poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI

I vicoli "videro" nei secoli molti personaggi passati poi alla storia, genovesi di nascita o provenienti da ogni parte del mondo: alcuni sono conosciuti ai più, altri un po' meno, quasi tutti ricordati nei libri o da targhe o lapidi in marmo (basta sapere dove trovarle!), altri invece, spesso proprio i genovesi di nascita,  dimenticati dalla loro città  più matrigna che madre.
In questa pagina raccoglierò le storie di tutti coloro che lasciarono in qualche modo un segno a Genova. 

INDICE

1. Antonio Malfante 
2. Giulio Cesare Drago 
3. Daniel O' Connell 
4. Carlo Malinverni 
5. Giovanni Caboto 
6. Ciro Cirri 
7. Santi
7.1 San Siro
7.2 Sant'Ugo Canefri da Genova 
7.3 Santa Limbania
7.4 Santa Brigida
7.5 Santa Caterina da Siema
7.6 Santa Caterina Fieschi Adorno 
7.7. Santa Caterina d'Alessandria
7.8 Battistina Vernazza
8. Papi
8.1 Papi genovesi
8.1.1 Innocenzo IV
8.1.2 Adriano V
8.1.3 Innocenzo VIII
8.1.4 Benedetto XV
8.2 Papi di passaggio a Genova
9. Pietro Boetto 
10. Balilla 
11. Giovanni Battista Ottone 
12. Giovanni Carbone 
13. Pittamuli 
14. Pier Maria Canevari 
15. Andrea D'Uberdò 
16. Alessandro De Stefanis 
17. Gilberto Govi 
18. Carlo Goldoni 
19. Niccolò Paganini
20. Il benefattore di Vico della Casana 
21. Andalò di Negro 
22. Cattaneo Pinelli
23. Alessandro Manzoni 
24. Gio Battista Baliano
25. Francesco Petrarca 
26. I Beatles 
27. I Rolling Stones 
28. David Bowie 
29. Elton John
30. James Brown
31. Ugo Foscolo
32. Luigia Pallavicini 
33. Paolo Villaggio 
34. Lorenzo Garaventa 
35. Nicolò Garaventa 
36. Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu
37. Jean-Jacques Rousseau
38. Stendhal
39. Mary Shelley
40. Lord Byron
41. James Fenimore Cooper
42. Charles Dickens 
43. Gustave Flaubert
44. Alexandre Dumas padre 
45. Marguerite Josephine Ferrand (in arte Ida Ferrier) 
46. Richard Wagner
47. Herman Melville
48. Mark Twain
49. Friedrich Nietzsche
50.  Oscar Wilde
51. Constance Mary Lloyd
52. Guy de Maupassant
53. Anton Pavlovich Cechov
54. Paul Klee 
55. Albert Einstein 
56. Buffalo Bill
57. Nicola I di Russia
58. Napoleone III di Francia
59. Elisabetta di Baviera "Sissi"
60. Elisabetta II d'Inghilterra 
61. Guglielmo Marconi 
62. Bartolomeo Pagano 
63. Gli eroi della London Valour


1. Antonio Malfante 

(1409 - 1450)

La lapide in ricordo di Antonio Malfante in Piazza Cattaneo
(foto di Antonio Figari)


