro di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Gli archi e le volte a crociera del chiostro di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Altra immagine del chiostro di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


Un affresco nel chiostro di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)



Un'altra immagine del cortile interno del chiostro di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)


Se Vi capita di farci un giro perdetevi lungo le scale, i corridoi che corrono lungo l'intero complesso monastico e troverete tante piccole ed interessanti testimonianze del passato.

Colonne in marmo, capitelli e scale in ardesia nel Monastero di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)

Un antico sovrapporta in ardesia recante la data 1592 nel corridoio al secondo piano del monastero di San Bartolomeo dell'Olivella: al centro probabilmente recava uno stemma nobiliare tolto durante i moti rivoluzionari di fine '700
(foto di Antonio Figari)


Soffitto di legno del Monastero di San Bartolomeo dell'Olivella
(foto di Antonio Figari)



14. San Nicolosio

Un'antica immagine di San Nicolosio

C'è una Chiesa nascosta e poco conosciuta alle pendici del colle di Castelletto, quella dedicata a San Nicolosio.
Per raggiungerla, dopo aver lasciato Largo della Zecca, imboccate Via Edilio Raggio e poi Salita San Nicolosio: Vi ritroverete davanti, dopo esserVi inerpicati tra palazzi moderni, un antica "creuza" ed alla Vostra sinistra, superato un arco,  una piazzetta con pavimentazione a risseu. 
Siamo poco distanti dal Portello di Pastorezza (se volete approfondire la sua storia vi rimando alla pagine de le PORTE e le MURA di GENOVA) che nel suo nome ci ricorda e ci riporta a quando in questa zona era la pastorizia a farla da padrona.
Alzate lo sguardo: siete esattamente al confine tra il sestiere di Pré e quello della Maddalena, come ricordano due lapidi poste su altrettanti palazzi, e alla vostra sinistra si erge un palazzone anonimo grigio che nasconde nelle sue forme quello che fu un antico complesso monastico.

La facciata della San Nicolosio oggi, divenuta parte del sovrastante palazzo moderno, il quale nasconde quasi del tutto le antiche forme della Chiesa
(foto di antonio Figari)  

Federico Donaver, descrivendo nel suo libro "Vie di Genova" del 1912,  la salita, la piazza e la discesa che dalla Chiesa di San Nicolosio prendono il nome, così  scrive: "chiesa, ora oratorio, intitolata al Santo, fondata su territorio dell'Abbazia di S. Siro nel 1315 per le Monache Cistercensi, poi per le Clarisse. Il convento è ridotto a uso private abitazioni".
Alizeri, nella sua "Guida artistica per la città di Genova" del 1846, ci racconta dettagliatamente: "Siamo alle radici del colle di Castelletto; ed alcune chiese c'invitano a proseguir la salita fino alle mura del vecchio recinto. Un'angusta via che sale a mancina ci condurrà in breve alla CHIESA DI S. NICOLÒ DI BARI fondata l'anno 1305 per concessione dell'abate di S. Siro con annesso monastero, occupato in principio da monache Agostiniane, in seguito da religiose dell'ordine francescano. Trasferitesi queste a S. Silvestro sul tramonto dello scorso secolo, rimase deserta la chiesa ed è attualmente uffiziata da una confraternita di terziarii di S. Francesco. Le opere d'arte che l'abbellivano son tutte scomparse; e vi comprendo gli affreschi, i quali rifatti sull'antico disegno, ma da pennelli mal pratici, non serban traccia del primo autore, che fu Giovanni Carlone. Così le medaglie del volto non sono oggimai che un equivoco dipinto, che lascia appena intravedere la composizione e il disegno di quel valoroso frescante, né conserva un sor tratto d'originale quell'Annunziata ch'è in fondo alla chiesa, ove egli si piacque di ripetere un concetto già eseguito in sant'Ambrogio. Un sol dipinto, scordato in ogni guida, rimane intatto, ed è quello sul volto dell'altar maggiore, figurante la gloria del santo titolare, opera del Boni.
Alle tele che vi notava il Ratti lieve compenso è quella dell'altar maggiore, postavi per avventura de' confratelli che uffizian quivi. Essa contiene i santi Francesco e Chiara, e Ludovico di Francia in adorazione della Triade, ed è senza fallo di Gio. Andrea Defferrari; ma di questo pittore non s'applaude Genova ne' lavori di minor conto. Altra tele che v'hanno, son meschine copie. La sacristia, già parte della chiesa, ha parecchi frammenti d'affresco di G. B. Carlone."
Alizeri ci riferisce come data di fondazione il 1305.
Dalle sue parole e da quelle del Donaver apprendiamo che il monastero fu dapprima occupato dalle monache agostiniane, ed in seguito dalle Clarisse. Nel 1798 queste ultime si trasferirono a San Silvetro abbandonando il complesso di San Nicolosio che fu in seguito officiato dai Fratelli del Terzo Ordine di San Francesco.
La chiesa rimase dunque riservata al Divin Culto mentre il vicino monastero si trasformò con il tempo in un grande condominio.
L'interno della chiesa conserva pregevoli affreschi e dorature, anche se mal conservati come ci ricorda l'Alizeri: nella volta San Francesco riceve le stimmate  e sopra il coro il Santo dà il velo a Santa Chiara.
La pala d'altare, opera di Gio Andrea De Ferrari, con "San Francesco presenta i Santi patroni Ludovico IX re di Francia ed Elisabetta regina di Portogallo", nonostante il suo non eccellente stato di conservazione, merita da sola una vista a questa chiesa.
Quest'opera, originariamente collocata  nell'oratorio dei Terziari Francescani intitolato a San Ludovico IX re di Francia e Santa Elisabetta regina di Portogallo (vi rimando alla pagina de gli ORATORI e le CASACCE per approfondire la sua storia), giunge in San Nicolosio quando quest'ultimi si trasferirono qui a seguito della distruzione del loro oratorio che era posto sotto la chiesa di San Francesco. La pala d'altare del De Ferrari, posta sull'altar maggiore della chiesa, andò a sostituire una tela raffigurante San Nicolosio andata perduta. Poiché la tela del De Ferrari era più piccola venne adattata aggiungendo alcuni scampoli di tela nella parte superiore e spostando la colomba dello Spirito Santo in posizione più elevata (quest'ultima fu letteralmente ritagliata e posta in un punto più alto della tela). Oltre a questo capolavoro giunsero in San Nicolosio dall'oratorio dei Terziari anche una tela con "San Rocco", una con "l'estasi di San Francesco", una "Adorazione dei Magi", "Santo aiutato da Cristo a portare la Croce", "Transito di San Giuseppe", "riposo durante la fuga in Egitto", e sei lunette (delle originarie quattordici presenti nell'oratorio) raffiguranti santi francescani.
Degno di nota anche l'altare di San Francesco sulla sinistra: la volta, recentemente restaurata, presenta pregevoli stucchi e al centro "San Francesco in gloria" opera di G. B. Carlone. Sull'altare  vi è un crocifisso opera dello scultore Giovanni Battista Bissone. Ai lati dell'altare sulla destra vi è un dipinto di Bernardo Castello raffigurante "San Francesco che riceve le stigmate" mentre sulla sinistra una Immacolata di Benedetto Angelo Rossi.
Una curiosità: il calice che ancora oggi viene usato per servir Messa è stato donato dalla madre di Giuseppe Mazzini che, insieme alla famiglia, presso la Chiesa abitò dopo essersi trasferiti da Via Lomellini.

L'interno della Chiesa di San Nicolosio
(foto di Antonio Figari)

Alla destra della Chiesa una porta Vi conduce nell'antico chiostro e cimitero delle monache, oggi cortile di un palazzo suddiviso in molteplici scale.
Entrando si nota ancora l'antico ingresso principale di San Nicolosio e in un appartamento, mi hanno riferito, sono ancora conservati alcuni affreschi sopravvissuti ai secoli (se e quando riuscirò ad entrarvi Vi posterò le foto).

L'antico ingresso di San Nicolosio visibile solo entrando nel cortile di quello che fu il monastero
(foto di Antonio Figari)



Il cortile dietro al Chiesa di San Nicolosio, antico cimitero delle monache del monastero
(foto di Antonio Figari)




15. Monastero della Santissima Annunciazione e della Santissima Incarnazione (più conosciuto come monastero delle Monache Turchine)

Quello che oggi è il risseu che decora il cortile interno di Palazzo Reale un tempo era all'interno del convento delle Turchine
(foto di Antonio Figari)




16. San Filippo 

La Chiesa di San Filippo
(foto di Antonio Figari)

Particolare della facciata di San Filippo
(foto di Antonio Figari)
 

L'interno della Chiesa di San Filippo
(foto di Antonio Figari)





17. San Marcellino

Il campanile di San Marcellino
(foto di Antonio Figari)



18. San Pancrazio

La facciata della Chiesa di San Pancrazio
(foto di Antonio Figari)
 

La prima fonte che ci parla di questa Chiesa, intitolata al Santo martire romano Pancrazio, è un documento risalente al 1023 del Vescovo Landolfo II che la cita come confinante con la Chiesa di San Marcellino.
Nel 1593 diviene chiesa gentilizia delle famiglie Calvi e Pallavicino; come molte chiese gentilizie anche questa era collegata direttamente con un palazzo di proprietà dei Pallavicino.
Fu proprio un Pallavicino, Camillo, religioso filippino, a volere che fosse qui istituita la sede genovese della Congregazione di San Filippo Neri che si stabilì in San Pancrazio dal 1645 e vi rimase per alcuni anni prima di trasferirsi in Via Lomellini dove vi è ancora oggi.
La Chiesa fu distrutta dalle bombe lanciate nel 1684 dalla flotta del Re Sole (per approfondire questo argomento, Vi rimando al paragrafo 18 della pagina de lePIETREparlanti) e successivamente ricostruita nelle forme barocche su progetto di Antonio Maria Ricca.
Nella ricostruzione si decise di invertire il senso della Chiesa e così, come avvenne in tante altre Chiese genovesi, quello che era l'abside diventò l'ingresso.
Se percorrete i vicoli alla destra e alla sinistra della Chiesa, sul fondo potrete ancora notare gli antichi archi e pilastri medievali da dove si entrava in Chiesa anticamente.
La seconda guerra mondiale, come documenta la foto qui sotto, portò nuovamente gravi danni alla chiesa.
La Chiesa di San Pancrazio dopo i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale


Dal 1976 è affidata alla delegazione ligure del Sovrano Militare Ordine di Malta che nei locali attigui alla chiesa gestisce un poliambulatorio.
All'interno della chiesa, tra le tante opere, ricordiamo in particolare il paliotto e la statua di San Pancrazio sull'altare maggiore, opere seicentesche di Filippo Parodi, la volta affrescata dal bolognese Giacomo Antonio Boni con "San Pancrazio portato in cielo dagli angeli", una Madonna della Misericordia, opera di Francesco Maria Schiaffino, sull'altare laterale sinistro, e il vero tesoro della chiesa, il Trittico fiammingo di San Pancrazio, risalente alla prima metà del XVI secolo, una splendida opera che da sola vale la visita della Chiesa.
Il grandioso trittico, attribuito al fiammingo Adriaen Isenbrant (anche se non tutta la critica è concorde su ciò), raffigura "Il Redentore fra i Santi Pancrazio e Giovanni Evangelista" nella pala centrale, San Pietro e San Paolo nelle due portelle laterali aperte e San Pancrazio a monocromo con Cornelio, il Papa che lo battezzò, ad ante chiuse. La scena pittorica prende spunto dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, libro che potete osservare tra le mani di San Pietro nella portella laterale. Il paesaggio ove si svolge la scena  centrale è Roma e guardando con attenzione si riconoscono monumenti quali il Colosseo, il Pantheon, Castel Sant'Angelo e la Basilica costantiniana di San Pietro (prima cioè della ricostruzione del XVI Secolo che le diede l'aspetto che oggi tutti conosciamo).
Il trittico era posto probabilmente sull'altare maggiore della Chiesa e vi rimase finchè la Chiesa fu ricostruita a seguito della distruzione provocata dalla bombe del Re Sole. Sull'altare venne posta la statua di San Pancrazio mentre il trittico fu smembrato in due parti e appeso sulle pareti laterali della Chiesa. 
Recentemente è stato restaurato e ricomposto dietro l'altare maggiore.
Una curiosità: il bel pulpito alla sinistra dell'altare e i quattro stemmi in controfacciata provengono dalla diruta Chiesa di San Domenico.
Se volete visitarla, il sabato pomeriggio alle 17 viene celebrata la Messa in latino.



Particolare degli interni della Chiesa di San Pancrazio dove si notano, in primo piano, la statua di San Pancrazio, opera di Filippo Parodi, e, sullo sfondo, la volta affrescata dal bolognese Giacomo Antonio Boni
(foto di Antonio Figari)


Lo splendido trittico fiammingo di San Pancrazio
(foto di Antonio Figari)




19. San Siro

19.1 La Chiesa

La cupola della Chiesa di San Siro vista dall'ingresso laterale
(foto di Antonio Figari)
Una delle meraviglie della Chiesa di San Siro è questo "tendone" di stucco che fuoriesce dalla facciata laterale
(foto di Antonio Figari)


I magnifici affreschi di Giovanni Battista Carlone nella Chiesa di San Siro
(foto di Antonio Figari)


La cupola della Chiesa di San Siro
(foto di Antonio Figari)


L'abside della Chiesa di San Siro
(foto di Antonio Figari)


Questi due leoni stilofori, una volta posti ai lati di un ingresso laterale della Chiesa di San Siro, splendido esempio di romanico a Genova, sono ora conservati nel Museo di Sant'Agostino di Genova
(foto di Antonio Figari)



19.2 Il chiostro

I Padri Teatini, a cui la Chiesa di San Siro fu affidata da Papa Gregorio XIII nel 1575, oltre al rifacimento della Chiesa stessa decisero di costruire anche un convento e un chiostro mutilati purtroppo dall'ottocentesco tracciamento di Via Cairoli, la cosiddetta "strada nuovissima".
Nonostante gli stravolgimenti urbanistici il chiostro è tuttora visibile: per entrarVi chiedete ai volontari della Chiesa di San Siro oppure, come me, affidateVi alla fortuna e a qualche anima che Vi faccia entrare.


19.3 Bagni San Siro

In mezzo al chiostro della Chiesa di San Siro c'è una struttura alquanto insolita, sapete di cosa si tratta? Quello che un tempo era il pozzo centrale dell'antico chiostro è divenuto il fulcro di una nuova struttura.
Sono i "Bagni San Siro", edificati nel 1907. Come mi racconta il mio elenco telefonico del '31 (di cui Vi parlo ampiamente nella pagina di questo sito la VITA nei VICOLI nel 1931)  vi erano due entrate, una da Via Cairoli 2 ed un'altra da Salita San Siro 5.
La struttura, a pianta circolare, è ancora leggibile nelle colonne e nelle mensole di ghisa che sono sopravvissute agli anni e ai cambiamenti di destinazione che questo complesso ha subito.

Il padiglione centrale e la cupola dei Bagni San Siro
(foto di Antonio Figari)

Vi era un pozzo centrale cinto da dieci colonne di ghisa intorno alle quali correva ad anello un corridoio. Su di questo si aprivano 14 porte profilate di marmo ed altrettanti bagni, ognuno dei quali rivestiti di piastrelle bianche ancora visibili in alcuni punti della struttura.

Parte delle strutture interne e sullo sfondo alcune delle piastrelle degli antichi Bagni
(foto di Antonio Figari)



Particolare della Struttura in ghisa dei Bagni
(foto di Antonio Figari)



Particolare della Struttura in ghisa dei Bagni
(foto di Antonio Figari)



Il tutto è  sormontato da una cupola dall'orientaleggiante forma a bulbo, che tanto ricorda strutture arabe ma anche quelle pagode dei templi buddisti dai tetti d'oro dell'estremo oriente.


La cupola dei Bagni San Siro
(foto di Antonio Figari)

Intorno alla struttura principale vi erano le docce e i locali di servizio tra cui quelli per il riscaldamento dell'acqua.
L'iniziale successo di questo bagno pubblico purtroppo non durò a lungo e già negli anni '30, si racconta nelle cronache dell'epoca, i bagni erano divenuti un postribolo...eh sì... avete capito bene, nel cattolico chiostro vi era una struttura in antitesi con la sacralità del luogo. La Seconda Guerra Mondiale non risparmiò questa piccola meraviglia che subì alcuni danni. In seguito divenne poi un magazzino per materiale idraulico (altra cosa curiosa se pensiamo all'originaria destinazione delle struttura) e poi una libreria come si vede ancora oggi che sopravvivono alcuni scaffali con libri.
Oggi, in stato di semi-abbandono, è oggetto di restauro come suggeriscono anche le impalcature all'interno. In realtà un condomino del complesso, quell'anima pia che mi ha aperto la porta del chiostro,  mi ha raccontato che son anni che ci sono i lavori ma che essi procedono molto a rilento. Vedremo cosa ne sarà di questa struttura nella speranza che sia preservata almeno per quel poco che ne resta.


20. San Luca

Cappella gentilizia degli Spinola e dei Grimaldi, essa venne fondata nel 1188 da Oberto Spinola, su un terreno di proprietà di Oberto Grimaldi.
Le sue attuali forme risalgono all'intervento secentesco dell'architetto Carlo Mutone.
All'interno la piccola chiesa di San Luca è un piccolo scrigno che conserva splendidi affreschi, opera di Domenico Piola e di Antonio Maria Haffner, la statua in marmo dell'Immacolata posta sull'altare e la scultura lignea del "Cristo deposto" (secondo la tradizione resa policroma con l'intervento di Domenico Piola), entrambe opera di Filippo Parodi, e uno dei più bei quadri di tutte le chiese del centro storico di Genova, che da solo merita la visita a  San Luca: l'Adorazione dei pastori, capolavoro di Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto.


La facciata di San Luca
(foto di Antonio Figari)

La splendida cupola della Chiesa di San Luca con l' "Incoronazione della Vergine" affrescata da Domenico Piola
(foto di Antonio Figari)



Un'immagine della Chiesa di San Luca alzando lo sguardo in alto
(foto di Antonio Figari)


L'interno della Chiesa di San Luca
(foto di Antonio Figari)



21. San Francesco di Castelletto

Disegno della facciata di quella che fu la Chiesa di San Francesco di Castelletto
(foto di Antonio Figari)


La Chiesa di San Francesco, con annesso convento, edificata nel XIII secolo, sorgeva alle pendici del Castelletto, lungo la cinta muraria del 1155 d. C..
La facciata, con le tipiche bande bianco e nere di marmo e pietra di Promontorio, si affacciava sull'odierna Salita di San Francesco, dietro Palazzo Bianco di Via Garibaldi (il quale verrà edificato proprio confinante con il complesso conventuale).
L'interno, grande e spazioso, diviso in tre navate, raccoglieva splendidi monumenti funebri delle famiglie nobili genovesi ma non solo: anche la regina Margherita di Brabante, moglie di Enrico VII, prematuramente morta a Genova, aveva qui il suo monumento funebre.

Ciò che resta del monumento funebre di Margherita di Brabante, conservato al Museo di Sant'Agostino
(foto di Antonio Figari)

Quest'ultimo, come molti altri capolavori di questa chiesa, è oggi conservato nel Museo di Sant'Agostino in Piazza Sarzano a Genova, vera e propria miniera d'arte poco conosciuta e da genovesi e turisti.
La storia di questa chiesa si interseca, come spesso accade in una città come Genova stretta tra mare e monti, in costante ricerca di nuovi spazi, con l'espansione urbanistica. Dapprima la costruzione di Via Garibaldi e dei suoi palazzi  riduce lo spazio conventuale destinato alle sepolture all'aperto. In seguito essa viene colpita dai pesanti bombardamenti francesi secenteschi (la sua posizione ai piedi del Castelletto non era certo d'aiuto).
Nell'Ottocento infine, per ingrandire i giardini di Tursi  e liberare spazio sotto il Castelletto, la Chiesa viene definitivamente demolita.
Non tutto però è scomparso: alcune formelle e monumenti funebri sono conservati nel Museo di Sant'Agostino, formelle bronzee raffiguranti scene della Passione di Cristo e statue del Gianbologna che adornavano la Cappella Grimaldi della Chiesa sono conservate rispettivamente nella Cappella e nell'Aula Magna dell'Università in Via Balbi 5; nei giardini dietro Palazzo Bianco si vedono parte delle fondamenta della Chiesa e resti delle colonne addossate al palazzo costruito su parte della Chiesa; l'antico cimitero, portato alla luce da recenti scavi, è anch'esso proprio a ridosso di Palazzo Bianco.

Una delle colonne della Chiesa di San Francesco, oggi addossata al palazzo che sorge su parte dell'antica Chiesa
(foto di Antonio Figari)

Altre colonne addossate al palazzo costruito su parte della Chiesa
(foto di Antonio Figari)


Il palazzo a nord, poggiato sulla navata laterale sinistra della chiesa, non è l'unico edificio poggiante su quello che fu il complesso di San Francesco. Dietro a questo infatti vi è una scuola che conserva ancora l'antica mensa dei frati, ma è soprattutto il palazzo confinante nell'omonima salita a conservare antichi splendori di San Francesco. Superato il portone e le scale si giunge in quello che fu parte di uno dei chiostri del monastero e aprendo una porta sulla sinistra eccoci nella sala capitolare del convento, gioiello roccocò recentemente restaurato, sede di un laboratorio di restauro e per questo, con un pò di fortuna, visitabile.
L'altro chiostro del Convento, demolito nell'ottocento, si trovava dove oggi sorgono le palazzine dietro Palazzo Tursi.
Su Salita San Francesco, proprio dove un tempo vi era la facciata della chiesa, si possono osservare due grandi colonne, un tempo facenti parte della cappella dedicata a Sant'Antonio di cui sorreggevano l'altare.


Un cortile, un prato, resti di colonne e fondamenta disegnate nel terreno non è tutto ciò che rimane della Chiesa di San Francesco di Castelletto
(foto di Antonio Figari)


22. Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani


22.1 La Chiesa

Le prime notizie di questa Chiesa risalgono a prima del X secolo. Essa nasce lungo l'antica via romana che correva all'esterno delle mura della città di epoca carolingia, una sorta di circonvallazione a monte dell'epoca (ed è per questo che, come pochi sanno, l'andamento di Via della Maddalena è curvilineo poiché seguiva le mura, e non rettilineo come la maggior parte delle altre vie dei vicoli).
Con la costruzione delle Mura cosiddette del Barbarossa la Chiesa viene inglobata all'interno della cinta muraria.
Dopo secoli di alterna fortuna, la Chiesa fu affidata ai Padri Somaschi (i quali ancora oggi la officiano) nel 1575, che aggiunsero all'antico titolo quello del loro Santo fondatore, San Girolamo.
L'aspetto attuale di questa Chiesa è frutto dei restauri secenteschi i quali cambiarono volto alla Chiesa: essa venne "capovolta" e l'ingresso venne portato a levante (come successe in altre Chiese di Genova), venne aggiunto il portico davanti all'ingresso, e nell'interno Galeotti, noto pittore di molti edifici religiosi genovesi, affrescò la volta e la cupola, quest'ultima con la "Gloria di Santa Maria Maddalena", il presbiterio e l'abside.

La volta della Chiesa di Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani
(foto di Antonio Figari)

La cupola della Chiesa di Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani
(foto di Antonio Figari)



La Natività di Tommaso Orsolino nella Chiesa di Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani
(foto di Antonio Figari)



A fianco dell'altare, prima della sacrestia, sono conservate ancora le statue trecentesche un tempo sulla balaustra.
A nord della Chiesa c'è ancora l'antico Chiostro, in parte tamponato, dal quale alzando gli occhi si gode una splendida vista della cupola della Chiesa.


22.2 Il mistero dell'Ordine dei Rosacroce

Avete mai sentito parlare dell'ordine dei Rosacroce?
Esso è un ordine cavalleresco segreto fondato, secondo la leggenda, nel 1407 da un pellegrino tedesco, Christian Rosenkreuz (rosen=rosa, kreuz=croce).
Secondo altre fonti invece l'ordine sarebbe stato fondato nel 46 d.C. dal saggio gnostico alessandrino Ormus che, dopo essersi convertito al Cristianesimo ad opera di San Marco, fuse elementi della tradizione esoterica egiziana con altri tratti dalla dottrina cristiana. Rosenkreuz, secondo queste fonti, sarebbe stato iniziato ai segreti di quest'ordine divenendone gran maestro.
Leggendo le molte opere che ne parlano, in realtà sembra che l'ordine dei Rosacroce fosse formato in massima parte da religiosi  che condividevano tra loro alcuni punti di vista riformatori della dottrina cristiana. Le opere a noi pervenute sono ricche di riferimenti all'occultismo ed al misticismo tipici delle società segrete con rifermenti a significati nascosti delle parole e delle figure retoriche comprensibili solo a coloro che erano iniziati al segreto dei Rosacroce.
Due sono gli scritti a noi pervenuti: "Fama fraternitatis Rosae Crucis" del 1614, che racconta la vita di Christian Rosencreuz, e "Le nozze chimiche di Christian Rosenkreuz" o "Le nozze alchemiche di Christian Rosenkreuz", romanzo allegorico scritto da Johann Valentinus Andreae.
La confraternita dei Rosacroce ebbe adepti anche a Genova. 
Nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, una lastra tombale con disegnata una rosa ci riporta ad essi ed ai loro segreti. L'avete mai vista?
Essa, recante la data 1684, si trova ai piedi del primo altare nella navata sinistra: il nome del defunto è sbiadito ma la rosa è ancora ben visibile. Piace pensare che colui che qui riposa fu probabilmente un adepto dell'Ordine dei Rosacroce anche se nessuna fonte storica può confermare ciò.

La lastra tombale con la rosa
(foto di Antonio Figari)



23. San Matteo


23.1 La Chiesa

Fondata nel 1125 da Martino Doria per dare alla sua famiglia una cappella gentilizia fu trasformata esternamente nelle forme gotiche che ancora oggi vediamo nel 1278.
La Chiesa venne dedicata a San Matteo, che di mestiere faceva il gabelliere, mestiere esercitato anche dalla famiglia Doria  per la Repubblica di Genova.
In facciata, accanto all'ingresso, alzando gli occhi noterete parte di un sarcofago romano: esso raffigura l'allegoria dell'autunno; già parte del sepolcro di Lamba Doria,  fu lui stesso a portarlo a Genova da Curzola dopo la vittoria genovese sui veneziani avvenuta l'8 settembre 1298.

Una foto ottocentesca di Alfred Noack della Chiesa di  San Matteo



La facciata della Chiesa di San Matteo oggi
(foto di Antonio Figari)

L'Allegoria dell'Autunno in facciata della Chiesa di San Matteo
(foto di Antonio Figari)

La cupola e sulla sinistra il piccolo campanile della Chiesa di San Matteo
(foto di Antonio Figari)


L'interno fu rinnovato nel Cinquecento per volere di Andrea Doria ed i lavori furono affidati prima a Montorsoli  e poi al Bergamasco.
Sotto l'altare maggiore è conservata una spada che la tradizione ci racconta appartenuta proprio ad Andrea Doria, il quale la ricevette in dono da Papa Paolo III.
Prima Vi ho parlato del sarcofago romano in facciata proveniente da Curzola; esso non è l'unico trofeo di guerra qui presente: all'interno della Chiesa Oberto Doria volle collocare lo stendardo di una galera pisana preso nella battaglia della Meloria del 1284.
Inoltre la Chiesa di San Matteo è nota per "ospitare", si dice, il fantasma di Branca Doria la cui storia trovate nella pagina de "i FANTASMI di GENOVA".

L'interno della Chiesa di San Matteo
(foto di Antonio Figari)
Una delle meraviglie all'interno di questa Chiesa è la "Deposizione di Cristo nel Sepolcro" opera di Anton Maria Maragliano: gli splendidi abiti dai colori caldi di  Giuseppe di Arimatea e Nicodemo contrastano con il corpo esanime dai colori freddi di Gesù.

La "Deposizione di Cristo nel Sepolcro" opera di Anton Maria Maragliano
(foto di Antonio Figari)
Sotto la Chiesa merita una visita la cripta che custodisce la tomba di Andrea Doria, opera del Montorsoli.


23.2 Il chiostro

Il pozzo al centro del Chiostro di San Matteo e le colonne binate sullo sfondo
(foto di Antonio Figari)
Il lungo filare delle colonne binate nel Chiostro di San Matteo
(foto di Antonio Figari)

Uno dei corridoi coperti che corrono intorno al Chiostro di San Matteo
(foto di Antonio Figari)

La storia del chiostro di San Matteo, come quella della omonima Chiesa, si lega alle guerre tra Genova e Venezia ed in particolare alla vittoria dei Genovesi sui Veneziani avvenuta a Curzola l'8 settembre 1298, battaglia nella quale i genovesi fecero 7.000 prigionieri veneziani tra cui Marco Polo che a Genova scriverà il suo Milione. 
E prigioniero in questa battaglia è anche Marco Veneto, l'artista che realizzò il chiostro ed a cui si deve probabilmente anche la lunetta sopra il portale della Chiesa di San Matteo: lunetta di gusto tipicamente veneziano.
Il chiostro, di forma quadrangolare e composto da colonne binate che correggono archi a sesto acuto, venne edificato tra il 1308 ed il 1310 come ci ricorda l'iscrizione su un capitello d'angolo presso l'ingresso e la sua edificazione avvenne per volontà del priore di San Matteo, Andrea da Goano.
Se Vi capita di riuscire ad entrarvi perdetevi nell'osservare i capitelli delle colonne: si parte da elementi vegetali, si passa a figure di animali come aquile, per giungere a volti umani e leonini.  Uno dei più bei capitelli è quello nell'angolo nord-ovest, l'unico scolpito con figure di Santi.

Particolare del capitello nell'angolo nord-ovest del Chiostro di San Mattteo
(foto di Antonio Figari)

Particolarmente bella è la cassa marmorea voluta nel 1356 da Raffaello Doria, come recita l'iscrizione su di essa, per custodirvi i corpi dei Santi Martiri  Mauro ed Eleuterio, raffigurati sui lati della cassa: i corpi dei due Santi furono trafugati da Pagano Doria a Parenzo l'11 agosto 1354 durante la guerra con Venezia (ecco un altro collegamento con la città lagunare) per essere custoditi all'interno della Chiesa di San Matteo fino al 1934 quando furono restituiti alla città istriana e la cassa oramai vuota venne collocata nel chiostro.

La cassa dove erano custoditi i corpi dei Santi Mauro ed Eleutetio
(foto di Antonio Figari)


24. San Domenico
Incisione di F.B. Werner raffigurante il Convento di San Domenico


La storia del complesso monastico di San Domenico affonda le sue radici nel XIII Secolo.
Dopo la visita di Domenico di Guzmàn a Genova tra il 1214 e il 1215, in città venne fondata una piccola comunità domenicana che ottenne dal Comune la chiesa di Sant'Egidio. 
In seguito i Domenicani fecero erigere una nuova chiesa con annesso convento la cui edificazione si protrasse fino al 1440 quando terminarono i lavori per la facciata che seguiva ancora i dettami dell'arte tardo gotica con le tipiche strisce bianco e nere tipiche della tradizione genovese.
L'anonimo del 1818 ci racconta che essa è il "tempio più vasto di Genova, poiché conta 360 palmi nella sua lunghezza con una facciata imponente in marmi neri e bianchi di gotica architettura".
Al suo interno vi erano opere dello Strozzi (il famoso affresco del Paradiso di cui si conserva all'Accademia Ligustica il volto di San Giovanni Battista ed il bozzetto nei depositi di Palazzo Bianco), uno splendido altare marmoreo nella cappella dedicata a San Domenico (opera di G.B. Casella, oggi divenuto altar maggiore della chiesa di San Carlo). Di Domenico Piola erano gli affreschi che decoravano la cappella del Crocifisso. La cappella del Rosario conservava una "Disputa di Gesù co' dottori della Chiesa", opera di Domenico Fiasella, un "Presepio" di Gio Andrea de Ferrari e una "Annunciazione " di Gio Battista Carlone. 
Queste poco sopra descritte sono solo alcune delle tante opere d'arte che avreste potuto osservare in San Domenico.
La storia di questo complesso monastico si conclude alla fine del settecento con i moti giacobini e la cacciata dei domenicani: nel 1797 il complesso monastico è utilizzato dal Genio per la parte relativa alla chiesa mentre il convento viene  utilizzato quale caserma. Nel 1819 inizia la demolizione del complesso che risparmia solo la navata sinistra e l'abside al fine di creare una nuova piazza e una caserma.
Nel  1820 in un'asta pubblica vengono disperse molte delle opere qui conservate. Altre verranno invece portate all'Accademia Ligustica (come le monumentali colonne in cima allo scalone) che nascerà di lì a breve. Oggi molte sculture e materiale lapideo sono conservati nel Museo di Sant'Agostino. 
Nel 1821 Carlo Barabino progetta un nuovo edificio che ospiterà l'Accademia Ligustica e la Biblioteca Civica, edificio che insiste proprio su quel che ancora non era stato demolito.
Sullo spazio un tempo occupato dalla chiesa sorgerà nel 1826 (la prima pietra sarà posta il 29 marzo di quell'anno) il Teatro Carlo Felice, anch'esso progettato dal Barabino. Il teatro verrà inagurato il 7 aprile del 1828.
Un'ultima curiosità: nell'incisione che trovate all'inizio di questo paragrafo avrete notato un bel barchile al centro della piazza. Esso, oggi scomparso, è stato più volte spostato e ha concluso la sua esistenza non lontano di qui. Vi rimando al paragrafo 5.4 della pagina de l'ACQUA pubblica per approfondire la sua storia. 



G. Brusco - "Pianta della chiesa e convento di S. Domenico come sta al presente" in un album di progetti per adattarlo a sede del Direttorio Nazionale, 1798


Luigi Garibbo "Rovine di San Domenico" (Genova, Collezione topografica del Comune)



Le monolitiche colonne di Portoro, alte sei metri e provenienti dalla chiesa di San Domenico,  sono oggi collocate nella loggia al secondo piano dell'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Un tempo facevano parte della cappela di San Domenico nela transetto sinistro della chiesa.
(foto di Antonio Figari)



25. Sant'Andrea

Nello spazio oggi occupato dall'edificio della Banca d'Italia, prima degli sbancamenti di fine '800 che porteranno alla nascita di Via XX Settembre e Via Dante, sulla collina detta del Brolio, sorgeva l'antico Monastero dedicato a Sant'Andrea.
Varcata la soglia di Porta Soprana, da quello che ancora oggi è chiamato "Piano di Sant'Andrea", partiva una salita che portava in questo complesso religioso risalente al XII Secolo.
Appartenuto in origine alle Monache Benedettine, passa nel XVI Secolo alle Monache Agostiniane che qui staranno fino al 1798 quando, con le leggi di soppressione degli ordini religiosi, il convento dovette essere abbandonato. 
Nel 1817 il complesso monasteriale viene convertito in carcere e tale rimarrà fino alla sua demolizione nel 1904.
Dell'antico convento, che conservava opere di Luca Cambiaso, Giovanni Carlone, Domenico Piola e Domenico Parodi, è ancora in piedi solo l'antico chiostro, smontato e ricostruito nel 1924 nello spazio dove ancora oggi è visitabile, tra Vico Dritto Ponticello e Via Dante: risalente al XII Secolo, in stile romanico e a pianta rettangolare, è costituito da colonnine binate che diventano sei ai quattro lati del chiostro. I capitelli con motivi fitomorfi e zoomorfi  (foglie d'acanto o motivi vegetali come pigne o fiori, ed altri con più complesse raffigurazioni come una scena della Fuga in Egitto e una scena della Strage degli Innocenti) abbelliscono il tutto facendoci solo intuire, purtroppo, la bellezza che caratterizzava l'intero complesso.
Fu Alfredo D'Andrade che riuscì, dopo una lunga battaglia, a non far demolire la parte inferiore del chiostro e a farlo ricostruire qui dove oggi lo vediamo.
Un'ultima curiosità: nel carcere di Sant'Andrea venne rinchiusa Francisca Carbone, detta "Bricicca", protagonista del romanzo "La bocca del lupo" di Remigio Zena.


Il Chiostro di Sant'Andrea
(foto di Antonio Figari)


Un capitello raffigurante un angelo
(foto di Antonio Figari)




Capitello zoomorfo del Chiostro di Sant'Andrea
(foto di Antonio Figari)


Capitelli zoomorfi del Chiostro di Sant'Andrea
(foto di Antonio Figari) 









26. Gesù e dei Santi Ambrogio e Andrea

La facciata della Chiesa del Gesù
(foto di Antonio Figari)

I fiori del Sepolcro del Venerdì Santo del 2013
(foto di Antonio Figari)




27. San Donato

27.1 La Chiesa


La Chiesa di San Donato dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: solo il campanile è rimasto miracolosamente in piedi senza danni


La facciata della Chiesa di San Donato
(foto di Antonio Figari)


L'interno della Chiesa di San Donato
(foto di Antonio Figari)


Le bifore del falso matroneo della Chiesa di San Donato
(foto di Antonio Figari)



 27.2 San Donato e l'indulgenza quotidiana

"INDULGENTIA PLENARIA QUOTIDIANA PERPETUA",  così recita questa lapide marmorea posta sopra l'ingresso della Chiesa di San Donato: partecipando alla celebrazione eucaristica in questa chiesa e alle condizioni che vi vengono richieste, potrete beneficiare dell'indulgenza tutti i giorni. 
 
(foto di Antonio Figari)




28. San Bernardo


In quella che chiamiamo Piazza San Bernardo, nell’edificio che fa angolo con Vico Vegetti, oggi occupato una scuola e al piano terreno dalla bottega storica “Moretti”, sorgeva un tempo la Chiesa dedicata a questo Santo, uno dei patroni della nostra città dal 1625.

Essa venne edificata nel 1627, a seguito di un voto fatto da Genovesi dopo il buon esito della guerra contro il Ducato di Savoia capitanato da Carlo Emanuele, sulle fondamenta del demolito palazzo di Claudio De Marini, colpevole di congiura contro la Repubblica. 

Il Canalis così descrive la vicenda: “Questo santo abbate di Chiaravalle molto amorevole de’ genovesi venne eletto protettore di Genova nel 1625, e due anni appresso si cominciò ad eseguire il voto del senato innalzandogli a spese pubbliche una chiesa offerta a’ cistercensi riformati detti fogliesi, ed anche bernardoni, con parte de’ 7 maggio 1628 accetta in Roma da’ superiori dell’Ordine il dì 4 ottobre dell’anno medesimo” (N. Perasso, “Memorie e notizie di chiese e opere pie di Genova”).

Secondo l’Alizeri architetto dell’edificio fu Francesco da Novi.

L’Anonimo del 1818, nella sua descrizione della città di Genova, così descrive gli interni “La tavola dell’altar maggiore con la Vergine e il santo Titolare è del Borzone, quelle alle due cappelle del Battesimo di Cristo e del Crocefisso son del Merani. La statua della Vergine è di Giovan Battista Bissoni.”

L’attigua area di Palazzo Paolo De Benedetti, il cui ingresso è su Piazza San Donato, nel corso nel XVII Secolo, insieme ad alcuni edifici adiacenti, diventa sede del Convento di San Bernardo.

Nella Chiesa, espropriata, prima del 1846 viene istituita una Scuola di Carità per 300 bambini, come ci racconta l’Alizeri.

Nel 1875 viene ristrutturata e diventa una scuola comunale. Oggi è ancora sede di una scuola, mentre i locali al pian terreno sono occupati dalla bottega storica “Moretti”.

Dell’antica chiesa rimangono alcune lapidi (una al pian terreno dell'edificio che la ospitava ed altre in facciata nel retro del palazzo stesso) ed il campanile, che ha perso l’antica funzione venendo suddiviso in appartamenti ma non la caratteristica forma allungata che svetta sui palazzi adiacenti (vi rimando alla pagina de i CAMPANILI di GENOVA per approfondire).

Una curiosità del rapporto tra i genovesi e San Bernardo: dopo la sua elezione tra i protettori della città il santo comparirà anche nelle monete genovesi o meglio in una moneta, il “cavallotto” d’argento (solo un esemplare, di questa rarissima moneta, risalente al 1630, è giunto fino a noi). Sulla moneta, intorno alla figura del santo  vi è la scritta "non obliviscar tui", frase tratta da  una lettera che San Bernardo aveva scritto ai genovesi. Si pensa che questa moneta sia stata emessa per celebrare l'elezione di San Bernardo a Protettore della Repubblica nel 1625.



Il campanile di San Bernardo, in primo piano al centro della foto, e dietro la Facoltà di Architettura e il campanile di San Silvestro
(foto di Antonio Figari)
 


29. San Lorenzo

La splendida facciata bicroma della Cattedrale di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)



Una foto ottocentesca di Alfred Noack della Cattedrale di  San Lorenzo



Il meraviglioso interno della Cattedrale di San Lorenzo la cui bellezza è ancor più esaltata dal gioco di luci ed ombre
(foto di Antonio Figari)


Le arcate tra una navata e l'altra in San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)


L'interno di San Lorenzo visto dalla Tribuna del Doge
(foto di Antonio Figari)

La loggia di Giovanni da Gandria sulla torre nord-est della Cattedrale di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)



29.1 La lunetta sopra il portale

Particolare della facciata della Cattedrale di San Lorenzo con in primo piano la lunetta
(foto di Antonio Figari)


L'apparato decorativo della cattedrale ci dà modo di conoscere la storia della vita di San Lorenzo. Ne è esempio la lunetta del portale maggiore in cui è raffigurato il Martirio di san Lorenzo. Quest'opera, risalente al 1225 ca., ed eseguita da un ignoto artista detto "Maestro della lunetta della Cattedrale" nasconde una curiosità: sotto Cristo Giudice è raffigurato il Santo nudo sulla graticola. Se guardate con attenzione potrete notare sotto di essa alcuni tubicini di ferro. Questi ultimi sono collegati ad un serbatoio che conteneva olio da ardere: anticamente, il 10 agosto, giorno in cui la Chiesa ricorda il Santo,  facendo ardere questi tubicini, veniva ricreato un effetto di fiamma dando realismo a questa scena che, come vi dicevo, rappresenta il martirio di Lorenzo il quale venne appunto bruciato vivo sulla graticola il 10 agosto 258 d.C. all'età di 33 anni.
Da notare anche i due uomini ai lati della graticola che con due grandi mantici alimentano il fuoco: il tutto contribuisce al grande realismo della scena.