In piazza Cattaneo,  poco distante da piazza San Giorgio, se alzate lo sguardo potrete notare una lapide in ricordo di Antonio Malfante.
Nato nel 1409, egli fu il primo commerciante genovese ed europeo ad attraversare il Sahara spingendosi fino al fiume Niger. Intrapreso il viaggio nel 1447 per conto della Banca Centurione, egli si spinse fino all'oasi sahariana di Tuwat. Da quel luogo scrisse una lettera in latino a Jane Marihoni, figlio di Quilico il quale era un commerciante genovese che commerciava nelle terre del re d'Aragona e aveva la propria sede commerciale a Maiorca, luogo dove il Malfante anni dopo concluse la propria vita. Malfante e Marihoni volevano aprire una nuova via commerciale che potesse far loro evitar di passare nelle zone berbere, dove bisognava pagare dazio agli abitanti del luogo: i commerci che volevano intraprendere riguardavano l'oro, l'avorio e, secondo alcune fonti, anche gli schiavi.
Ecco come Malfante ci racconta il fiume Niger: " (…) attraverso queste terre scorre un fiume molto grande, che in determinati periodi dell'anno inonda tutte queste terre. Questo fiume passa vicino alle porte di Thambet ( Timbuktu n.d.r.) (…)Ci sono molte barche su di esso, con le quali si portano sul commercio (…)". Se qualcuno di Voi fosse interessato è acquistabile anche on line in italiano il libro di Malfante che racconta la sua avventura africana: "Lettera di un mercante genovese" di Antonio Malfante.
Di ritorno dal proprio viaggio, come prima anticipavo, Antonio Malfante non si diresse a Genova ma a Maiorca, dove nel 1450 morì.


2. Giulio Cesare Drago 
(Genova, 1804 - Firenze, 9 agosto 1880)

Il ponte di Carignano
(foto di Antonio Figari)


Il ponte di Carignano, costruito dalla nobile famiglia dei Sauli, che collega il colle di Carignano a Sarzano, scavalcando la valle del Rivotorbido, dove fino agli anni 60 del novecento vi era la zona di Borgo Lanaioli, era purtroppo diventato famoso poiché molti aspiranti suicidi salivano sul basso parapetto e si lanciavano nel vuoto. Era divenuto un modo di dire a Genova "piggiâ o ponte de Caignan pe-o schaen da porta" (pigliare il ponte di Carignano per lo scalino della porta di casa).
Giulio Cesare Drago fece un lascito al Comune di Genova perché venissero innalzate inferriate al fine di far cessare questa triste consuetudine.


Le alte inferriate del Ponte di Carignano 
(foto di Antonio Figari)


Una lapide marmorea sul palazzo in Via Ravasco n. 13, appena superato il ponte prima di giungere a Sarzano, ricorda il dono ed il benefattore: “Perché non passi in consuetudine l’esempio antico e recente di gittare disperatamente la vita dai ponti di Carignano e dell’Arco Giulio Cesare Drago ragguardevole mercante genovese negli anni 1877-1879 con largo dispendio provvide che di ferrea cancellata ne fossero barrate le sponde volle rimanere finchè visse benefattore ignorato. Morto in Firenze il 9 agosto 1880 il suo testamento lo fe’ manifesto. Il municipio di Genova per la meritata e ricusata onoranza gli decretò questa lapida il 10 agosto 1880”.
Drago volle rimanere benefattore anonimo e solo dopo la sua morte il suo testamento fece conoscere il suo generoso gesto.


La lapide in ricordo del gesto di Giulio Cesare Drago
(foto di Antonio Figari)
Il Ponte di Carignano prima che venisse posizionata la ferrea cancellata


Giulio Cesare Drago è ricordato anche in un altra lapide marmorea, posta in questo caso sul Ponte Monumentale: anche qui si parla di una donazione affinché qui fossero erette delle inferriate di ferro per impedire che "si antivenisse a morti volontarie o fortuite" come ci racconta detta lapide.