Particolare della lunetta


29.2  I sarcofagi romani in facciata

L'area ove sorge la Cattedrale di San Lorenzo in epoca pre-romana era una necropoli e questa funzione continuò anche in età romana: molti sarcofagi della necropoli romana furono riutilizzati e inseriti in facciata lungo le fasce di marmo bianco ed ancora oggi sono visibili anche se posti a parecchi metri da terra.


29.3 La scacchiera, il cagnolino, l'asino con l'arpa e gli altri misteriosi simboli della facciata del Duomo


La scacchiera incastonata in facciata di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)


Sulla facciata laterale occidentale della Cattedrale di Genova, quella meno osservata da tutti, tra le bande bianco e nere  è incastonata una scacchiera bicroma a quadretti bianchi e rossi, composta da 64 caselle. Cosa starà a significare? Non è un simbolo isolato perché scacchiere come questa sono scolpite anche sulle facciate di chiese di altre città come su quella della Cattedrale di Crema.
La scacchiera è il simbolo del dualismo tra positivo e negativo, tra bene e male, tra luce e tenebra, tra fortuna e sfortuna: un gioco insomma che fa alternare forze opposte nella vita di ciascun esser umano. Gli scacchi inoltre, secondo la tradizione, rimandano al simbolismo dei Cavalieri Templari, presenti a Genova presso la chiesa di Santa Fede, che qui  lasciarono molte tracce del loro passaggio, come anche fecero i Cavalieri Gerosolimitani una cui lapide è collocata sull'altra facciata laterale di San Lorenzo. D'altronde proprio gli scacchi rappresentano un gioco che rimanda alla guerra tra cavalieri e alle strategia per una sicura vittoria ed i Templari, monaci guerrieri, dell'arte della guerra erano esperti.
Secondo un'altra interpretazione invece essa sarebbe la scacchiera usata da Megollo Lercari nella partita contro Andronico (di cui trovate la storia nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte) nel paragrafo dedicato a Palazzo Franco Lercari).





A destra del portale laterale orientale che insiste sulla facciata principale della Cattedrale, alla base di una colonna, se guardate bene potrete notare un piccolo cane scolpito nel marmo.
Secondo una leggenda si tratterebbe del cane di uno degli scultori (o secondo altre versioni, del cane di un suo amico) smarrito durante i lavori di costruzione della cattedrale nel XIV secolo. A perenne ricordo del fedele animale lo scultore (o i suoi amici scultori per consolarlo) decisero di scolpirne le fattezze nel marmo di San Lorenzo. In realtà sculture zoomorfe di questo tipo sono tutt'altro che rare nell'arte del XIII secolo (simili animali sono scolpiti per esempio nei marmi del Chiostro di Sant'Andrea di cui trovate la storia al paragrafo 25 di questa pagina).



Sul lato  destro del Portale di San Gottardo (il portale della Cattedrale che affaccia su Via San Lorenzo) c'è un asino che suona un'arpa. Il suo significato è controverso: se per alcuni esso simboleggerebbe le cose che si vorrebbero fare ma non si possono compiere perché non ne siamo in grado, per altri invece l'asinello musicista rappresenterebbe l'anelito verso Cristo cui tendono tutte le creature della Terra.
Sul portale centrale, sullo stipite in alto a sinistra, c'è una donna che allatta due uomini: è la personificazione della Conoscenza che allatta i filosofi. Specularmente sulla destra c'è una figura maschile barbuta che incrocia le mani e le pone sulle teste di due fanciulli: in questo caso potrebbe trattarsi di una sorta di rito di iniziazione (il vecchio sarebbe il maestro ed i giovani i suoi discepoli).


29.4 Il proiettile inesploso
 

 

  

Il 9 febbraio 1941 alle 8:15 inizia un pesante bombardamento su Genova ad opera degli inglesi: tra i tanti, un proiettile da 381 mm, tirato dai cannoni della corazzata "HMS Malaya" o dell'incrociatore da battaglia "HMS Renown", sfonda il tetto della Cattedrale di San Lorenzo e cade a terra senza esplodere. 

In realtà, quello che vediamo esposto in San Lorenzo, intatto, è un proiettile identico a quello caduto sulla Cattedrale il quale, miracolosamente inesploso, fu fatto brillare in mare. Le cronache dell'epoca infatti raccontano che "sotto la direzione delle autorità militari preposte alla difficile e pericolosa operazione, è stato rimosso da S. Lorenzo il proiettile rimastovi inesploso la mattina del 9. A mezzo di grue costruita appositamente da artiglieri e da operai specializzati nell'interno del duomo, il proiettile a cui era stata tolta la spoletta, è stato sollevato e caricato su un carrello con le ruote di gomma, quindi trasportato fuori dalla Chiesa, dove, a mezzo della grue dei Vigili del Fuoco, è stato susseguentemente trasbordato sopra un autocarro che si è poi diretto al mare. Il micidiale ordigno è stato caricato poi su una chiatta e trasportato al largo, dove è stato gettato in mare. La difficoltosa operazione è costata cinque ore di lavoro." (Secolo XIX, 18 febbraio 1941).

La lapide che è accanto al proiettile, che lo descrive come il proiettile originale, andrebbe quindi modificata. 

Poco importa in realtà che sia l’originale o una copia, quello che importa davvero è ciò che il "proiettile", o "bomba" che dir si voglia, significa per noi genovesi: un ricordo indelebile di quello che fu la guerra per la nostra città ed in particolare quel 9 febbraio 1941 quando le bombe inglesi fecero morti e feriti in tutta la città, ed allo stesso tempo un evento miracoloso che preservò San Lorenzo dalla distruzione.

 
I segni del proiettile nella Cattedraldi San Lorenzo

 
Questo non è l'unico proiettile inglese del 9 febbraio 1941 che si conserva a Genova: Vi rimando al paragrafo 20 della pagina de le PIETRE parlanti  per approfondire questo argomento. 


29.5 Il Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo


La sala centrale del Museo
(foto di Antonio Figari)

Il Tesoro della Cattedrale ha un'origine antica che si pone presumibilmente tra il XII ed il XIV secolo mentre si sta elevando la cattedrale, consacrata il 10 ottobre 1118 da Papa Gelasio II (nel museo odierno è conservata la bolla per la consacrazione della cattedrale stessa). Gli oggetti facenti parte del Tesoro erano conservati in luoghi differenti della Cattedrale e della sacrestia, senza un ordine preciso se non quello collegato al loro utilizzo per le varie funzioni religiose. La prima idea di realizzare una esposizione ordinata risale al 1892 (anno delle celebrazioni per i 400 anni dalla scoperta dell'America), quando i tre enti proprietari degli oggetti ossia il Comune di Genova, la Protettoria di San Giovanni Battista e il Capitolo della Cattedrale stipularono tra loro un accordo per raccogliere tutte le opere in un unico ambiente che venne individuato in un locale attiguo alla cappella della sacrestia principale della Cattedrale, oggi chiamato "Tesoretto". Qui, in tre grandi armadi di ferro (che corrispondevano alla tre proprietà degli oggetti), muniti di grandi saracinesche di chiusura, vennero esposti al pubblico per la prima volta  tutti gli oggetti. Era il 25  settembre 1900 e nasceva  il Museo del Tesoro. Le vicende belliche, l'uso non sempre appropriato delle opere e la loro sistemazione priva di un qualsiasi ordine espositivo, porteranno ad un ripensamento che farà nascere, nel secondo dopoguerra, il Museo del Tesoro che tutti noi oggi conosciamo.
Il Museo, nato nel 1956, su progetto di Franco Albini, e sito a tre metri di profondità sotto il cortile dell'Arcivescovado, è composto da quattro sale circolari e da un vano centrale di raccordo. Le sale sono dette "THOLOS" perchè Albini, nel progettarle, si era ispirato alle tombe micenee. L'architetto non si limitò a progettare lo spazio museale ma intervenne - coadiuvato da Caterina Marcenaro, direttrice dei Musei Civici, che con lui aveva già pensato agli allestimenti di Palazzo Bianco e Palazzo Rosso - anche sul posizionamento delle varie opere conservate nel museo progettando anche i relativi supporti, come quelli delle grandi opere, in ferro e infissi nel pavimento, che posizionano le opere stesse all'altezza dei visitatori per stabilire con gli stessi un dialogo.
Per il pavimento e le pareti viene utilizzata la pietra nera di Promontorio, materia utilizzata per gli edifici genovesi fin dall'antichità  mentre le coperture sono in materiali moderni come il cemento armato per i travetti a vista ed il vetro cemento per gli occhi al centro delle cupole.
Nella prima sala è conservato il Sacro Catino (manifattura romana del I-V secolo d.C. o araba IX-X secolo d.C.), simbolo del Museo, che la tradizione identifica come il piatto usato per consumare l'agnello pasquale durante l'Ultima Cena: per secoli considerato di smeraldo, si tratta in realtà di un piatto di vetro verde soffiato in uno stampo, di forma esagonale. Esso fu portato a Genova da Guglielmo Embriaco dopo la conquista di Cesarea avvenuta nel 1101. Jacopo da Varagine nella sua "Legenda Aurea" racconta della ripartizione del bottino della città di Cesarea in tre parti: il Sacro Catino, la città ed il bottino. Re Baldovino avrebbe lasciato la scelta ai Genovesi i quali, trascurate le altre parti, avrebbero optato per il vaso allora creduto di smeraldo. 
Fu sempre Jacopo da Varagine per primo ad attribuirgli una valenza religiosa  proponendo un parallelo tra questo ed il Santo Graal, il calice usato da Nicodemo per raccogliere il sangue di Cristo nel momento della morte.
Napoleone se ne impadronì e lo portò a Parigi: lì venne studiato e venne appurato che si trattasse di vetro e non smeraldo. Il Sacro Catino tornò in seguito a Genova rotto in dieci pezzi e mancante di un lacerto centrale (probabilmente si ruppe durante il viaggio di ritorno da Torino a Genova).
Oggi, dopo un accurato restauro presso i laboratori dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il Sacro Catino è stato riparato e si presenta intero.
Due curiosità: il 16 ottobre 1319 il Comune ricevette dal Cardinale Luca Fieschi (di cui si conserva il monumento funebre nel Museo Diocesano) in prestito la somma di lire 19.500  in pegno del quale il cardinale ricevette il Sacro Catino. Quest'ultimo sarà riscattato il 29 marzo 1327. Dopo questo avvenimento venne stabilito che in avvenire non si sarebbe potuto impegnare o portare fuori dalla sacrestia di San Lorenzo il Catino.
Altra curiosità: il Sacro Catino è rappresentato anche in alcuni affreschi genovesi. La sua prima raffigurazione pittorica conosciuta è sulla tavola di una "Ultima Cena", affresco opera di Carlo Braccesco risalente agli inizi del XVI secolo, un tempo nella refettorio del Convento di Santa Maria della Pace e oggi conservato nel Museo di Sant'Agostino. Un'altro affresco, opera di Lazzaro Tavarone, raffigurante "Gugliemo Embriaco  offre il Sacro Catino", si trova in un riquadro della grande volta del salone a piano terra a Palazzo Lazzaro e Giacomo Spinola (poi Cattaneo Adorno) in Via Garibaldi n. 8-10. Una terza raffigurazione è a Palazzo Ducale, nell'affresco della volta del Salone di Minor Consiglio: opera di Carlo Giuseppe Ratti, che riprende un bozzetto di Domenico Piola, raffigura "L'apoteosi della Repubblica di Genova con l'allegoria della Divina Sapienza". A Palazzo Ducale il Sacro Catino era raffigurato anche in un affresco, opera di Marc'Antonio Franceschini, nella volta del Salone del Maggior Consiglio, andato distrutto nell'incendio del 3 novembre 1777. Una quarta raffigurazione, con Guglielmo Embriaco che tiene tra le mani il Sacro Catino, è in facciata di Palazzo San Giorgio.


Il Sacro Catino
(foto di Antonio Figari)
 


Nella sala centrale sono conservati:
-  l'Arca processionale del Corpus Domini a forma di parallelepipedo e sormontata da un ostensorio a guisa di tempietto. Nella parte centrale sono narrate scene della Passione di Cristo, alternate alle figure degli Apostoli. Commissionata dai Padri del Comune nel 1553, essa fu terminata, dopo non poche difficoltà, nel 1612. Su questa opera lavorarono argentieri genovesi, fiamminghi, tedeschi e lombardi.  L'arca ancora oggi viene portata in processione il giorno della solennità del Corpus Domini, che si celebra due sabati dopo la Pentecoste. Per tradizione,  la cerimonia inizia nell'antica cattedrale di San Siro per giungere, dopo aver percorso le vie del centro cittadino, a San Lorenzo;
- statua in argento sbalzato, cesellato, fuso, della Madonna Immacolata, marchio Torretta con la data 1748. La statua venne donata al doge Giovanni Francesco Brignole Sale Junior, il cui stemma è inciso sulla base, in memoria della liberazione di Genova dalle truppe austriache. A sua volta il doge la offrì alla Cattedrale nel dicembre del 1748;
- paliotto d'altare in argento sbalzato e dorato, marchio Torretta con data 1771, con al centro la Madonna ed il Bambino.
Nella seconda sale troviamo in particolare:
- la Croce stauroteca, detta degli Zaccaria (contenente un pezzo della Vera Croce: per questo motivo si dice "stauroteca"), posizionata proprio all'ingresso della sala, come all'inizio di una processione: in argento dorato, impreziosita da perle e pietre preziose, essa fu commissionata nel IX Secolo da Barda, fratello dell'Imperatrice madre Teodolinda che ne fece dono alla Basilica di San Giovanni Evangelista di Efeso. Dopo varie vicissitudini giunse a Genova portata dalla famiglia Zaccaria che ne fece dono alla Cattedrale (prima di giungere qui fu per lungo tempo ospitata nel palazzo degli Zaccaria in Via San Bernardo; al suo posto Marcantonio Sauli edificherà la sua residenza nel 1523). 
Sul retro si trova una scritta in greco che recita "Questa sacra custodia Barda Cesare fabbricò e Isacco arcivescovo di Efeso rinnovò perché logora". Accanto ad essa vi sono le immagini di San Giovanni Evangelista, la Vergine, gli arcangeli Gabriele e Michele e il Cristo Pantocratore.
La croce era utilizzata un tempo nella cerimonia di benedizione del Doge ed oggi viene utilizzata quando un nuovo arcivescovo entra per la prima volta in Cattedrale. Ogni anno poi viene esposta in Cattedrale il Venerdì Santo;
reliquiario del braccio di Sant'Anna, opera di un argentiere bizantino del XI-XII secolo e proveniente dalla colonia genovese di Pera;
- reliquiario del braccio di San Giacomo, anch'esso opera di un argentiere bizantino (con un intervento successivo anche di un argentiere genovese), anch'esso proveniente dal'antica colonia di Pera.
Nella terza sala sono in particolare conservati:
- il piatto di San Giovanni Battista che secondo la tradizione sarebbe stato usato per accogliere la testa del Santo al momento della decollazione. Il piatto, in calcedonio, è di produzione romana e risale al primo secolo d. C.  mentre la decorazione che lo incornicia, in oro e rubini, con la testa del Battista, lavorata a sbalzo e smaltata, è opera di artisti di Limoges e risale al XV secolo. Questa decorazione è stata fatta per nascondere la rottura del piatto. Il piatto fu donato alla Protettoria della Cappella di San Giovanni Battista da Papa Innocenzo VIII (il genovese Giovanni Battista Cybo)  in punto di morte. Il Pontefice lo aveva a sua volta ricevuto in dona dal Cardinale Balue, consigliere del re di Francia. 




 

- l'Arca processionale delle ceneri di San Giovanni Battista: a forma di chiesa gotica in miniatura, nella parte centrale della stessa sono narrate le storie del Precursore. L'arca venne commissionata dai Priori della Cappella del Battista e realizzata tra il 1438 ed il 1445 da Teramo Danieli, di cui abbiamo la firma, a cui subentrò Simone Caldera. Essa viene portata in processione per le vie della città ogni anno il 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista;
- l'Arca per le ceneri di San Giovanni Battista, detta del Barbarossa: opera del XII secolo, in argento sbalzato, a forma di capanna, nella parte centrale sono narrate scene del martirio. E' detta del Barbarossa perché, secondo la tradizione, questa cassa fu un'offerta devozionale dell'Imperatore Federico Barbarossa. Non vi sono però fonti documentali che attestino questo dono che potrebbe invece essere stato commissionato da un nobile genovese o da un alto prelato. E' questa la più antica arca, che si conosca, che abbia conservato le ceneri del Santo;
- la bolla di Papa Gelasio II per la consacrazione della Cattedrale. Risalente al 1118, anno di nascita della nostra Cattedrale, è in pergamena e reca al centro il sigillo di piombo con le teste di San Pietro e San Paolo.
Nella quarta sala vi segnalo in particolare il Paliotto d'altare, detto del Corpus Domini. Opera di Malchior Suez risalente al 1599, è in argento sbalzato. Quattro nicchie con le raffigurazioni degli evangelisti (che in un primo momento erano destinati all'arca processionale del Corpus Domini sopra descritta) si intervallano con tre ovali nei quali troviamo i martiri di San Giovanni Battista, San Lorenzo e San Sebastiano.



29.6 Il chiostro dei Canonici di San Lorenzo

Il chiostro della Cattedrale di San Lorenzo fu antica dimora dei Canonici della stessa e per questo è ancora oggi detto "dei Canonici": edificato nel XII secolo, la sua struttura è formata da due piani di archi poggianti su colonne marmoree binate romaniche con capitelli a foglia d'acqua. Nel 1653 fu ampliato l'edificio poggiante su parte del chiostro e a due lati dello stesso vennero sostituite le antiche colonne romaniche con più possenti pilastri.
Il chiostro è oggi parte del Museo Diocesano, uno dei più bei Musei cittadini, che conserva al suo interno preziose pitture parietali nelle sale al primo piano.
Se volete approfondire la storia di questo luogo vi rimando al mio canale Youtube e al video ad esso dedicato. Eccolo: 




Il Campanile di San Lorenzo si specchia nelle vetrate del Chiostro dei Canonici
(foto di Antonio Figari)


Lo Splendido Chiostro dei Canonici di San Lorenzo
(Foto di Antonio Figari)


Particolare delle colonne binate del Chiostro dei Canonici di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)



Le colonnine binate del Chiostro dei Canonici di San Lorenzo
(Foto di Antonio Figari)


30. Santissimo Nome di Maria e degli Angeli Custodi (detta anche "Chiesa delle Scuole Pie")

Nei pressi di Piazza San Lorenzo, imboccato Vico del Filo,  Vi ritroverete in una piazza dalla forma rettangolare, Piazza delle Scuole Pie: uno dei suoi lati è occupato dalla Chiesa intitolata al Santissimo Nome di Maria e degli Angeli Custodi.



La facciata della Chiesa del Santissimo nome di Maria e degli Angeli Custodi
(foto di Antonio Figari)

Fu l'Ordine dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio, anche noti come Chierici delle Scuole Pie o Padri Scolopi, ordine fondato dallo spagnolo José Calasanz (San Giuseppe Calasanzio), a volere l'edificazione di questa Chiesa.
Essi erano presenti a Genova fin dal 1623. Nel 1627 si stanziarono nei pressi di Piazza delle Scuole Pie, dove nel loro Collegio davano un'istruzione gratuita ai giovani delle classi meno abbienti,  prendendo in affitto parte di un edificio sito tra Vico dei Ragazzi, Vico Squarciafico, Piazzetta dei Ragazzi e Vico delle Scuole Pie.
In questo palazzo, al piano terreno, negli spazi precedentemente occupati dall'Oratorio dei SS. Giusto e Pastore, nel 1649 gli Scolopi edificano la loro chiesa: venne eliminato il piano ammezzato sovrastante l'oratorio e creato un presbiterio separato dall'aula da una coppia di colonne binate in marmo a sostegno dell'arco.
Prima dei lavori di ampliamenti del '49, i Padri Scolopi probabilmente celebravano la messa in una stanza d'angolo del palazzo stesso tra Vico Ragazzi e Piazzetta dei Ragazzi, luogo denominato in seguito Oratorio della compagnia dei SS. Magi.
Sopra la chiesa vi era un altro oratorio e al secondo piano il refettorio, la cucina e alcune stanze o celle che troviamo anche ai  piani superiori (oggi questi spazi, dopo un lungo abbandono, sono oggetto di un restauro).
Tra il 1708 ed il 1713 fu edificata la nuova Chiesa (quella che oggi affaccia su Piazza delle Scuole Pie)  su preesistenti edifici medievali dei Cicala, le cui mura sono visibili nelle fondamenta dell'edificio, intitolata al Santissimo Nome di Maria e degli Angeli Custodi che ha la particolarità di avere sopra la propria "testa" il Collegio degli Scolopi: se guardate infatti la facciata della Chiesa noterete che sopra la stessa un altro edificio si erge, una soluzione originale dettata dal poco spazio a disposizione come spesso accade nei vicoli di Genova.
Committente dell'opera fu Domenico Sauli il quale affidò il progetto all'architetto Giacomo Ricca.
Entrati dentro Vi ritroverete immersi nello splendore dei marmi bianchi e colorati intarsiati e alzando gli occhi negli splendidi affreschi, ecco le foto degli interni:

Gli splendidi marmi intarsiati salgono fino all'architrave e sopra l'altar maggiore, nella volta, l'affresco di Giuseppe Galeotti raffigurante "Il nome di Maria, in una gloria d'Angeli"
(foto di Antonio Figari)

La volta della Chiesa intitolata al Santissimo Nome di Maria e degli angeli Custodi affrescata da  Giuseppe Galeotti e raffigurante "La Gloria della Vergine con San Giuseppe Calasanzio"
(foto di Antonio Figari)




Colori tenui per la cantoria lignea sopra l'ingresso della Chiesa
(foto di Antonio Figari)


Una delle Formelle raffiguranti le Storie della Vita della vergine opera dello Schiaffino, del Cacciatori e del Traverso
(foto di Antonio Figari)



31. San Paolo (in Campetto)

La Chiesa di San Paolo sorgeva anticamente in Campetto. Questa parrocchia gentilizia fu fatta erigere da Simone Camilla nel 1216; successivamente ceduta ai religiosi regolari di San Paolo, i Padri Barnabiti, rimase dell'Ordine fino al 1798 quando, come accadde anche  negli altri ordini religiosi, questa chiesa fu espropriata e  venne trasformata in un teatro popolare nel 1813. Esso era chiamato "da Campetto" ed ospitava spettacoli di prosa, marionette e saltinbanchi. La storia di detto teatro la trovate al paragrafo 4 nella pagina de "i TEATRI storici".


32. Santa Maria delle Vigne


"Sgombrate col pensiero quest’area dagli edifizj, non certo ignobili, che v’adunaron i secoli e avrete in figura l’estremo lembo di quel ripiano che tra le balze di Luccoli e di Scutaria […] offriva all’occhio de’ nostri antichi un andar di vigneti irrigati dalle acque che fan nome a Soziglia.
Fra questi colti un Oberto Visconte e un Guido di Carmandino, stipati entrambi alla nobil progenie degli Spinoli, sacrarono un tempio a Maria che s’intitolò dalle condizioni del luogo: dicono altri, come lo Stella, nel 892, ed altri, come il Giustiniani, un sessennio più tardi"
"Della veneranda antichità ch’io le assegno, non resta veruna impronta nell’attual chiesa, ma visitata per ogn’intorno al di fuori, ci manifesta le origini per tante reliquie, quante per fermo non ne conserva altro tempio, che rinunziato il vetusto aspetto si ammodernasse con opere nuove. E reliquia sovra tutte spettabile, e per sue forme meravigliosa, è il campanile; arditissima torre costrutta in pietre di quadro sul gotico stile del secolo XIII, la quale pontando i due fianchi sul destro muro della chiesa e sull’altro del chiostro, abbandona il gran corpo sovra un piccol arco di sesto acuto per lasciar passo a Soziglia e alla Maddalena."


(Federico Alizeri)


 a. La Chiesa


Il Campanile e la Cupola della Chiesa di Santa Maria delle Vigne viste da palazzo Francesco Maria Doria
(foto di Antonio Figari)


L'interno della Chiesa di Santa Maria delle Vigne
(foto di Antonio Figari)



ralci e viti incastonati nello splendido pavimento policromo di Santa Maria delle Vigne
(foto di Antonio Figari)

I tralci e le viti scolpiti nel marmo dell'altare maggiore di Santa Maria delle Vigne
(foto di Antonio Figari)


Le splendide finestre polilobate della Sacrestia di Santa Maria delle Vigne
(foto di Antonio Figari)


a.1 La Madonna della Vita

Dell'originario stile romanico in cui era stata edificata la Chiesa, oltre al campanile, al chiostro e ai muri perimetrali, rimane una colonna di marmo verde di Levanto, con tutta probalità colonna romana di recupero, decorata con una Madonna che allatta il Bambino, comunemente conosciuta come la "Madonna della Vita", risalente al XIV Secolo ed inserita in una edicola barocca settecentesca.
Questa colonna si trova nella navata destra tra il primo ed il secondo altare.
Secondo Federico Alizeri, autore della "Guida Artistica per la città di Genova" del 1846, una delle bibbie per chi vuole conoscere a fondo Genova, questa colonna fu risparmiata dai lavori di restauro e conservata proprio per la presenza di questa immagine molto venerata dai fedeli.
Ancora oggi le future mamme si rivolgono a Lei: se vi capita di andarLa a trovare noterete infatti molti bavaglini appesi ai lati dell'immagine sacra.


Colonna con l'immagine della Madonna della Vita
(foto di Antonio Figari)



b. Il chiostro

Il chiostro adiacente alla Basilica dell Vigne è ad essa collegato da un passaggio soprelevato che passa dentro il campanile.
Secondo le più antiche fonti storiche, esso fu edificato intorno al 1025.
Antica dimora dei canonici della Basilica, e tuttora loro dimora, conserva ancora l'originaria forma quadrata, con colonne e capitelli di pietra nera, tipica del territorio genovese, benchè nei secoli alcuni archi vennero murati per ricavare spazi chiusi.
Per visitarlo, Vi basta percorrere la via laterale alla Basilica delle Vigne e, poco prima dell'arco che sostiene il campanile, troverete il suo ingresso.

Uno scorcio del Chiostro delle Vigne
(Foto di Antonio Figari)

Un altro scorcio del Chiostro delle Vigne
(foto di Antonio Figari)


Uno dei capitelli neri del Chiostro delle Vigne
(foto di Antonio Figari)



c. Il sepolcro di Anselmo D'Incisa

Sotto l'archivolto che regge il campanile, vi è una splendida tomba ad arcosolio la cui parte inferiore è uno splendido sarcofago romano del II Secolo, giunto a Genova nel Medievo, sul quale è scolpito il mito greco di Alcesti (oggi l'originale è conservato al Museo Diocesano e alla Vigne vi è una copia): si tratta del sepolcro di Anselmo D'Incisa, nobile genovese, medico, alchimista e astronomo che lavorò alla corte di Papa Bonifacio VIII e del Re di Francia Filippo il Bello.
All'interno del sarcofago sono stati ritrovati quattro corpi, tre maschili ed uno femminile: di essi l'unico identificato con certezza è quello di Leonora Doria, morta nel 1335; i tre maschili dovrebbero essere Pietro Vivaldi, marito di Leonora, Anselmo D'Incisa e suo figlio Giovanni (quest'ultimo, seguendo le orme del padre, fu un famoso archiatra ossia medico di corte). Il perché siano stati sepolti insieme queste quattro persone rimane un mistero.
Un curiosità, anzi due, sono legate a questa tomba: sulla lapide è riportata la data di morte di Anselmo D'Incisa, 4 dicembre 1304; da un atto di vendita di una casa sappiamo tuttavia che Anselmo era ancora vivo nel 1308. Il giorno della settimana di questa e delle lapidi presenti nel vicino chiostro delle Vigne è sempre lo stesso, il venerdì.



Il sepolcro di Anselmo d'Incisa
(foto di Antonio Figari)





33. San Pietro in Banchi

La facciata dipinta della Chiesa di San Pietro in Banchi
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa di San Pietro in Banchi ha avuto una vita piuttosto movimentata, potremmo quasi dire che ha vissuto più vite.
Essa venne eretta nel 862 d.C. su preesistente edificio di culto pagano dal chierico Agostino il quale volle donarla ai monaci benedettini del Monastero di San Colombano.
Detta di San Pietro della Porta, sorgeva lungo le mura accanto all'omonima Porta lungo l'asse nord sud e non est ovest come oggi e più adiacente all'odierno archivolto delle Cinque Lampadi. Recenti indagini archeologiche hanno riportato alla luce nella vicina Piazza de Marini, che sorge dietro l'odierna abside,  antichi moli cittadini: ciò significa che la prima Chiesa di San Pietro in Banchi aveva la sua facciata rivolta a sud a pochi passi dal mare.
Nel 1398 un rovinoso incendio, avvenuto durante uno scontro cittadino tra guelfi e ghibellini,  segnò l'inizio del suo declino e l'allontanamento dei frati benedettini: dopo averla riparata infatti si continuò a celebrar Messa solo fino verso la fine del XV secolo quando la Chiesa, oramai in rovina, venne demolita e al suo posto venne eretto un palazzo dalla nobile famiglia dei Lomellini.
Nel 1579 a seguito del Voto dei Genovesi durante l'epidemia della peste il Senato della Repubblica decise di ricostruire l'antica Chiesa.
La sua costruzione iniziò nel 1581 per concludersi nel 1585: il lavoro fu affidato a Taddeo Carlone e dopo la sua morte al suo allievo Daniele Casella.
La particolarità di questo progetto è nella sua struttura: invece di demolire del tutto il palazzo Lomellini che ivi sorgeva, si decise di risparmiare il piano terreno dove furono sistemate alcune botteghe. La nuova Chiesa venne innalzata quindi al piano superiore e proprio la vendita e la locazione delle botteghe del piano stradale permisero di finanziare il suo completamento. E se a qualcuno di Voi la cosa farà storcere il naso ricordando Gesù e le Sua cacciata dei mercanti dal Tempio, ricordate che qui le botteghe non sono nel Tempio, ma sotto di esso!?!
Secondo un'altra interpretazione, si volle costruire la Chiesa in posizione sopraelevata rispetto alla piazza per separare il sacro dal profano.
Una  scenografica scala, luogo in cui trovò la morte il musicista Stradella, il fantasma del quale ancora si aggira in Banchi (trovate la sua storia nella pagina de "i FANTASMI di GENOVA" al paragrafo 12), congiunge la piazza alla Chiesa. 
Gli splendidi stucchi degli interni con le storie della Passione di Cristo risalgono al 1603 e sono opera di Marcello Sparzo e Raffaele Storace. I quattro spicchi della cupola con gli evangelisti sono stati dipinti da Paolo Gerolamo Piola , figlio di Domenico. Le statue di marmo delle cappelle laterali sono state scolpite da Carlone e Casella, i due architetti che progettarono la Chiesa. 

La volta della Chiesa di San Pietro in Banchi con le figure dei quattro evangelisti opera di Paolo Gerolamo Piola
(foto di Antonio Figari)

Gli stucchi dell'abside della Chiesa di San Pietro in banchi
(foto di Antonio Figari)


Due delle statue che adornano gli altari laterali della Chiesa di San Pietro in Banchi
(foto di Antonio Figari)


Particolare degli affreschi del porticato
(foto di Antonio Figari)


La travagliata storia di questa Chiesa e della sua rovina e ricostruzione continua: i bombardamenti del 15 novembre 1942 sventrano in parte la facciata e la navata centrale di San Pietro in Banchi. 


La Chiesa di San Pietro in Banchi dopo i pesanti bombardamenti del 15 novembre 1942 
Oggi essa, dopo accurati restauri, ha ritrovato il suo antico splendore e grazie a volontari è aperta al pubblico.
San Pietro in Banchi però non si limita ad essere una meravigliosa Chiesa: questo Tempio infatti conserva anche una parte non accessibile al pubblico che presto Vi porterò a visitare.


34. San Marco al Molo

Le Mura della Marinella sulle quali si appoggia la Chiesa di San Marco
(foto di Antonio Figari)


 

Edificata nel XII Secolo, quando a Genova era arcivescovo Ugone della Volta, secondo arcivescovo di Genova dopo Siro II (Ugone consacrò in quel periodo, nel 1180, la Chiesa di San Torpete: ancora oggi una lapide posta in Via delle Grazie ricorda l’avvenimento), questa chiesa fu costruita nella zona del molo, all’epoca all’inizio della sua espansione come quartiere nei pressi dello scalo del Mandraccio.

Singolare l’intitolazione a San Marco Evangelista, patrono della storica nemica Venezia, dove nel IX Secolo giunsero le spoglie del Santo e dove da lì a poco verrà edificata una chiesa a lui dedicata (all’epoca si stava diffondendo in tutta la penisola il culto di questo santo e dunque non dobbiamo stupirci di una chiesa a lui intitolata anche a Genova).

Lo stretto legame di questa chiesa con il mare, che quasi la bagnava, si interrompe nel XVI Secolo quando viene innalzata una nuova cerchia di mura che va a circondare la chiesa di San Marco (ancora oggi il lato a ponente della chiesa poggia sulle tratto di mura detto “della Marinella”).

È questo il periodo in cui probabilmente l’orientamento della Chiesa viene capovolto.

Alla fine del XVI Secolo la chiesa viene dotata di una nuova facciata e nel secolo successivo gli interni vengono via via adattati allo stile barocco. Sarano i lavori di restauro dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ad eliminare definitivamente gli intonaci che ricoprivano le colonne e i muri perimetrali che oggi si presentano nella caratteristica pietra scura di promontorio.

Gli interni conservano una “Assunta”, statua lignea del 1736 di Anton Maria Maragliano, un gruppo marmoreo con la “Madonna e i Santi Nazario e Celso”, opera del 1735 di Francesco Maria Schiaffino (un’iscrizione alla base dell’altare ricorda che il tutto fu commissionato dalla corporazione degli Stoppieri: gli stoppieri o calafati si occupavano di calafatare ossia impermeabilizzare gli scafi in legno delle navi; lavoravano quindi nei pressi di questa luogo).

Da ricordare altresì tre dipinti: “Il Martirio di Santa Barbara” di Domenico Fiasella, “Le nozze mistiche di Santa Caterina” di Orazio de Ferrari ed infine nella cappella alla destra del presbiterio, racchiusa in una scenografica cornice marmorea, la Madonna del Soccorso, opera di Giovanni Carlone.

La chiesa di San Marco era sormontata da una torre nolare eretta sul tiburio della chiesa stessa e demolita nel 1783 perché pericolante. Tracce della base del tiburio sul quale si innestava la torre nolare furono rinvenute nei restauri recenti. Oggi a sostituirla vi è un piccolo campanile.

Sulla facciata laterale della Chiesa lato Via del Molo troviamo un leone di San Marco, bottino di guerra risalente al 1380 (vi rimando alla pagina de le PIETRE parlanti  per approfondire la sua storia).

 
 
 
35. San Giorgio

Le linee sinuose della facciata di San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

Le prime notizie di una Chiesa dedicata a San Giorgio risalgono al 947 d. C.. In questa zona sorgeva in epoca romana il foro, fulcro dell'attività commerciale della città. La centralità e l'importanza del luogo venne mantenuta anche in epoca successiva perchè qui passava la strada, l'odierna Via Giustiniani, che dal porto conduceva a Porta Soprana.
Qui era conservato il vessillo con San Giorgio che veniva consegnato con una cerimonia solenne alla nave ammiraglia della flotta delle galee genovesi prima che le stesse partissero alla volta di nuove conquiste per portare nel mondo il nome di Genova e la sua forza e predominanza sui mari. Una volta tornate in patria il vessillo tornava in Chiesa seguito da una lunga processione.
La Chiesa medievale lasciò spazio a metà del XVI Secolo al nuovo edificio che sarà completato, con alterne vicende, tra cui si segnala in particolare la costruzione della cupola che subisce modifiche al progetto anche a seguito di parziali crolli, solo nel XIX Secolo.
L'interno conserva tre splendide opere di Luca Cambiaso "La decapitazione di San Giorgio", "San Giorgio nel calderone" e "Il Martirio di San giorgio alla ruota dentata", e una pala di Domenico Piola "San Gaetano da Thiene che riceve dalla Vergine il Bambino". 
La Chiesa era collegata al vicino convento, acquistato nel 1687, con un passaggio aereo ancora oggi esistente (il convento è oggi trasformato in un palazzo suddiviso in appartamenti).
Sull'angolo dell'edificio che ospitava il convento insiste ancora oggi l'antico campanile, costruito inglobando e innalzando un'antica torre medievale, la Torre Alberici (Vi rimando alla pagina de le TORRI di GENOVA per la sua descrizione dettagliata).


36. San Torpete

La facciata di San Torpete
(foto di Antonio Figari)

La facciata di San Torpete vista da Via di Canneto il Curto
(foto di Antonio Figari)

 
Sita anch'essa nell'antica piazza ove sorgeva il foro romano, essa venne edificata, secondo la tradizione, nel X Secolo nei pressi delle Mura del IX Secolo. Qui sorgeva l'antica porta detta appunto, per la vicinanza alla Chiesa, "di San Torpete".
Le prime notizie documentate sono del XII Secolo: la famiglia dei Volta, che commerciava con i Pisani, concede agli stessi uno spazio nella propria area curiale. I toscani decidono di costruire questa chiesa accanto alla loggia dove svolgevano i propri commerci (ancora oggi sono visibili gli archi di detta loggia nel palazzo sito all'inizio di Via delle Grazie, proprio lungo il fianco della Chiesa di San Torpete).
I Pisani decino di dedicare questa chiesa al loro concittadino Torpete, santo martire del I Secolo. La chiesa viene edificata in stile romanico con la facciata a bande bianco e nere e con l'igresso rivolto a ponente (per intenderci, verso Via delle Grazie, proprio difronte alla loro loggia).
Una lapide con iscrizione sul lato di Via delle Grazie ricorda la consacrazione della Chiesa ad opera dell'arcivescovo Ugone della Volta. Correva l'anno 1180, stesso anno in cui i Della Volta ottengono il giuspatronato della Chiesa. Ancora oggi i Cattaneo della Volta conservano formalmente detto privilegio su questa chiesa, loro cappella gentilizia.
Gravissimi sono i danni a seguito del bombardamento francece del 1684, tali da imporre la ricostruzione dell'edificio che avviene nel 1730 per volere di Cesare Cattaneo che affida il progetto a Giovanni Antonio Ricca il Giovane.
La facciata viene spostata a settentrione e quindi la chiesa viene ad affacciarsi su Piazza San Giorgio che proprio in quegli anni, complice il rifacimento della vicina Chiesa che dà il nome alla piazza, assume l'aspetto che tutti noi oggi conosciamo.
L'interno è un unico vano a pianta elittica con l'asse maggiore parallelo alla facciata.
Nell'abside è conservata un'opera di Giovanni Carlone "San Torpete illeso tra le fiere".
Famoso l'organo a canne la cui parte più antica risale al 1668.
Nella sagrestia sono conservati gli arredi settecenteschi.



37. Santi Cosma e Damiano

a. La chiesa

Situata alle pendici della collina di Castello, nella contrada medievale chiamata un tempo "Serpe", la chiesa dedicata ai due Santi Cosma e Damiano, fratelli medici martirizzati nell'antica regione delle Cilicia (nell'odierna Siria) nel 287 d.C. sotto l'Impero di Diocleziano, è una delle più antiche di Genova.

La tradizione vuole che essa sorga su di un precedente oratorio dedicato ai due Santi. Il primo documento che parla di questa chiesa risale al 21 luglio 1049.
La chiesa fu in un primo momento dedicata a San Damiano, le cui reliquie, ancora qui conservate, furono portate in questo luogo da Costantinopoli da Enrico Mallone e Nicolò Spinola. Solo nel 1304 al titolo di San Damiano fu aggiunto quello di San Cosma.
Essa, piccola e nascosta in una piazzetta raggiungibile attraverso da tre punti ma sempre attraverso stretti vicoli, è un gioiello dell'arte romanica: l'esterno è caratterizzato da una facciata a capanna nella quale si aprono alcune tombe ad arco a sesto acuto, mentre l'interno, suddiviso in tre navate, è caratterizzato dalla scura pietra di promontorio che nelle colonne si intervalla al bianco marmo di Carrara e ai mattoni delle arcate. Spoglia, semplice e raccolta è una delle Chiese che preferisco di tutto il centro storico di Genova. In realtà la chiesa fino ai primi decenni del Novecento era decorata con altari barocchi nelle navate laterali eliminati, insieme all'intonaco delle pareti, da un restauro degli anni trenta che voleva restituire alla chiesa il suo aspetto medievale. Con ogni probabilità invece nel Medioevo la chiesa era intonacata completamente alle pareti e affrescata.
Nel 1476 la corporazione dei chirurghi e barbitonsori, di cui i due santi Cosma e Damiano sono i patroni, fece realizzare sotto il pavimento della Chiesa il loro sepolcro, tuttora esistente. 
Il bombardamento francese del 1684 distrusse il tetto e il chiostro, quest'ultimo mai più ricostruito.
La torre nolare ottagonale è visibile dal vico dietro la Chiesa chiamato Vico dietro il Coro di San Cosimo (Vi rimando alla pagina de i CAMPANILI di GENOVA  per le foto e la descrizione).
Da segnalare una splendida Immacolata del Puget, posta sull'altare laterale destro, una fonte battesimale medievale marmorea,  e opere di Bernardo Castello "Ester ed Assuero", Gioacchino Assereto "Madonna con il Bambino e i Santi Cosma e Damiano che guariscono i malati", e Giovanni Andrea De Ferrari "Transito di San Giuseppe".