Leggendo attentamente le parole incise “Giulio Cesare Drago (…) con proprio denaro curava nel 1879 che rotta la bastita di Ponte dell’Arco (…)” notiamo tuttavia due particolari che ci devono far riflettere: la data “1879” e il ponte che viene chiamato ancora “dell’Arco” (anche nella lapide a Carignano si parla di “Ponti di Carignano e dell’Arco”). Visto che il progetto del Ponte Monumentale fu presentato dall’ingegnere Cesare Gamba e dagli architetti Ronco e Haupt solo nel 1890 e l’inizio dei lavori per la sua edificazione risalgono al 1895, possiamo dedurre che Drago, morto nel 1880, quando fece testamento lasciando una cospicua somma per le inferriate del Ponte di Carignano e del Ponte “dell’Arco” (definizione, come vi dicevo, che troviamo in entrambe le lapidi), intendesse nel secondo caso dotare di “barre di ferro” la strada che correva sopra la Porta dell’Arco ancora in piedi quando lo stesso venne a mancare (9 agosto 1880). Guardando le immagini di Corso Andrea Podestà, nel tratto che corre sopra il Ponte Monumentale notiamo che ancora nei primi anni del XX Secolo quest’ultimo era sprovvisto di inferriate. Possiamo quindi dedurre che la lapide, che oggi vediamo affissa sul Ponte Monumentale, sia stata posta in principio dal Comune nel 1880 (anno che leggiamo sulla lapide stessa) lungo la strada sopra Porta dell’Arco e che quindi con la somma donata dal Drago siano state poste le inferriate sopra porta dell'Arco.

Il ponte sopra detta porta era effettivamente sprovvisto di inferriate che vennero installate non molti anni prima che la porta venisse abbattuta, come testimoniano disegni ed immagini della porta dell'arco.

Questo è un altro elemento che ci fa pensare che la lapide fosse posta in principio sul ponte che scavalcava la porta dell'Arco e solo successivamente venne recuperata, per così dire, e affissa sul nuovo ponte monumentale. Chissà se le inferriate sopra la porta dell'arco sono le stesse che verranno installate sul Ponte Monumentale.

Questa è solo una mia supposizione ma vi sono molti elementi che mi persuadono a pensare che sia andata proprio così.



La lapide sul Ponte Monumentale
(foto di Antonio Figari)

La lapide  e le inferriate sul Ponte Monumentale
(foto di Antonio Figari)

Un'immagine di Corso Andrea Podestà prima che sul Ponte Monumentale fossero posizionate le inferriate



3. Daniel O'Connell 

(1775 - 1847)

In Via al Ponte Reale, la strada che collega Piazza Banchi a Caricamento, se alzate lo sguardo sulla destra vedrete sulla facciata di un palazzo una lapide in marmo in ricordo di Daniel O' Connell che, di passaggio a Genova nel suo viaggio verso Roma, qui morì.


Quasi sconosciuto in Italia, nella sua Irlanda O' Connell è un eroe nazionale ricordato anche da un monumento e  da una via nel centro di Dublino. Conosciuto anche come The Liberator o The Emancipator dedicò la sua vita all'emancipazione dei cattolici irlandesi allo scopo di far partecipare questi alla vita politica della sua nazione. Fautore della protesta non violenta la sua carriera politica lo portò a divenire primo sindaco cattolico di Dublino. Fu promotore della protesta contro l'Act of Union che sanciva l'unione del Regno della Gran Bretagna con il Regno dell'Irlanda al fine di costituire il Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda. Il suo rifiuto della violenza gli fece perdere molto del suo seguito popolare che invece era sempre più affascinato dal nuovo movimento della Giovane Irlanda, più propenso all'uso della forza per giungere all'indipendenza della nazione.
Partito dalla sua terra natia per giungere a Roma concluse la sua vita nel centro storico della Superba.
Dando compimento alle sue ultime volontà, il corpo di O' Connell tornò in Irlanda per esser seppellito nel cimitero di Glasnevin a Dublino mentre il suo cuore fu portato a Roma e sepolto nella Chiesa di Sant'Agata dei Goti dove è tuttora conservato.
Si narra che il suo spirito vaghi ancora nei vicoli (di questo vi parlo nella pagina dedicata a i FANTASMI di GENOVA).




4. Carlo Malinverni 

(1855 - 1922)



Unna gëxa, un convento, un gran ciassâ,
con quattro ærboëti che no peuan scricchî,
e unna paxe da fratti; - o pòrto, o mâ

(pöso de Zena) lì sotta e depoì.
Mi ghe vegno ògni tanto pe passâ
a gnàgnoa, pe no vedde e no sentî,
ëse solo, rescioâme, e in sciô mæ teâ

tesce o mæ verso co-o mæ pöco fî. (...)