Le colonne bicrome della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano
(foto di Antonio Figari)

L'abside in pietra nera di promontorio della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano
(foto di Antonio Figari)


L'interno della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta in cui si notano le corde delle campane che si tiravano dall'altare maggiore
(foto di Antonio Figari)

L'ingresso del sepolcro della corporazione dei chirurghi e barbitonsori
(foto di Antonio Figari)

L'Immacolata del Puget
(foto di Antonio Figari)
 

b. Il teschio, le tibie incrociate ed il mistero del Jolly Roger

Camminando lungo le navate della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, invece di alzar lo sguardo e perdervi nella bellezza delle colonne bicrome e degli antichi muri perimetrali, abbassate lo sguardo e cercate per terra il teschio e le due tibie incrociate, il simbolo di quella che diventerà la bandiera dei pirati. Perché esso è disegnato qui per terra? Mi direte, simboleggia che in quel punto vi è una sepoltura. Ebbene, il discorso in realtà è un pò più complicato e misterioso. Un giorno Ve ne parlerò.


c. Il Santo nel chiostro sparito

In Vico dietro il Coro di San Cosimo, sul muro della chiesa dedicata ai due santi medici Cosma e Damiano, vi è una lastra marmorea raffigurante un Santo al centro in un tondo e due angioletti ai lati. In questo punto sorgeva il chiostro dell'omonima chiesa, andato distrutto durante i pesantissimi bombardamenti del Re Sole nel 1684, ed il Santo raffigurato nel tondo fu sicuramente un ospite che qui dimorò.
I recenti restauri alla chiesa hanno ridato splendore alla facciata ed ai muri che la circondano ed in particolare a questo clipeo rinascimentale sorretto da due angeli nascosto per secoli nel buio di questo vicolo.

(foto di Antonio Figari)




38. Santa Maria delle Grazie

Il santuario di Santa Maria delle Grazie, sito a pochi passi da Piazza Cavour, lungo il percorso delle Mura che da esso prendono il nome, sorge su una preesistente chiesa dedicata ai Santi Nazario e Celso, di cui oggi rimane traccia nella cripta della chiesa che conserva ancora le colonne, i capitelli  e parte della muratura della primitiva chiesa paleocristiana edificata sulla scogliera che ancora in parte affiora. Insieme alla cripta della chiesa di Santo Stefano e alla chiesetta di Sant'Agostino in Santa Maria della Cella, rimane uno dei pochi esempi di edificio religioso altomedievale ancora presente a Genova. Il capitello in marmo, posto sulla una delle colonne della cripta, che vedete nella foto sottostante,  con una decorazione con doppio ordine di foglie di acanto sporgenti nella parte inferiore ed aderenti al fusto nella parte superiore, è probabilmente risalente al VII secolo.
Sull'altar maggiore è conservata la statua della Madonna delle Grazie, una scultura in legno d'ulivo dipinto, risalente al XII secolo,  originariamente conservata probabilmente in una chiesa frequentata dai genovesi nei  fondaci della Piccola Armenia (Laiazzo, Alessandretta o altre località site nella zona sud dell'odierna Turchia) e portata nella nostra città per sottrarla all'avanzata dei Turchi.
Fino al 1566 una lapide in facciata del Santuario  ricordava che questa statua era stata portata a Genova dall'Armenia.
L'altare maggiore, in marmo bianco di Carrara, sula quale è posta la statua della Madonna, è opera di Bernardo Schiaffino.
Da segnalare, tra le pale degli altari laterali, una "Discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e sulla Madonna", opera di Antonio Maria Piola e una "Madonna con il Bambino in braccio, San Biagio e Santa Lucia" di Paolo Gerolamo Piola.
La pila marmorea alla sinistra dell'entrata proviene dalla diruta chiesa di San Silvestro, mentre il tabernacolo quattrocentesco in controfacciata  dalla chiesa di Santa Croce.
Questo santuario fu frequentato da Santa Caterina Fieschi Adorno e da Padre Giovanni di Campofregoso "Padre Santo", la cui statua ancora oggi troneggia nella vicina piazza a perenne ricordo della sua attività a sostegno dei poveri  della zona del Molo.
Dietro l'altar maggiore c'è una lapide sepolcrale, risalente al 1702, con incise parole in armeno: è la tomba di un commerciante armeno che volle essere seppellito accanto alla sua patrone (così è scritto sulla lapide).
Il campanile del Santuario è quasi invisibile poiché inglobato nel palazzo che anticamente ospitava il convento annesso alla chiesa. Quando uscite da quest'ultima alzate lo sguardo e cercate una bifora sovrastata da un'apertura circolare: lì si nasconde all'occhio del distratto la cella campanaria (vi rimando alla pagina dedicata a i CAMPANILI di GENOVA per vedere le immagini di questo e degli altri campanili della Superba). 
Sotto il Santuario vi è, oltre la cripta, un vano di circa 100 metri quadrati che la tradizione vuole essere la prima costruzione edificata sulla scogliere nel luogo dove sbarcarono Nazario e Celso.
Questo grande vano, ancora oggi pieno d'acqua, fu utilizzato quale  vasca terminale del ramo delle Fucine dell'acquedotto cittadino. Quando questa vasca era piena, le acque venivano convogliate verso il castello d'acqua di Via del Molo (vi rimando alla pagina de l'ACQUA pubblica per approfondire la storia di questa struttura).

La cripta 
(foto di Antonio Figari)


39. Santa Maria di Castello

39.1 La Chiesa


La facciata di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa ed il complesso monastico ad essa attiguo sorgono su quello che gli storici identificano come il luogo del più antico insediamento cittadino, detto "castrum" data la presenza di fortificazioni preromane, poi romane e bizantine.
La Chiesa viene innalzata da maestranza antelamiche nel XII secolo utilizzando molti materiali di recupero di epoca romana già presenti in loco come l'architrave del portone principale con foglie e grifi ed all'interno le monumentali colonne di granito ed i capitelli delle stesse, tutti pezzi risalenti al III secolo d.C..

L'interno della Chiesa di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)


All'interno della Chiesa Vi sono splendidi altari alla cui erezione contribuirono le più ricche famiglie nobiliari genovesi e per la descrizione accurata dei quali Vi rimando al sito www.santamariadicastello.it. Segnalo in particolare nella navata destra la Cappella Botto e la vicina cappella di San Biagio che conservano antichi laggioni di origine moresca affiancati da laggioni italiani (trovate le immagini e un approfondimento su quest'ultimi nella pagina de le ARTI minori a GENOVA).
Tra le meraviglie che questa Chiesa nasconde una è stata di recente riportata alla luce: restaurando infatti la cappella di San Vincenzo Ferrer, la seconda cappella a sinistra, ci si è accorti che una finta porta in realtà nascondeva un vano, uno stretto corridoio, che si frappone tra il muro dell'originaria cappella del XV secolo e il muro della cappella voluto nel Seicento dai Brignole. Alzando lo sguardo si notano ancora alcuni affreschi della volta raffiguranti foglie e arabesche risalenti alla prima edificazione di questa cappella e per terra sono stati ritrovati alcuni laggioni bianchi e verdi che sono stati riposizionati lungo la parete come erano un tempo.
La storia di questa cappella inizia nel 1480 quando essa viene concessa a Brancaleone Giustiniani. Il patronato passa a seguito di matrimonio ad Andrea Cicero, le cui figlie restaurano la cappella come documenta una lapide ritrovata nel vano nascosto. Nel 1606 la cappella viene concessa a Giulio Sale; i Brignole la ereditano e nel 1626-1628 la ingrandiscono e abbelliscono nascondendo il vano recentemente ritrovato.
La cappella passa quindi ai conti Alberti di Firenze. Il conte Egidio Gaslini Alberti, l'attuale patrono di questa cappella, ha  finanziato i restauri delle tele nel 2003-2004 e l'ultimo restauro che ha ridato luce a questa stanza nascosta.
Le meraviglie però non finiscono qui: scoperchiando la lapide al centro del pavimento sono state rinvenute, in mezzo a detriti, moltissime ossa. Sotto l'altare si cela una stanza centrale e quattro stanza laterali. Per il momento non sono visitabili ma quando lo saranno spero di andare e documentarvi il tutto. Le scoperte insomma non sono finite.
Ecco le foto:

La stretta intercapedine che separa l'originaria cappella da quella seicentesca
(foto di Antonio Figari)

Particolare dei laggioni che ricoprono parte della parete della cappella
(foto di Antonio Figari)

Il soffitto dipinto con motivi di foglie e arabesche
(foto di Antonio Figari)

Gli affreschi e la lapide dei Cicero
(foto di Antonio Figari)

La lapide dei Cicero e gli affreschi della volta visti dal basso
(foto di Antonio Figari)

Particolare degli affreschi
(foto di Antonio Figari)

Particolare degli affreschi e dei motivi di foglie
(foto di Antonio Figari)

La lapide in ricordo del restauro eseguito dai Cicero
(foto di Antonio Figari)


La lapide in ricordo dei restauri recentemente compiuti
(foto di Antonio Figari)




La lapide scoperchiata al centro della cappella
(foto di Antonio Figari)




L'interno delle stanze sotterranee della cappella, per ora ancora piene di detriti
(foto di Antonio Figari)



Lo splendido coro ligneo di forma circolare è antecedente alla costruzione dell'abside: esso era parte del vecchio edificio ed era a pianta quadrata. Con l'ingrandimento dell'edificio religioso il coro venne rimontato nella nuova posizione e ad esso venne dato la forma curvilinea che ancora oggi possiamo ammirare.

Curve e linee sembrano ripetersi all'infinito nel coro ligneo della Chiesa di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)


Una curiosità: se alzate lo sguardo, sopra la quarta e la quinta colonna della navata centrale lato destro, noterete piccoli (in realtà Vi sembreranno piccoli perché posti molto in alto ma non lo sono) tasselli bianchi incastonati nella scura pietra: essi sono epigrafi cufiche, risalenti ad un periodo anteriore all'anno Mille, portate a Genova nell' XI secolo e provenienti dal nord Africa. Il cufico è un tipo di grafia araba chiamato così perché legato all'antica città sulle rive dell'Eufrate chiamata Cufa. Queste epigrafi incastonate in Santa Maria di Castello riportano alcuni versetti coranici sulla creazione del mondo e si dice che una delle due sia stata murata appositamente al contrario. Se conoscete il cufico e Vi va di leggerle o siete semplicemente curiosi di verderle più da vicino, tra il primo ed il secondo altare c'è un calco delle stesse.


39.2 La sacrestia

Essa rappresenta un tipico esempio di sacrestia settecentesca genovese con splendidi armadi in noce, opera di Stefano Porcile. 

Appena entrati sulla sinistra noterete un gruppo ligneo raffigurante la Madonna con Bambino e San Bernardo: esso, acquistato dai Domenicani nel 1884, proviene dal distrutto Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e i SS. Re Magi, una volta sito a fianco della Chiesa Di Santa Maria in Passione (trovate la storia di questo oratorio e le immagini di questo gruppo scultoreo nella pagina dedicata a gli ORATORI e le CASACCE). 
Sulla parete in fondo della sacrestia vi è una pala d'altare raffigurante "San Sebastiano" di Giuseppe Palmieri.

La sacrestia della Chiesa di Santa Maria di Castello
(foto di antonio Figari)


Un'altra immagine della sacrestia di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)



39.3 I chiostri e l'orto conventuale

Il complesso di Santa Maria di Castello comprende tra le sue mura più di un chiostro, ne sapete il numero esatto? 
Qui di seguito una breve descrizione di ognuno di essi ed alcune immagini.


39.3.1 Il chiostro romanico della Collegiata

Risalente alla metà del XI secolo esso, il chiostro più antico e più ad ovest del complesso di Santa Maria di Castello è oggi inglobato in un caseggiato di cui forma il cortile interno.

Di esso si conservano alcune splendide colonne inglobate nei muri del moderno edificio.


39.3.2 Il primo chiostro


Costruito tra 1445 ed il 1452 esso è oggi tamponato e il lato nord forma un lungo corridoio che porta al secondo chiostro del complesso.
Tra il chiostro della Collegiata e il primo chiostro vi era l'antica infermeria poi divenuto dormitorio.
Il lato sud di questo chiostro invece ospitava il grande refettorio, la cucina ed al primo piano il dormitorio.

Colonne e volte a crociera del primo chiostro di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)



39.3.3 Il secondo Chiostro

Coevo al primo chiostro esso sorge su preesistenti case medievali demolite per far posto a questo.
E' il chiostro più conosciuto poiché al primo piano conserva la splendida Loggia dell'Annunciazione.
In questo chiostro vi era la sala capitolare, la biblioteca, la "spetiaria" del convento ed i parlatori. 

Il secondo chiostro di Santa Maria di Castello
(Foto di Antonio Figari)


Un'altra immagine del secondo chiostro di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)


La Loggia dell'Annunciazione ed i suoi meravigliosi affreschi
(foto di Antonio Figari)


L'affresco dell'Annunciazione di Giusto di Ravensburg, firmato e datato 1451
(foto di Antonio Figari)


39.3.4 L'orto conventuale

L'antico orto conventuale conserva ancora oggi alberi da frutta e da esso si gode una splendida vista della cupola e del campanile di Santa Maria di Castello.

L'orto conventuale
(foto di Antonio Figari)

Particolare degli archi nell'orto conventuale
(Foto di Antonio Figari)




39.3.5 Il chiostrino

Il più piccolo chiostro del complesso di Santa Maria di Castello, detto "chiostrino", conserva splendide colonne e capitelli di recupero.  

Il "Chiostrino" di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)
Particolare del "Chiostrino" di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)


39.3.6 Il terzo chiostro

Costruito tra il 1492 ed il 1513 esso conserva tutto il suo splendore; al primo piano vi sono tracce di affreschi. Nel cortile interno vi è un piccolo pozzo.
Questo chiostro è chiuso al pubblico e non visitabile. Tuttavia, essendo una residenza universitaria non è difficile entrarvi.

Il terzo chiostro di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)

Le colonne al piano superiore nel terzo chiostro di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)


39.4 Le cisterne


Il complesso di Santa Maria di Castello era fornito di un sistema di grandi cisterne per la raccolta delle acque piovane.

Ve ne era una sotto il primo chiostro, una seconda sotto il coro della Chiesa e una terza, con accanto altre due piccole, sotto il terzo chiostro.
La grande cisterna sotto il coro della Chiesa è tuttora esistente anche se non aperta al pubblico: vi si accede da una porticina che si trova nel piccolo passaggio che dalla sacrestia porta al coro. Una freccia dipinta sul muro accanto alla porticina e con la punta rivolta verso al stessa (del tutto simile a quelle che si trovano ancora sui muri della città e di cui avete esempi ed immagini nel paragrafo dedicato a "le pietre salvifiche della seconda guerra mondiale" nella pagina de "le PIETRE parlanti") indica che questa cisterna era usata durante la Seconda Guerra Mondiale come rifugio antiaereo. 
Anche la cisterna sotto il terzo chiostro si è conservata fino i giorni nostri ed è divenuta, dopo un attento restauro, una sala per ospitare eventi: ad essa si accede dall'orto conventuale.
Costruita nel IX secolo d.C., questa grande cisterna fu realizzata con materiali di recupero come ci testimoniano i due frammenti di colonna con capitello romano e la colonna in marmo cipollino sormontata da un singolare e unico nel suo genere capitello: creduto fenicio, per la particolare forma, oggi in realtà si pensa sia la base di una colonna romana utilizzata a mò di capitello.
Sopra di essa fu costruita nella seconda metà XV secolo l'infermeria e alla fine dello stesso secolo lo splendido terzo chiostro di cui Vi ho parlato poco sopra. 

Un'immagine della cisterna di Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)

La colonna romana composta da due frammenti di recupero
(foto di Antonio Figari)


Il capitello creduto fenicio, in realtà base di una colonna romana
(foto di Antonio Figari)

39.5 Le sale del Museo

Il complesso di Santa Maria di Castello, grazie ai volontari, è visitabile tutti i giorni.
La visita comprende, oltre alla Chiesa, la sacrestia, l'orto conventuale, la cisterna, il secondo chiostro con la Loggia dell'Annunciazione e al piano superiore la Cappella Grimaldi, anche altre stanze meno conosciute ma molto suggestive e che Vi consiglio di andare a scoprire.
Alla destra della sacrestia per esempio una stanza conserva antichi capitelli, splendidi paramenti sacri, le due bandiere turche portate a Genova dopo la battaglia di Lepanto (di cui trovate storia e immagini nella pagina de lePIETREparlanti), uno splendido portale, una Madonna del Maragliano e la splendida pala d'altare di Ognissanti di Ludovico Brea datata 1513 (che descriverò nel prossimo paragrafo).
Al primo piano invece una piccola sala conserva moltissimi reliquiari tra qui uno che conserva reliquie di San Giovanni Battista.
E le meraviglie non sono finite, ci sono molte altri tesori che Vi aspettano: insomma, questo complesso ha tantissimi segreti da scoprire e merita sicuramente una visita approfondita.

39.5.1 La Pala di Ognissanti di Ludovico Brea

Nota anche con il titolo di "Incoronazione della Vergine", questa splendida pala d'altare fu commissionata da Teodorina Lomellini, vedova Spinola, al pittore nizzardo Ludovico Brea (che firma l'opera in basso a sinistra "Ludovico Brea Niciensis faciebat anno 1513") per la cappella degli Spinola, detta di Ognissanti, che si trovava in questa Chiesa in controfacciata.  Dopo la demolizione della cappella avvenuta nel 1847, la pala fu dapprima collocata in una cappella laterale della Chiesa per poi essere spostata in una sala del Museo, dove ancora oggi si trova.
Duecentoquindici figure, tra Santi e fedeli, sono individuabili in questa tavola: è forse questa la cosa che rende eccezionale l'opera.
La composizione ha il suo epicentro nella Triade Divina, isolata rispetto al resto dei personaggi presenti; tutt'intorno troviamo Santi e fedeli distribuiti in due cerchi: quello più esterno con i viventi (tra i quali Teodorina Lomellini, committente dell'opera), quello più interno con il mondo celeste (se avete un pò di dimestichezza con l'iconografia dei Santi, vi sarà facile riconoscere almeno alcuni di essi).
Degna di nota anche la predella sottostante con il "Compianto di Cristo Morto": se la guardate con attenzione noterete un paesaggio marino dove è facile riconoscere una Genova un po' fantasiosa e sullo sfondo il Promontorio di Portofino, a detta di molti, la più antica raffigurazione di Genova e del litorale ligure. 












39.6 La morte mietitrice in Santa Maria di Castello

All'ultimo piano del secondo chiostro (di cui trovate sopra la descrizione), ossia al piano superiore rispetto ala conosciutissima "Annunciazione" di Giusto di Ravensburg, c'è uno scheletro armato di arco, frecce e falce: si tratta di una lastra tombale in marmo bianco originariamente collocata sulla tomba dei due fratelli Grimaldi Lionello ed Emanuele.
Il nastro che avvolge le ossa reca una frase attribuita a San Gerolamo "Facile comptentp<n>it omnia qui sese cogitat moriturum" (dà poco peso alle cose colui che pensa a se stesso come prossimo alla morte").
La "morte mietritrice" poggia i suoi piedi su una collinetta fatta di monete: poco serviranno i tesori materiali dopo la morte.



40. Santa Maria in Passione

Una delle chiese che mi più affascina nei vicoli di Genova è quella dedicata a Santa Maria in Passione. 

Purtroppo l'ultimo conflitto mondiale ha gravemente danneggiato questa Chiesa ed il vicino complesso conventuale. 
Nonostante tutto il senso di tristezza al pensiero dell'aver perduto un così bel monumento mi piace passar di qui ad ammirar  il campanile, le mura e gli stucchi che sono resistiti alla guerra ed al tempo.

In questa immagine del 1943 in primo piano il distrutto Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e dei Re Magi (di cui trovate la storia nella pagina de "gli ORATORI e le CASACCE") e sulla destra la Chiesa di Santa Maria in Passione ancora parzialmente in piedi.


In questa immagine l'interno della Chiesa di Santa Maria in Passione dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale


I resti della facciata di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


L'interno della Chiesa di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


I resti degli stucchi di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


Antica immagine dell'altare di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


Affesco di Domenico Piola raffigurante Mosè staccato da Santa Maria in Passione ed oggi conservato nel Museo di Sant'Agostino (lo notate nella foto sopra nella sua originaria posizione nella parte sinistra dell'altare)
(foto di Antonio Figari)



Resti di affreschi ancora visibili nell'altare laterale di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


Particolare degli affreschi ancora visibili nell'altare laterale di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


Il cielo blu al posto del soffitto nella Chiesa di Santa Maria in Passione
(foto di Antonio Figari)


Il campanile di Santa Maria in Passione visto da Stradone Sant'Agostino
(foto di Antonio Figari)


41. Santa Maria delle Grazie la Nuova

a. Il Monastero
La facciata del monastero di Santa Maria delle Grazie la Nuova
(foto di Antonio Figari)


Un antico palazzo in Piazza Santa Maria in Passione con una bella facciata dipinta nasconde al suo interno un complesso conventuale meraviglioso, uno dei tanti tesori nascosti della Superba, il monastero di Santa Maria delle Grazie la Nuova.
Nato alla metà del XV secolo in una zona che ospitò prima un antico insediamento preromano, poi cittadella fortificata degli Embriaci (il complesso ingloba parte di una torre ancora visibile, la cui storia è narrata nella pagine de "le TORRI di GENOVA", paragrafo de "La seconda Torre degli Embriaci"), in seguito sede di varie botteghe durante il Medio Evo, come testimoniano vari ritrovamenti archeologici, questo convento ospitò le Canonichesse Lateranensi, religiose che seguivano la "regola" di Sant'Agostino.
Esse qui rimasero fino alle soppressioni napoleoniche, che fecero sì che il complesso conventuale si trasformasse in edificio per l'alloggiamento delle truppe con la suddivisione in appartamenti. Anche la Chiesa perdette la sua funzione sacra e venne utilizzata per i più disparati usi: deposito per il legname, teatro ed infine palestra per la boxe, utilizzo che andrà avanti fino alla seconda metà del XX secolo.
Questo complesso, oggi sede della "Casa Paganini", è stato sottoposto ad un profondo restauro nei primi anni del XXI secolo che gli ha donato di nuovo l'antico splendore.
La Chiesa, oggi utilizzata come auditorium, conserva splendidi affreschi del XVII secolo opera di Giovanni Andrea Carlone e nel presbiterio affreschi di Bernardo  e Valerio Castello.

La volta della Chiesa nel complesso conventuale di Santa Maria delle Grazie la Nuova
(foto di Antonio Figari)

La piccola cappella alla sinistra della Chiesa, oggi stanza d'ingresso della Casa Paganini, conserva affreschi di Jacopo Antonio Boni, stucchi rococò e due ovali raffiguranti Santa Caterina Fieschi Adorno e Battistina Vernazza, figlia di Ettore, grande filantropo genovese fondatore dell'Ospedale degli Incurabili (di cui trovate la storia nella pagina de "gli EDIFICI pubblici").
Superato un altro ambiente si arriva alla scala che conduce al piano superiore: la prima stanza è decorata con affreschi secenteschi raffiguranti paesaggi immaginari che ricoprono quasi del tutto più antichi decori, la seconda stanza conserva invece affreschi quattrocenteschi e volte a crociera e in un angolo è visibile e ancora affrescato sotto il pavimento il punto dove correva l'antica scala.
Si giunge infine al Coro delle Monache, gravemente danneggiato dai bombardamenti del Re Sole e decorato di nuovo a partire del 1686 dal quale si ha una splendida visuale sulla Chiesa.
Questo complesso è visitabile al pubblico su appuntamento, il lunedì ed il mercoledì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17.  


b. L'Educandato o Scuola per nobili fanciulle

Quello che oggi si presenta come un grosso e in parte anonimo palazzo che per perimetro ha Vico Vegetti, Salita Mascherona, Via Mascherona e Vico Alabardieri nasce come Educandato o Scuola per nobili fanciulle costruito nel 1623 per volontà delle monache del vicino convento di Santa Maria delle Grazie la Nuova.
Il grande edificio si eleva da Piazza San Bernardo fino all'altezza del Monastero delle Grazie  con il quale si congiunge con un passaggio sopraelevato su Via Mascherona ancora presente.
Nel 1798, epoca buia per gli edifici religiosi, viene confiscato da Napoleone e trasformato in una caserma.
Viene costruita la torre all'angolo tra Vico Vegetti e Salita Mascherona all'epoca svettante sopra l'edificio, oggi è invece inglobata e alta come il resto del palazzo: in essa  trovano posto gli alabardieri. 
L'Educandato, persa la sua funzione scolastica, viene diviso in appartamenti e nel ventesimo secolo sopraelevato fino a giungere all'altezza della torre che oggi non è più rintracciabile .
Tuttavia, tracce antiche si ritrovano ancora lungo il muro perimetrale, dove gli ultimi restauri hanno "tirato fuori" le antiche pietre e nell'interno dove sono molti gli elementi che sono sopravvissuti alle trasformazioni dei secoli: l'antico scalone con le sue splendide colonne di marmo e  le grandi volte a crociera, i grandi camini, tipici dei  più bei palazzi dei vicoli, e il passaggio sopraelevato sopra Via Mascherona, ma non solo... 

La mole del palazzo all'angolo tra Vico Vegetti e Vico Alabardieri
(foto di Antonio Figari)

Particolare dei muri perimetrali dell'Educandato su Vico Alabardieri
(foto di Antonio Figari)




Lo scalone e la luce che filtra dal cortile
(foto di Antonio Figari)

Lo scalone dell'Educandato e una splendida volta a crociera
(foto di Antonio Figari)

Una volta a crociera, una delle tante antiche tracce ancora visibili nell'Educandato
(foto di Antonio Figari)


Il Cortile, i grandi camini e sullo sfondo, rosa, la sagoma del Convento di Santa Maria delle Grazie la Nuova
(foto di Antonio Figari)

All'angolo dell'edificio tra Vico Vegetti e Vico Alabardieri infatti vi è un ristorante "La Taverna degli Alabardieri" che conserva tracce di quello che fu prima luogo di ritrovo degli alabardieri, poi refettorio dell'Educandato, infine panificio nell'ottocento: al suo interno  si trova ancora il pavimento in cotto originale, il vecchio forno, le volte a crociera ed infine la cisterna del palazzo che ha una altezza di dodici metri.


42. Santa Croce

La Chiesa di Santa Croce sorgeva in cima all'omonima salita, poco distante dal Complesso di San Silvestro.
Essa è citata, per la prima volta, nel 1135 in una bolla di Papa Innocenzo II con il nome di "S. Croce de Castello Ianue", documento nel quale si dice che questa Chiesa è soggetta all'Abbazia benedettina di Santo Stefano (ancora oggi esistente e sita a poca distanza dal Ponte Monumentale in Via XX Settembre).

All'Abate di Santo Stefano era affidata l'amministrazione temporale della Chiesa, mentre l'amministrazione spirituale, la cosiddetta "cura animarum", era riservata all'Arcivescovo di Genova.

Questa distinzione di poteri, non di poco conto, sarà fondamentale non molto tempo dopo.
L'Abate benedettino di Santo Stefano, nel XII Secolo, aveva concesso "de facto" ai mercanti lucchesi residenti in Genova, il patronato e tutti i diritti che spettavano all'Abbazia su questa Chiesa. Facendo ciò, tuttavia, veniva meno anche il potere spirituale che dipendava dall'Arcivescovo il quale, venuto a conoscenza di questa concessione, si appella a Papa Innocenzo IV che, dopo aver esaminato i fatti annulla la concessione ripristinando quanto dettato della bolla di Papa Innocenzo II.
Nel 1252 viene siglato un accordo vero e proprio tra i mercanti lucchesi e il Monastero di Santo Stefano: ai lucchesi viene concessa la facoltà di scegliere un candidato sacerdote per la Chiesa di Santa Croce, candidato che viene esaminato dall'Abbazia di Santo Stefano, e dopo essere stato eletto alla stessa presta giuramento di fedeltà.
Nel 1386 la Chiesa di Santa Croce fu eretta a Priorato e inizia dunque una nuova fase della sua storia con l'avvento di monaci dall'Abbazia di Santo Stefano.
IQuesti ultimi rimasero in Santa Croce fino al 1797, anno in cui la Chiesa fu abbandonata e incorporata nella parrocchia di San Salvatore.
Oggi della Chiesa rimangono alcuni resti recentemente riportati alla luce da un minuzioso restauro: se entrate ne "La Passeggiata librocaffè" in Piazza Santa Croce potrete osservare gli antichi pilastri e parte del transetto destro in pietra nera di promontorio, parte dell'antico pavimento e alcuni reperti,come una piccola acquasantiera, conservati in una nicchia ancora affrescata.
Sopra il bancone del bar è ancora presente la nicchia dove un tempo era collocata una statua raffigurante una Madonna con Bambino, attribuita a Giovanni Domenico Casella, detta "Nostra Signora della terza età", oggi conservata all'interno della Chiesa di San Donato.
Sono presenti anche alcuni resti della cinta muraria detta "del Barbarossa" in un piccolo locale adiacente. 
Ho avuto la fortuna di poter visitare anche il piano sotto l'antica Chiesa: un grosso ambiente voltato che conserva ancora gli antichi pilatri costituiti da grossi blocchi di pietra di promontorio. Osservandoli con attenzione è possibile notare su molti di essi (e così anche su alcune pietre del transetto della Chiesa) una lettera "M" o "W" scolpita: essa indicava il nome del committente dell'ordinazione di questi grossi blocchi di pietra.
Durante i  lavori di restauro di questi ambienti sono state ritrovate due piccoli ambienti pieni di detriti e con ossa; in uno è stato anche trovato inciso sul muro al data 1610.
Si tratta con ogni probabilità di due piccole cripte utilizzate per sepolture collegate con una botola alla sovrastante Chiesa.  

 
43. San Silvestro

a. La Chiesa

La Chiesa di San Silvestro è una delle più gravi perdite causate dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La sua posizione dominante sul colle di Castello certo non aiutarono questo splendido complesso a rimanere immune dalle bombe britanniche.
Un giorno Ve ne racconterò la storia, per il momento eccoVi qualche foto di ciò che restava dopo il 1943.


Portale della Chiesa di San Silvestro, oggi conservato a Palazzo Rosso
(foto di Antonio Figari)













Muro interno e parte di una scala della cosiddetta "Casa del Vescovo", una delle parti più antiche del complesso di San Silvestro
(foto di Antonio Figari)
 

b. Il chiostro

Come dicevo, ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale non si è salvato quasi nulla del complesso di San Silvestro, oggi sede della Facoltà di Architettura.
Il chiostro, ricostruito, è oggi utilizzato dagli studenti della Facoltà come luogo di ricreazione.


(foto di Antonio Figari)



44. San Salvatore

La facciata di San Salvatore parzialmente baciata del sole
(foto di Antonio Figari)

Particolare della facciata di San Salvatore con la dedica al Santo
(foto di Antonio Figari)

L'interno di San Salvatore, oggi aula magna della Facoltà di Architettura di Genova, conserva ancora  stucchi ed altari dell'antica Chiesa
(foto di Antonio Figari)

Altra immagine degli interni di San Salvatore
(foto di Antonio Figari)
 

45. Sant'Agostino

a. La Chiesa

La facciata di Sant'Agostino
(foto di Antonio Figari)
 

La chiesa ed il campanile di Sant'Agostino visti dalla cima di Torre Maruffo
(foto di Antonio Figari)



b. I chiostri

Il complesso di Sant'Agostino, oggi divenuto Museo della scultura genovese, conserva al suo interno due chiostri.
Il primo, triangolare, unico nella sua forma a Genova, venne costruito in un periodo coevo alla Chiesa nel XIII secolo: colonne a fasce bianco e nere, marmo e pietra, sostengono capitelli di forma cubica. Per visitarlo Vi basta varcar l'ingresso del complesso da piazza Sant'Agostino: non essendo inserito nel percorso museale la sua visita è gratuita.
Il secondo, di forma quadrata, risale al seicento e venne edificato nell'area degli orti del complesso monastico: per poterlo visitare dovete entrar nel Museo.
Mentre il chiostro triangolare ha subito solo lievi danni nella Seconda Guerra Mondiale e dopo il conflitto venne solo restaurato, il secondo chiostro fu completamente ricostruito a causa dei pesanti danni subiti.

Il chiostro triangolare
(Foto di Antonio Figari)

Il chiostro triangolare e il campanile maiolicato
(Foto di Antonio Figari)




Il chiostro quadrato
(foto di Antonio Figari)



46. SS. Madre di Dio

La Chiesa di Madre di Dio Vista dal Ponte di Carignano
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa della Madre di Dio
(foto di Antonio Figari)


La facciata ed il portale della Chiesa della Madre di Dio
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa della Madre di Dio viene solennemente aperta al culto nel 1682 dopo il lungo peregrinare dei Padri di Maria per le Chiese della città di Genova.
Due anni dopo tuttavia i bombardamenti della flotta del Re Sole radono quasi al suolo l'intero edificio.
Nel 1689 la chiesa è di nuovo in piedi grazie ad una sottoscrizione popolare che raccoglie i soldi necessario al suo restauro.
Nel 1798 la chiesa viene chiusa al culto, spogliata dei suoi beni e tramutata ad uso profano divenendo essa un'officina ed il vicino convento diviso in private abitaioni.
Dopo essere divenuta chiesa valdese, nel 1855 viene acquistata dai Franzoniani: dei sette altari che ornavano anticamente la chiesa,  ne vengono rifatti tre e sull'altar maggiore viene posta una statua della Madre di Dio. 
Dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale la chiesa rimane ancora in attività.
Miracolosamente, è proprio il caso di dirlo, essa si salva dalla distruzione, a suon di piccone, del quartiere che da lei prende il nome.
Nel 1988 essa viene occupata e diventa un centro sociale autogestito.
Nel 1993 i Padri Franzoniani riescono a liberare la chiesa e danno avvio ai lavori adattare l'edificio a sede dalla Biblioteca Franzioniana,  che verra inaugurata nel 2008 in concomitanza con le celebrazioni per il terzo centenario della nascita dell'abate  Paolo Gerolamo Franzoni.
interni della chiesa di Madre di Dio nel 1993 (foto tratta dal sito www.catalogo.beniculturali.it) 




47. Santa Maria Dei Servi

La Chiesa di Santa Maria dei Servi sorgeva sulla montagnola detta "dei servi", poco sotto il Colle e nei pressi di Via Madre di Dio. Come tutti gli edifici di questa zona anche questo non venne risparmiato dalla furia distruttrice delle ruspe che nella seconda metà del Novecento distrussero questa piccola ma preziosa porzione dei vicoli di Genova.

Nella cartina qui sotto, potete notare dove si trovava questa Chiesa.

  
Alcuni capolavori di questa chiesa ed il titolo vennero trasferiti nel quartiere della Foce dove ancora oggi esiste, in Via Cecchi, una chiesa moderna che porta il suo nome con all'interno alcune opere dell'antico tempio.


48. Santa Maria Assunta

Le torri e la cupola di Santa Maria Assunta
(foto di Antonio Figari)

La cupola di Santa Maria Assunta
(foto di Antonio Figari)


La statua dell'Assunta, opera di Cloude David e terminata da Bernardo Schiaffino, posta sul portale della Basilica
(foto di Antonio Figari)


Il cartiglio marmoreo sopra l'ingresso della Chiesa di Santa Maria Assunta
(foto di Antonio Figari)


Il Porto e i vicoli visti dalla Cupola di Santa Maria Assunta
(foto di Antonio Figari)



La cupula di Santa Maria Assunta vista dall'interno
(foto di Antonio Figari)





49. Santa Maria in Via Lata

La facciata della Chiesa di Santa Maria in Via Lata
(foto di Antonio Figari)

La bicromia e la perfetta simmetria della facciata della Chiesa di Santa Maria in Via Lata
(foto di Antonio Figari)

Costruita in forme gotiche nel 1336 conserva ancora la splendida facciata a strisce bianco e blu, il portale con le sue strombature e i capitelli magnificamente decorati, ed il rosone.
All'epoca della sua costruzione essa dominava il Colle di Carignano accanto al Palazzo Fieschi. Quest'ultimo fu abbattuto dai Doria nel 1547 dopo che fu scoperta e sventata la cosiddetta "Congiura dei Fieschi", il tentativo di Giovanni Luigi Fieschi di attentare alla vita dell'ammiraglio Andrea Doria. La Chiesa venne per fortuna risparmiata dalla vendetta ma non da un lento declino che la portò a divenire nel 1858 una falegnameria.
Nel 1911 fu acquistata dalla Confraternita dei Santi Antonio Abate e Paolo I Eremita come ci ricorda ancora una piccola placca inserita nel portone d'ingresso.
Gravemente danneggiata nei pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale fu oggetto di un prezioso restauro portato avanti dalla Soprintendenza per i Beni Culturali a partire dal 1981.
Oggi è sede di un laboratorio di restauro. 

Gli splendidi capitelli di Santa Maria in Via Lata
(foto di Antonio Figari)

La volta con i quattro Evangelisti in Santa Maria in Via Lata
(foto di Antonio Figari)




50. Santa Margherita della Rocchetta

In cima all'antica "erta dei sassi" (oggi in parte ancora esistente e chiamata "Salita dei Sassi"), antica "creuza" che collegava il colle di Carignano al Borgo dei Lanaiuoli ed al quartiere della Marina, vi era una Chiesa con annesso Monastero chiamata Santa Margherita della Rocchetta o Monastero della Rocca poiché sorgeva sopra le rocce del Colle di Carignano, su quel pianoro detto Montagnola dei Servi, ricco di orti e piccoli campi coltivati, poco distante da dove i Sauli nel XVI secolo edificheranno la cosiddetta Basilica di Carignano (Santa Maria Assunta).

Oggi più nulla rimane di questa antico edificio e la sua memoria è affidata ai vecchi libri che ne parlano e a disegni come quello di Pasquale Domenico Cambiaso.


Pasquale Domenico Cambiaso, Chiesa di Santa Margherita


51. San Giacomo Maggiore

Edificata nel 1154 per volere di Ansaldo Spinola che la volle quale chiesa gentilizia per la sua famiglia fu chiusa nel 1890 perché inagibile. Venduta al Comune fu demolita nel 1905 per far posto al Poggio della Giovane Italia: un altro piccolo pezzo di Genova sacrificato del quale ci rimangono purtroppo solo alcune immagini.



Antica immagine di J. Neer del 1904 della Chiesa di San Giacomo Maggiore


52. Cappuccine

Lungo l'odierna via delle Cappuccine, sorgeva un tempo l'omonimo monastero. Nella chiesa, intitolata a San Bernardino, era conservata una tavola del Cambiaso sull'altar maggiore.


53. Sant'Antonio

All'estremità sud dell'odierna Via delle Cappuccine, vi era il Monastero di Sant'Antonio. Leggiamo come lo descrive "l'Anonimo del 1818": "La strada che ad esso conduce (Monastero delle Cappuccine, ndr) viene sulle mura opposte, sotto l'altro monastero di S. Antonio ov'erano prima del 1798 le monache Francescane ed ora è stato (nel 1816) assegnato alle Cappuccine. Nella chiesa eravi una tavola del detto Santo, del Sarzana. Da che vi sono entrate le Cappuccine ha preso il nome di N. Signora degli Angioli. E' quivi una gran piazza con sedili di pietra all'ingiro, per comodo delle persone che vengono sulle mura a godere del fresco nella bella stagione.".
Veniamo così a sapere che in questa chiesa era conservata una tavola raffigurante Sant'Antonio, opera di Domenico Fiasella detto "il Sarzana".
Il monastero venne demolito nel 1861 per far posto al nascente Ospedale di Sant'Andrea Apostolo (comunemente chiamato "Galliera") voluto e finanziato da Maria Brignole-Sale De Ferrari (vi rimando alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici per approfondire la storia degli ospedali genovesi).
La chiesa di N.S. degli Angeli esisteva ancora nel 1929 all'estremità sud di Via delle Cappuccine.
Oggi purtroppo nulla rimane se non un bell'acquarello a seppia di Domenico Cambiaso che qui di seguito vi mostro.


Domenico Cambiaso - "Chiesa di S. Antonio sulle Mura di S. Chiara, già Convento delle Cappuccine ora distrutta".



54. Santa Chiara

Il Monastero di Santa Chiara sorgeva in un terreno compreso tra le odierne Via Silvio Pellico, Mura di Santa Chiara, Via Corsica e Via Ilva.

Ecco come viene descritto da un anonimo viaggiatore del 1818: "In questa Chiesa, piccola ma linda, erano tre tavole, cioè quella dell'altar maggiore con S. Chiara di Battista Baiardo, una coll'Assunzione di Gio Andrea De Ferrari, l'altra col Presepio di Orazio Ferrari. Vedeasi la statua della Santa in marmo sulla porta del monastero di Bernardo Schiaffino. Dal 1798 in poi fu chiusa ed il monastero di queste religiose è stato ad abitazione ridotto.".
Dopo esser stato riadattato ad uso civile, come ci racconta l'anomimo viaggiatore, il complesso monastico fu in seguito abitato dalle Suore Crocifisse.
Nel secondo dopoguerra, i resti di questa antica struttura scomparvero con lo spianamento di Via Silvio Pellico ed oggi purtroppo nulla rimane di questo Monastero se non la memoria nel nome della via (Mura di Santa Chiara) e qualche foto ottocentesca come quella che trovate qui di seguito.




 



55. Conservatorio delle Figlie di San Bernardo

Nella zona nei pressi della via ancora oggi chiamata "Via delle Bernardine", vi era anticamente un monastero intitolato a San Bernardo, di cui oggi purtroppo nulla rimane.
Ecco come "l'Anonimo del 1818" descrive questo monastero:
"A levante di esso (il convento di Santa Chiara, ndr) per una strada discendesi al Conservatorio delle Figlie di S. Bernardo e quindi al Porticciolo sulle mura al mare. Nella chiesina di S. Bernardo è una tavola con esso santo, dell'Ansaldi. E' qui sulle mura una fila di casini di campagna con ville e giardini amenamente situati."


56. Sant'Ignazio

Il complesso di Sant'Ignazio, oggi sede dell'Archivio di Stato, si trova in Piazza San Leonardo, poco distante dalla Chiesa di Santa Maria in Via Lata ed il Convento di San Leonardo.

Nato come villa signorile nel '400 per i Franceschi, ed edificato su preesistente edificio medievale, esso fu acquistato nel 1659 dai Gesuiti che ne fecero sede del proprio Noviziato a Genova.
Passato nel 1773 alle Monache Agostiniane fu successivamente trasformato in caserma nel 1810.
Gravemente danneggiato dalla Seconda Guerra Mondiale fu nei primi anni del 2000 restaurato ed adibito a sede dell'Archivio di Stato.
Merita una visita il salone del complesso con lo splendido affresco del Semino raffigurante "Il ratto delle Sabine", oggi aula di lettura dell'Archivio e accessibile al pubblico.


57. San Leonardo


Il Convento di San Leonardo, ubicato nell'omonima piazza a pochi passi da Sant'Ignazio e Santa Maria in Via Lata, fu fondato nel 1317 da Leonardo Fieschi, vescovo di Catania.

Costruito per l'Ordine delle Clarisse, il Fieschi volle che fossero riservate alle fanciulle della sua casata fino a dodici posti nel convento.

Abbellito nei secoli da opere d'arte di famosi pittori come Domenico Piola e Lorenzo De Ferrari, nel 1798 divenne Caserma e tuttora mantiene questa destinazione essendo qui ospitato il Nucleo Tecnico del 1° Reparto Infrastrutture dell'Esercito Italiano e proprio per la sua destinazione d'uso  è difficilmente visitabile.

Ecco come "l'Anonimo del 1818" descrive questo monastero:

“La chiesa è assai grande; il coro di questa chiesa fu dipinto da Domenico Piola  che nella volta ha dipinto la Vergine preservata dal peccato originale e nelle pareti l’Annunciazione e Parto di lei. A’ lati però dell’altar maggiore si distinse ne’ due finti rilievi l’abbate Ferrari, esprimendovi Giuditta e Ester, e pinse pur dietro il coro alcuni bei putti colla tavola della Concezione al suo altare. Delle tavole agli altri due altari sono autori: di quella di S. Bernardo di Borzone e dell’altro di S. Chiara il Sarzana”.

Gli affreschi sopra decritti andarono perduti con la trasformazione della chiesa in caserma. Alcuni frammenti  di affreschi di Domenico Piola tuttavia vennero staccati e sono oggi esposti all’Accademia Ligustica delle Belle Arti.



58. N.S. del Rimedio


Salendo lungo l'antica Via Giulia in direzione Piazza San Domenico, fino al calar del XIX secolo, avreste per così dire "incontrato" sulla sinistra della via la chiesa di N.S. del Rimedio, una della vittime eccellenti degli sconvolgimenti ottocenteschi cittadini che porteranno alla nascita di via Venti Settembre.

Eccola di seguito in una rara immagine ottocentesca:



La chiesa avrà nuova vita in Piazza Alimonda. 

(...continua) 


59. Santo Stefano

Sita sopra l'attuale Via XX Settembre, questa antica abbazia  nasce sui resti di un'antica cappella intitolata a San Michele. I primi documenti scritti che parlano di questa chiesa risalgono al  965 d.C.
Essa si presenta ad una sola navata e con il presbiterio sopraelevato, sotto il quale vi è la cripta, probabilmente il nucleo originario dell'antica cappella  intitolata a San Michele.
La facciata romanica si presenta a bande bianco e nere.
L'attiguo monastero fu abbattuto nel XVI secolo quando vennero edificate le mura della città e ricostruito nel secolo successivo.
A proposito di mura, il padre di Cristoforo Colombo era custode della vicina porta dell'Olivella e qui in Santo Stefano fu battezzato il piccolo Cristoforo. Tradizione, non verificata tuttavia da nessun documento, vuole che anche il piccolo eroe di Portoria, il "Balilla", fosse stato qui battezzato.
All'interno della chiesa è conservata "La lapidazione di Santo Stefano" di Giulio Romano ed il "Martirio di San Bartolomeo" di Giulio Cesare Procaccini.
Il vicino campanile (di cui trovate le immagini, anche degli interni, nella pagina dedicata a i CAMPANILI di GENOVA)  si innesta su una base che probabilmente è antecedente all'erezione della chiesa  e aveva in principio funzioni di torre di difesa.
La chiesa minacciava di crollare all'inizio del XX secolo e così fu deciso, dopo aver cominciato un difficile restauro, di edificare a poco distanza una nuova chiesa (trovate la storia e le immagini nel paragrafo seguente).
Le seconda guerra mondiale danneggerà entrambe le chiese e nel dopoguerra si decise di restaurare l'antica e di abbattere la nuova.


La facciata ed il campanile della Chiesa di Santo Stefano
(foto di Antonio Figari)














La cripta ed i fiori del Sepolcro del 2013
(foto di Antonio Figari)


60. N.S. della Guardia o Santo Stefano Nuova


Antica cartolina della Chiesa di Santo Stefano Nuova

Questa Chiesa venne innalzata nel 1904 sotto la direzione dell'Ing. Cesare Galliano e del Cav. Uff. Ing. Cesare Barontini, accanto alla vecchia Chiesa di Santo Stefano. 
Essa si presentava con uno stile romanico che voleva riprendere le forme dell'antico tempio. Il rosone in facciata, le finestre lungo le navate e le cinque grandi vetrate del coro erano impreziosite da vetri istoriati. Essa venne inaugurata nel 1908. Contemporaneamente alla sua inaugurazione venne chiusa la vecchia Chiesa di Santo Stefano che rimase interdetta al pubblico per 47 anni.
La Chiesa venne danneggiata il 17 gennaio 1912 dal crollo della navata sinistra della vecchia Chiesa di Santo Stefano. 
La Seconda Guerra Mondiale non risparmiò né la vecchia né la nuova Santo Stefano, ma mentre l'antico tempio venne ricostruito, il nuovo rimase solo un cumulo di macerie e solo le antiche foto dell'epoca possono darci un'idea di essa.
Il Cardinale Giuseppe Siri infatti, leggendo nel cuore dei genovesi tanto legati all'antica abbazia quanto poco al nuovo tempio, volle solo la ricostruzione dell'antica Chiesa che terminò nel 1955.
Ed è così che si conclude la storia della Chiesa che ebbe la più breve vita fra tutte quelle di Genova.


61. Santa Maria della Pace

La Chiesa ed il convento di Santa Maria della Pace in un'immagine del 1890 circa


Le prima notizia certe relative ad un luogo di culto in questa zona risalgono ad un documento del 1132 in cui Siro II, vescovo di Genova, parla di una Chiesa intitolata a San Martino di Tours.
Nel XIV Secolo, la piccola Chiesa viene affidata da Papa Urbano VI  ai monaci della vicina Abbazia di Santo Stefano ai quali subentreranno, dopo poco, i francescani (per la precisione, gli Amadeiti, congregazione di francescani riformati, fondata da Amedeo da Silva, che nel XVI Secolo confluirà nella congregazione dei Minori Osservanti).
I frati decidono di abbattere l'antica Chiesa e di costruirne una più amplia con adiacente un piccolo convento.
La nuova Chiesa, consacrata all'inizio del XVII Secolo, prende il nome di Santa Maria della Pace.
Questo toponimo venne dato anche alla strada che partendo dalla zona ove sorgeva questo complesso religioso giungeva al Monastero di Santa Chiara (la prima parte di questa strada è oggi identificabile con Via Maragliano e l'edificio che oggi ospita l'Istituto Vittorino da Feltre sorge pressapoco ove vi era questa Chiesa). Quella che oggi è Via della Pace invece non corrisponde all'antico tracciato della via.  
Posta sotto il patronato della Repubblica, qui si decise di conservare l'antico gonfalone dell'Abate del Bisagno (ancora oggi portato in processione durante il "Confuego"). Esso venne dato in pegno alla Chiesa di Santa Maria delle Nasche a garanzia di un prestito ricevuto dai frati di Santa Maria della Pace: il debito non venne mai onorato e ancora oggi il gonfalone si trova lì.
Tra le opere conservate in questa Chiesa, oggi disperse, da ricordare lo splendido gruppo ligneo raffigurante la Deposizione, opera di Anton Maria Maragliano (oggi conservato nella Chiesa di N.S. della Visitazione, descritta di seguito), una delle tante opere a lui commissionate dai francescani di questo convento ed oggi disperse in varie Chiese cittadine e non.





In questa Chiesa trovarono sepoltura proprio Anton Maria Maragliano, i pittori Domenico Fiasella e Giovanni Battista Casoni, ed il doge Stefano Onorato Ferretto (di quest'ultimo trovate descritto il palazzo nella pagina de i PALAZZI privati).
Nel XVIII Secolo il complesso monastico andò incontro ad un lento declino che portò i frati a concedere parti del convento a istituzioni civili. 
La parola fine la scrisse l'apertura di Via XX Settembre che decretò l'abbattimento di questo antico complesso monastico.



62. N.S. della Consolazione

a. La Chiesa


L'interno della Chiesa della Consolazione nel giorno del Venerdì Santo del 2010
(foto di Antonio Figari)



b. Il chiostro

Quello che oggi è il Mercato Orientale una volta era il chiostro annesso alla Chiesa di Nostra Signora della Consolazione ed al convento dei Padri Agostiniani.
Il chiostro, i cui lavori iniziarono nel 1699, non fu mai portato a termine.
Con delibera comunale del 21 ottobre 1893, fu decisa l'apertura del Mercato Orientale (a oriente del centro) riadattando la struttura e gli archi dell'antico chiostro.
Il mercato fu inaugurato il 1° maggio 1899 alla presenza del sindaco Francesco Pozzo.


Antica cartolina del mercato Orientale





63. San Vincenzo Martire

Quello che oggi è il palazzo al civico 68 di Via San Vincenzo nasconde in sé una storia molto più antica da quanto possa sembrare limitandosi ad osservare la sua moderna facciata ottocentesca dalle forme neoclassiche.
Qui infatti vi era la chiesa che dà ancora oggi il nome alla via e al quartiere ossia quella intitolata a San Vincenzo Martire. 
Ecco come descrive la chiesa l'Anonimo del 1818 il quale, come noi, non ha fatto in tempo a visitarla: "Proseguendo per la strada del borgo verso Porta dell'Arco è a sinistra la chiesa di S. Vincenzo martire detta piccola, ad una sola navata, e quattro altari.
Nel 1811 la parrocchia, che da più secoli avea dato il nome al borgo, fu trasferita alla vicina chiesa di N. Signora di Consolazione assieme agli oggetti del culto che comprendea: cioè la tavola del santo Titolare all'altar maggiore che è di buona maniera, ma di incognito autore; la statua di N. Signora col Bambino che si vedea alla cappella del Rosario in legno dorato, fattura bellissima ed è di Battista Santacroce; gli angioli però al di dentro di stucco e quelli in marmo al di fuori son del Bocciardi; l'affresco poi con angioli alla volta è di Agostino Ratti, padre di Carlo Giuseppe Ratti, che fu quivi sepolto nel 1775, in cui mancò all'età di 77 anni. All'altare di S. Caterina si vedea la tavola del Ratti; i putti in marmo di Francesco Schiaffino, e gli angioli al di sopra in affresco del Ratti suddetto. Il quadro di S. Vincenzo con la statua del Rosario vedonsi ora nella chiesa della Consolazione, ma non già gli angioli del Bocciardi coi putti dello Schiaffino.".
Le prime notizie di questa chiesa risalgono all'anno 1059 anche se già in precedenza al suo posto sorgeva una piccola cappella dedicata al santo martire circondata dal piccolo borgo di case, abitato in prevalenza da artigiani, che aveva da questa preso il nome e che si sviluppava lungo l'antico asse viario che, usciti dalle città murata, vi avrebbe condotto dapprima a Borgo Incrociati e poi, attraversando il ponte di Sant'Agata, nel levante ligure. 
La chiesa, che prende il posto della cappella, viene eretta nel territorio della "domoculta" dell'abbazia Santo Stefano. Questo termine deriva dal latino e ci racconta che qui vi erano terreni coltivati. Poco distante invece vi è la zona di Brera (ancora oggi esiste Via Brera) che rimanda invece al termine "braida" che in latino medievale significa "zona incolta". 
L'edificio romanico di età medievale diviene insufficiente per contenere i tanti parrocchiani (i quali spesso dovevano sostare sul sagrato all'aperto per assistere alla messa)  ed è così che agli inizi del XVIII secolo la chiesa viene ricostruita più grande per permettere a tutti di assistere alle funzioni in chiesa. Nonostante ciò la chiesa rinnovata nelle forme non si dimostra ancora sufficiente a contenere il gran numero di parrocchiani e così, se da un lato a causa di questo motivo alcuni abitanti di San Vincenzo passano alla vicina parrocchia di Santa Maria degli Incrociati, dall'altro agli inizi del XIX secolo il cardinale arcivescovo Giuseppe Maria Spina decide di trasferire il titolo parrocchiale alla vicina chiesa di N.S. della Consolazione che aggiunge il titolo di San Vincenzo Martire al suo e tuttora lo conserva. Alla Consolazione, come ci racconta anche l'Anonimo,  sono conservati "Il Martirio di San Vincenzo", tela di inizio Seicento attribuita a  Lazzaro Tavarone, e la "Madonna del Rosario", statua policroma del XVII secolo, opera di Giovanni Battista Santacroce, entrambe provenienti dalla chiesa di San Vincenzo. Anche le due statue policrome ai lati della Madonna del Rosario, raffiguranti San Domenico e Santa Caterina, provengono da San Vincenzo.
La chiesa di San Vincenzo subisce quindi la sua ultima trasformazione passando in proprietà al Demanio  che la adatta a Caserma del Corpo Scientifico del Genio Militare. E' l'architetto Giovanni Battista Resasco, architetto civico che aveva preso il posto di Carlo Barabino, a firmare il progetto: la facciata assume le forme odierne con un basamento in bugnato nella parte inferiore ed un ordine colonnato gigante di incorniciatura per i piani superiori, chiusi alla linea di colmo con un cornicione orizzontale. Gli interni vengono soppalcati per avere più spazi per la nuova destinazione d'uso.
Rimangono intatti i muri perimetrali ed il tetto tanto che se osservate l'edificio dall'alto potrete vedere ancora il suo aspetto originario con i tetti modellati sulle forme della chiesa.
Oggi, dopo aver ospitato prima il Genio Civile e poi il Tribunale Militare, è sede de Circolo Ufficiali del presidio.
Una curiosità: qui fu battezzata Virginia Centurione Bracelli, fondatrice della congregazione religiosa delle Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario, comunemente chiamate Brignoline, con sede a Genova, e di quella delle Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, con sede a Roma.


Quello che oggi è il Circolo Ufficiali di Via San Vincenzo era un tempo la Chiesa di San Vincenzo Martire di cui conserva ancora le strutture architettoniche come si vede in foto
(foto di Antonio Figari)




64. Santo Spirito (in Via San Vincenzo) 

Stucchi sono ancora presenti in quella che fu la Chiesa di Santo Spirito
(foto di Antonio Figari)
 

65. Nostra Signora del Rifugio o delle Brignoline

Il complesso monastico di Nostra Signora del Rifugio sorgeva nei pressi dell'attuale Stazione Brignole, che da questo monastero prende il suo nome, e proprio a causa della costruzione di quest'ultima fu abbattuto nel 1868. 

Il complesso monastico fu  costruito nel 1650 grazie alla benevolenza di Emanuele Brignole, grande benefattore genovese, noto ai più per esser stato il fondatore dell'Albergo dei Poveri, che con la sua generosità volle dare una sede definitiva all'istituto fondato da Virginia Centurione Bracelli che già nel 1631 aveva in zona un piccolo immobile in affitto.
I lavori della Metropolitana hanno ridato alla luce parte delle fondamenta di questo antico Monastero che sono ora visibili alla fermata delle Metro di Brignole.
Oggi la sede delle Brignoline è in Viale Virginia Centurione Bracelli nel quartiere di Marassi.



66. Nostra Signora della Misericordia

Questo convento delle Suore Brigidine, ricordato ancora nella toponomastica cittadina, Salita della Misericordia è infatti la strada che collega Via Carcassi a Via San Vincenzo, sorgeva dove oggi ha sede l'Istituto Nazionale Sordomuti in Via Santi Giacomo e Filippo. Di esso rimane ancora integra la Chiesa e parte dell'antico complesso che un giorno Vi porterò a visitare.


Il monastero di N.S. della Misericordia, oggi Istituto Nazionale Sordomuti
(foto di Antonio Figari)


L'interno della Chiesa di N.S. della Misericordia
(foto di Antonio Figari)



67. Santi Giacomo e Filippo

a. La Chiesa
La Chiesa di Santi Giacomo e Filippo dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale

b. Il chiostro

Questo chiostro, come la chiesa adiacente al lato sud dello stesso, risale al XIII secolo. Fu Giovanni da Promontorio, nel 1224, a decidere di edificare in questo luogo alle pendici del colle di Multedo una piccola chiesetta dedicata a San Pellegrino. Successivamente le monache dell'Ordine di San Domenico, dopo aver richiesto all'Arcivescovo di Genova Gualtiero il permesso di fondare qui un monastero, iniziarono l'edificazione del complesso nel quale sorge il chiostro di cui Vi sto parlando.  

Il chiostro durante i lavori di restauro 
(foto di Antonio Figari)

Altra immagine delle colonne del chiostro durante i lavori di restauro 
(foto di Antonio Figari)

Se lo guardate bene noterete molte similitudini con il chiostro triangolare di Sant'Agostino, poco sopra descritto.
I due chiostri sono infatti coevi e speculari nei materiali e nelle forme: colonne a fasce bianco nere sovrastate da capitelli a forma cubica.
Il chiostro, in stato di abbandono dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, è stato oggi inglobato in un nuovo complesso abitativo.
Di particolare pregio la Sala Capitolare e il Refettorio con affreschi attribuiti a Paolo Gerolamo Piola eseguiti nei primi anni del XVIII secolo: essi sono facilmente visitabili poichè lì vi sono le sale clienti della sede di Genova del Gruppo Iren.


Il refettorio (foto di Antonio Figari)




68. Santissima Annunziata di Portoria (più conosciuta come "Santa Caterina di Portoria")

Sita nell'antico sestiere di Portoria, e collegata un tempo all'Ospedale di Pammatone, oggi sede del Tribunale, motivo del quale la Chiesa ed il convento hanno sede proprio in questo punto della città, il complesso fu edificato a partire dal 1488 per opera dei Minori Francescani ai quali subentrarono nel 1538 i Cappuccini che ancora oggi sono qui presenti.
L’ingresso della Chiesa e del vicino convento insistono su una piazzetta laterale rispetto a Via Bartolomeo Bosco, una delle poche antiche tracce superstiti dell’antico quartiere distrutto dalle bombe della guerra e dalla cementificazione del dopoguerra.
La vita del complesso conventuale è strettamente legata e va di pari passo con la vita del vicino ospedale al quale si accedeva tramite un passaggio interno oggi murato (lo si può vedere a metà dello scalone che conduce alla Cappella Superiore).
A questo luogo è legata la vita di Santa Caterina Fieschi Adorno che ai malati dell’Ospedale dedicò gran parte della sua vita divenendo anche Rettore dello stesso: il suo corpo incorrotto è conservato in Chiesa dal 1737: questo è anche il motivo per cui la chiesa, ufficialmente intitolata alla Santissima Annunziata (detta “di Portoria” per distinguerla da quella “del Vastato”) è comunemente detta “di Santa Caterina”.
Dalla piccola piazza dietro al tribunale si può accedere alla Chiesa, al convento e con un altro ingresso ai piani superiori del convento a alla cappella superiore dove era conservata l’urna della santa prima di essere traslata in Chiesa.
La parte inferiore del Portale di accesso alla Chiesa, risalente al XVI Secolo e decorata con capitelli con lesene con testine di frati e capitelli con foglie d’acanto, è opera di Pier Antonio Piuma. Il tutto sormontato da decori barocchi, opera di Andrea Casaregis e da un tondo in stucco opera settecentesca di Franscesco Maria Schiaffino raffigurante l’Annunciazione. L’interno conserva opera di Ottavio Semino, Luca Cambiaso, Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco (a lui si deve lo spendida volta dell’abside con Cristo Giudice e i quattro evangelisti). Al 1738 risale il complesso marmoreo di Francesco Maria Schiaffino, composto da un altare e quattro figure (l’Amor Divino, la Fortezza, la Penitenza e l’Obbedienza) che sorregge l’urna di bronzo e cristallo entro la quale è conservato il corpo incorrotto della Santa. A poco distanza è stata seppellita la Venerabile Battistina Vernazza, figlia di Ettore Vernazza (quest’ultimo grande seguace di Caterina), e anch’essa protagonista nel XVI Secolo nelle opere di carità e assistenza verso i poveri della città.
Il vicino convento, il cui ingresso è a fianco della Chiesa, conserva sopra il portale una lunetta in pietra nera con San Francesco che riceve le stimmate: reca la data di fondazione del complesso 8 giugno 1488 e sullo sfondo si può vedere la chiesa nella sua prima edificazione. All’interno conserva affreschi cinquecenteschi con scene bibliche e conventuali.
Il Portale accanto a quello del convento conduce ai piani superiori del Convento dove oggi è allestito il Museo del Tesoro dei Cappuccini e alla Cappella Superiore, affrescata da Santo Tagliafichi, dove era conservato il corpo di Santa Caterina prima di essere traslato in Chiesa.
 

L'altare con l'urna con le spoglie di Santa Caterina Fieschi Adorno
(foto di Antonio Figari)


Dietro l'altar maggiore, uno stretto corridoio e una porticina immettono nella cripta della Chiesa, spazialmente collocata esattamente sotto l’altar maggiore.

La cripta fu voluta dalla famiglia Grimaldi. 

Interamente affrescata nel XVI Secolo, è un luogo che merita di esser visitato.

Qui, durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, fu portato il corpo di Santa Caterina per preservarlo dalle bombe che non risparmiarono la Chiesa ed il quartiere di Portoria (emblematiche le foto, che tutti conosciamo e che potete trovare al paragrafo 3 della pagina de gli EDIFICI pubblici,  della distruzione dell'adiacente Ospedale di Pammatone).

  


 

 
 
69. Santa Croce e San Camillo

La facciata, la cupola ed il campanile della Chiesa di San Camillo
(foto di Antonio Figari)

La Chiesa, una volta detta "Santa Croce in Portoria" dal nome dell'antico quartiere dove sorgeva, fu edificata dai Padri Camilliani, che ancora oggi officiano la Chiesa, i quali la vollero dedicare alla Santa Croce ed al fondatore del loro ordine, San Camillo de Lellis. La Chiesa ed il vicino convento furono qui edificati perchè attigui all'ospedale di Pammatone dove i Camilliani prestavano la loro pia opera a favore degli ammalati dell'ospedale.
Oggi essa rappresenta una delle poche opere sopravvissute dell'antico quartiere di Portoria mutilato prima dalla Seconda Guerra Mondiale, e poi dalle ruspe e dalla scelleratezza umana degli amministratori della Superba che vollero qui il nuovo e senz'anima quartiere di Piccapietra. Per fortuna sia la guerra, sia le successive trasformazioni urbanistiche, non hanno intaccato la Chiesa anche se oggi non è più presente il vicino convento dei Camilliani.
Il progetto dell'edificio, a croce greca, è di Carlo Muttone: esso venne inaugurato nel 1671 anche se la facciata fu stata completata solo undici anni dopo.
Entrando Vi ritroverete dinnanzi ai meravigliosi affreschi di epoca barocca di Gregorio De Ferrari raffiguranti "il trionfo della Croce". Il De Ferrari lavorò a questo splendido ciclo pittorico fino alla morte, passando poi la mano al figlio Lorenzo ed a Francesco Maria Costa.
Gregorio De Ferrari e un altro grande pittore genovese, Agostino Ratti, sono sepolti in questa Chiesa.

La cupola della Chiesa di Santa Croce e San Camillo
(foto di Antonio Figari)




 70. Santa Marta

Il campanile della Chiesa di Santa Marta
(foto di Antonio Figari)

a. La Chiesa

Il primo nucleo della Chiesa di Santa Marta e del contiguo convento risalgono al XVI Secolo: di questo periodo rimangono la Sala Capitolare attigua alla Chiesa e il Refettorio.
La Chiesa, nelle forme tipiche degli edifici religiosi all'interno dei monasteri femminili, a tre navate e con un grande coro sovrastante dove le religiose assistevano alla Messa, assume le forme attuali dal 1535.
Sarà poi nel secolo successivo che questa Chiesa vedrà l'incontro e il lavoro dei migliori fescanti del barocco genovese: troviamo infatti qui opere di Giovanni Battista Carlone, Valerio Castello, Domenico Piola, Lorenzo de Ferrari, Paolo Gerolamo Piola e Domenico Parodi.
Le tele degli altari sono altrettanto degne di nota, opera di artisti quali Domenico Fiasella e Carlo Giupeppe Ratti.
Opera di Filippo Parodi è la splendida statua marmorea di Santa Marta sull'altare maggiore.
Degno di nota, infine, il bel Crocifisso di Giovanni Battista Gaggini da Bissone, un tempo sull'altare e oggi posizionato in controfacciata.


b. La Sala Capitolare

Superando la sagrestia e una stanza con antiche colonne, si giunge nella Sala Capitolare, già aula di lettura della Biblioteca Franzoniana: interamente affrescata, si segnala in particolare il soffitto opera da Giacomo Boni con la “Ascensione di Cristo”. 
Lungo le pareti vi sono ancora le antiche sedute in legno.



 
c. Il Refettorio delle monache

A poca distanza dalla Sala Capitolare, nascosto e inglobato nei sotterranei di un negozio in un palazzo degli anni 60 del ‘900 progettato da Robaldo Morozzo della Rocca, “sopravvive”, è proprio il caso di dirlo, la sala del Refettorio delle monache: qui si può ammirare un ciclo pittorico degli inizi del XVI Secolo, opera di un pittore lombardo che si trasferì a Genova intorno al 1515 (tradizione vuole che il pittore potesse lavorare solo negli orari lontani dai pasti ossia solo quando il refettorio non era occupato dalle monache).

Su due pareti del salone, in undici lunette sono narrate storie dei vangeli, anche di quelli apocrifi. Le scene sottostanti hanno per protagonisti, in una sorta di “ultima cena al femminile” Gesù e tre donne: Maria, Maddalena e Santa Marta. La Vergine è rappresentata con un velo blu, al suo fianco con una cuffietta bianca in testa troviamo Santa Marta (la Santa a cui il Convento è dedicato) e davanti a loro in ginocchio la peccatrice Maddalena con i lunghi capelli biondi sciolti (quest’ultima in particolare, donna di mondo che si converte e si inginocchia davanti alla Madonna e a Santa Marta, doveva probabilmente essere vista come esempio da seguire per le novizie del Convento).

Al centro del soffitto, come potete notare nella seconda immagine, c’è il trigramma di San Bernardino da Siena con le tre lettere IHS (le prime tre lettere del nome di Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma anche l’abbreviazione di “Iesus Hominum Salvator” ossia Gesù Salvatore degli uomini). Intorno al trigramma i dodici raggi che irradiano la luce divina rappresentano i dodici apostoli che con la loro opera diffondono la Parola di Cristo.

Questo meraviglioso ciclo pittorico è stato riscoperto da tre architette genovesi (mi piacer ricordare il loro nomi ossia Laura Grillo, Stefian Toro e Maria Cristina Turco dello studio “San Lorenzo 21”) nel 2013 ed stato aperto la pubblico nel 2014 in occasione di una esposizione temporanea durante la manifestazione “GenovaInBlu”. Come vi dicevo, per entrare in questo luogo non si passa dal Convento ma soltanto da un negozio commerciale della Galleria Enrico Martino in cui questa sala si colloca al piano inferiore raggiungibile con una scaletta (è incredibile pensare che sia stato costruito sopra questa sala un palazzo negli anni ’60 del XX Secolo e che si sia scelto di salvare questo luogo e non di distruggerlo, scelta tutt’altro che scontata a quell’epoca). Purtroppo, dopo quella apertura straordinaria al pubblico, questo spazio è tornato ad essere inaccessibile. 





 

71. San Sebastiano

Nello spazio oggi occupato dai civici 5 e 6 di Via Roma sorgeva un tempo la chiesa di San Sebastiano.
Ecco come l'Anonimo del 1818 la descriveva: "Su di un poggio a cui ascendesi per due scale laterali è l'ingresso principale alla chiesa di S. Sebastiano, piuttosto piccola. Otto piloni dividono la navata di mezzo dalle altre due inferiori; sono essi stuccati in bianco con scannellature e capitelli indorati e posano su piedistalli di marmo. Otto contropilastri nelle pareti hanno lo stesso ornamento.
Vi sono sei altari e più il maggiore. I due primi hanno colonne ciascuno di stucco scannellate ed indorate: quello a destra, che conserva l'indoratura in tutta la sua vivezza, ha un quadro coi SS. Clemente e Agatagnolo martiri di Bernardo Castello. 
All'altare in faccia alla navata al vangelo ne è uno con S. Paolo l'eremita del Sarzana. I due altri seguenti in marmo decorati hanno: quello a destra di S. Chiara Falconieri due colonne di bel mischio giallo, l'altro in faccia al vangelo due pure, ma di marmo verde. E' quivi poi una bellissima tavola della B. Vergine in mezzo a S. Gioacchino e S. Anna, con in grembo un canestro di fiori che vengongli porti dagli angioli, opera del celebre Gio Battista Paggi e delle sue più belle e più graziose.
Finalmente i due ultimi verso il presbiterio hanno: quello a destra il SS. Crocefisso, scoltura in legno con un ovale della SS. Addolorata; all'altro in faccia è un quadro colla Nunziata del Sarzana: entrambi poi hanno le colonne di Serravezza per ornato.
L'altar maggiore è formato da quattro altissime colonne di mischio giallo, rigate per un terzo a rilievi e per due terzi in sù torte. Il quadro che vi è in mezzo rappresenta il Martirio del santo Titolare ed è del Castello bergamasco. Bella oltremodo è la figura del Santo al palo avvinto, al di sopra son pur bellissime quelle del Signore in mezzo alla B. Vergine e a S. Giovanni Battista.
La chiesa è poi tutta dipinta a fresco nelle volte e sulle pareti è riccamente indorata per tutto il cornicione, il coro delle monache e l'orchestra. Sotto il coro di esse entrandosi vedesi Mosè con gli Israeliti accampati che fa scaturir l'acqua dalla rupe. Nella navata al mezzo e sopra il coro è l'Andata di Cristo al Calvario incontrato dalla Veronica, gran medaglia bene istoriata con numerosissime figure di ottima invenzione, perfettissimo disegno e grazioso colorito. Nella tribuna sopra l'altar maggiore la SS. Trinità, S. Agostino coll'angioletto che cava la fossolina alla ripa del mare per distorre il santo Dottore dalla contemplazione del Mistero. Questi tre bellissimi quadri son le ultime pitture fate in Genova da Gio Battista Carlone.
Le navi laterali son pinte da Domenico Piola con isquisiti putti nelle volte delle cappelle e con le Storie di S. Sebastiano nelle pareti in testa, cioè quando vien flagellato ed allorché gli vengon tolti i dardi dalle ferite. Sopra la porta nella navata laterale al vangelo è in mezza figura la B. Vergine col Bambino.
L'abate Ferrari poi colorì nella volta principale della chiesa la Assunzione della Vergine al cielo con angeli. Finalmente un gran pavimento a grandi compartimenti  in marmi bianco e celeste e altro contribuisce a vie' maggiormente decorare questa bella chiesa." 
La chiesa fu demolita nel 1872 per il tracciamento rettilineo di Via roma nonostante l'opposizione di molti, tra i quali Maurizio Dufuor che suggeriva un andamento curvilineo della nupva strda da costruire. Questo triste scelta porterà Alizeri nel 1873 a leggere agli amici la "necrologia" della chiesa.
Le monache agostiniane, che qui dimoravano, sono presenti a Genova dal XIII secolo. Grande impulso a quest'ordine, che si occupava di dare accoglienza alle ragazze in difficoltà, fu dato da Ettore Vernazza.
Questo complesso fu fondato nel 1463 da monache agostiniane pavesi: la costruzione giunse a compimento fra il 1504 ed il 1513, quando la chiesa fu eretta a spese dello Stato per un voto emesso in occasione della peste del 1430, come ci racconta l'Alizeri. In età barocca, così come molte altre chiese genovesi, anche San Sebastiano viene ristrutturata secondo i canoni stilistici dell'epoca.
Dopo la sua demolizione, le agostiniane si trasferirono in Salita San Gerolamo, in una villa nei pressi della chiesa che alla via dava il nome. Dal 1930 esse dimorano nel Monastero delle Agostiniane a Capo di Santa Chiara (Monastero Agostiniane S. Chiara e S. Sebastiano, Via al Capo di Santa Chiara n. 16), monastero quest'ultimo fondato nel 1900. Qui sono oggi conservate molte opere amovibili che le monache portarono via dalla chiesa di San Sebastiano, tra le quali quadri e parti degli altari della chiesa. Fu invece venduto dalle monache al Convento dei Frati Minori Cappuccini di Sant'Antonio di Montevideo (Uruguay) l'altar maggiore che oggi adorna la chiesa di Sant'Antonio. Le carte d'archivio riferiscono che l'altare risaliva al 1565 ed era costruito con marmi pregiati: le quatto grandi colonne sono del raro alabastro di Sestri, gli intarsi di marmo Brocatello di Spagna, Saravezza nero, Rosso di Francia e alabastro. Fu acquistato nel 1879 per il prezzo di 1600 pesos che, sommato alle spese di trasporto (in tutto furono utilizzate 93 casse) e la ricollocazione, portano ad una spesa complessiva di 2545 pesos.
Furono invece lasciati alla mercè della demolizione i bellissimi affreschi che l'Anonimo ci descrive. Fortunatamente alcuni di essi furono staccati e riportati su tela: si tratta di due affreschi di Domenico Piola raffiguranti la "Flagellazione di San Sebastiano" e "San Sebastiano curato dalle pie donne", ed uno di Giovanni Battista Carlone  dal titolo "Mosè e la caduta della manna". Tutti e tre furono dapprima sistemati sullo scalone di Palazzo Tursi, nel 1876 furono portati a Palazzo Bianco, nel 1903, o poco prima, furono trasferiti nel palazzo dell'ex Municipio di San Fruttuoso dove rimaesro fino al 1963. Oggi sono conservati nel Museo di Sant'Agostino. Sempre qui troviamo anche un olio su tavola proveniente da questa chiesa raffigurante "I santi Antonio Abate, Paolo e Ilarione eremiti", opera di Pietro Francesco Sacchi.


72. Santa Caterina a Luccoli



Salita Santa Caterina, la strada che collega Piazza Fontane Marose a Via Roma, deriva il suo nome dal Convento dedicato alla Santa che sorgeva lungo questa via.
La Caterina a cui il complesso era dedicato era Santa Caterina di Alessandria, la cui statua sovrastava la vicina porta cittadina che da lei prendeva il nome (oggi è conservata in una nicchia dello scalone dell'Accademia Linguistica delle Belle Arti).
Il Monastero fu fondato dalle Monache Clarisse nel 1228 e passo in seguito ai Benedettini.
Il complesso fu eretto anche grazie al contributo della famiglia Spinola, ramo di Luccoli, che in questa zona aveva i suoi palazzi. Lo stretto legame già si notava in facciata dove era dipinto lo stemma della famiglia e un'epigrafe commemorativa sul portale riportava alcuni nomi dei membri del casato.
All'interno della Chiesa cinque erano le cappelle sotto il patronato degli Spinola. Tra i membri d questa famiglia legati a questa chiesa ricordiamo Corrado (la cui statua troneggia ancora oggi in facciata di Palazzo Spinola dei Marmi), e Luca Spinola, doge dal 1551 al 1553, qui sepolto nella cappella dedicata a San Benedetto. E' Luca Spinola a commissionare a Luca Cambiaso la pala d'altare (un tempo nella cappella di San Benedetto ed oggi nel Battistero del Duomo di San Lorenzo) con i Santi Benedetto (fondatore dell'Ordine titolare del Monastero), San Giovanni Battista (patrono di Genova) e San Luca (l'omonimo Santo del committente).
Il complesso monastico fu dapprima chiuso nel 1799 e poi definitivamente demolito nel 1830. Per farvi un'idea, esso sorgeva all'altezza degli odierni civici 6,8 e 10 di  Salita Santa Caterina.
Della Chiesa, come vi dicevo, non rimane più nulla, il chiostro invece, inglobato negli edifici tra Salita Santa Caterina e Salita Di Negro, ha resistito ai secoli. 
Resti dell'antico convento sono poi ancora leggibili nelle strutture degli edifici che su di esso sono stati edificati.





 
73. Romite di San Giovanni Battista (o "Battistine")
 
Le Romite di San Giovanni Battista o Monache Battistine avevano il loro convento sulla salita che nacora oggi porta il loro nome. 

(...continua) 
 
 
74. Santissima Concezione - Padre Santo

a. La Chiesa







b. La cripta

Una  porticina dietro il coro e una ripida scala di mattoni conducono alla cripta della Chiesa. 
Essa rimane esattamente sotto il coro e ha dunque le sue stesse dimensioni.
Arrivati in fondo agli scalini si giunge in un corridoio che delimita la cripta sui quattro lati: qui si trovano le tombe di molti frati cappuccini e di coloro che chiedevano di essere seppelliti qui.
Recentemente anche le clarisse del Convento del Righi trovano qui sepoltura.
Tra le tante tombe lungo i muri del corridoio, alcune sono protette da grate: ciò è dovuto al fatto che è in atto un processo di beatificazione che ha per soggetto il frate lì sepolto.
Lungo il corridoio troviamo anche la tomba di Martin Piaggio, celebre poeta genovese.
Entrati nella cripta vera e propria lo sguardo spazia tra le tantissime lapidi per terra e sulle pareti, alcune delle quali qui traslate dall'oratorio della Chiesa.
Poco prima di giungere all'altare, per terra, vi è una lapide senza nomi con due anelli di ferro: lì sotto, in una stanza di qualche metro quadrato, sono sepolti molti genovesi che persero la vita nell'aprile del 1849 durante il cosiddetto "Sacco di Genova", compiuto ad opera del Generale La Marmora e dei suoi bersaglieri su ordine del re sabaudo Vittorio Emanuele II (la cui statua troneggia al centro di Piazza Corvetto).
Una curiosità: per scendere nella cripta c'è anche un'altra scala che scende direttamente dalla Chiesa. Essa è celata da un confessionale che in realtà confessionale non è ma una porta e una botola, diciamo così, camuffati da esso. 

Le scale che conducono alla cripta
(foto di Antonio Figari)


Il corridoio intorno alla cripta
(foto di Antonio Figari)



Una tomba con una grata a protezione
(foto di Antonio Figari)



La cripta
(foto di Antonio Figari)



La lapide, senza scruitte, sotto la quale sono seppellite le vittime del Sacco di Genova
(foto di Antonio Figari)



La tomba di Martin Piaggio
(foto di Antonio Figari)



La cripta della Chiesa della Santissima Concezione non è una semplice fila di lapidi, ma un mondo fatto di persone e di storie, un mondo scomparso che ci parla: ogni lapide ha qualcosa da raccontare e rimanda alla storia di una persona.
Tra le tante che ho visto, questa mi ha colpito particolarmente: un bimbo mancato piccolino e i suoi genitori che gli dedicano dolci parole.



La tomba del piccolo Checchino
(foto di Antonio Figari)



75San Bartolomeo degli Armeni  

Questa Chiesa fu fondata nel 1308 da due monaci basilianiMartino di Segarizi e Guglielmo, provenienti dalla Montagna Nera (regione dell'Armeniche era stata invasa dai Turchi) e scampati alla distruzione del loro monastero, su un terreno a loro donato da Oberto Purpurerio, un commerciante che in questa zona suburbana possedeva dei terreni. Quest'utimo chiese in cambio che venisse celebrata in perpetuo una Messa in suffragio della sua anima (come ancora oggi ricorda una targa marmorea posta all'interno della Chiesa).
L'edificio, oggi inglobato in un palazzooriginariamente si presentava con una forma a pianta quadrata., 
Nella Chiesa è conservato il "Mandylion"...