Questi versi sono parte di una poesia del Malinverni: se leggete tra le righe troverete la parola gnàgnoa, la noia, l'angoscia esistenziale che il poeta riesce a lenire solo con l'arte e il trascorrere il suo tempo in luoghi a lui cari. In questa poesia questo luogo dove cercare la pace dell'anima è il Convento di San Francesco da Paola sulle alture di Genova. 
Carlo Malinverni nasce a Genova nel 1855 in una famiglia borghese. Vicino al movimento repubblicano divide la sua vita tra il suo lavoro in banca alla Cassa di Risparmio di Genova e lo scrivere sui giornali dell'epoca come "il Caffaro" e "La Liguria illustrata" e sulla rivista scapigliata  "Rivista Azzurra".
Nelle sue poesie in dialetto genovese, raccolte in due volumi, troviamo la sua angoscia di vivere e la sua continua ricerca di quella pace interiore impossibile da raggiungere.
In Via Martin Piaggio è collocato un busto in suo ricordo.



5. Giovanni Caboto 

(1450 circa - 1498 circa)

Avete mai sentito parlare di Giovanni Caboto? Questo personaggio, poco conosciuto e i cui natali sono contesi tra Genova e Gaeta (anche se gli studi più accurati lo legano alla terra ligure) è il secondo genovese ad arrivare in America.
Un giorno Vi racconterò la sua storia.


Capo Bonavista, Nuova Scozia monumento in ricordo di Giovanni Caboto
(foto da Wikipedia)


6. Ciro Cirri 

(1878 - 1911)

Alzi la mano chi conosce la storia di quest'uomo. Genovese di origini romane ebbe una breve vita segnata  dall'audacia e purtroppo anche dalla sfortuna.
Meccanico navale, poi autista del primo taxi della Lanterna, si innamorò del volo e diventò uno dei primi pioneri dell'aria in Italia nonchè primo aviatore genovese.
Un "Bleriot" del tutto simile a quello di Ciro Cirri
Iniziò a volare con un velivolo da lui costruito.
In seguito, con un "Bleriot", regalatogli dalla compagnia di navigazione genovese "La Veloce", dopo aver preso il brevetto di volo all'aeroporto di Cameri, compì arditi voli su Novara nel 1910 e sulla sua Genova nel 1911.

Il "Bleriot" di Cirri sopra la cupola antonelliana della  Basilica di San Gaudenzio di Novara

All'epoca nella Superba vi era un campo d'aviazione ad Albaro nei pressi dell'attuale Via Pisa: Cirri, decollato in mezzo alla folla strabiliata da questo "uccello meccanico", si alzò fino a 300 metri sorvolando le colline di Albaro prima ed il mare dopo. Il suo atterraggio in mezzo alla gente festante fu difficile a causa della calca ma per fortuna senza incidenti.

Cartolina raffigurante il "Bleriot" in volo sul Lido di Albaro in ricordo di Ciro Cirri, raffigurato nel tondo

Non fu però il primo volo di un aereo su Genova: fu infatti il belga Giovanni Olieslager, un anno prima, il 15 maggio 1910 a compiere, con il suo "Bleriot", davanti ad una folla di trentamila persone in estasi, un volo di sette minuti davanti al lido d'Albaro.
La vita di Cirri purtropppo si spezzò a Voghera l'anno seguente: era il 28 maggio 1911 e Cirri era stato chiamato per far un volo dimostrativo sulla cittadina lombarda.
Il suo "Bleriot" precipitò e il giovane pilota genovese di appena 33 anni morì lasciando una moglie e quattro piccoli bimbi. 842 lire vennero raccolte in poco tempo in una pubblica sottoscrizione che fu aperta per il sostentamento di quest'ultimi.
E i vicoli, mi direte Voi, cosa centrano in questa triste storia? Essi accolsero la vedova del povero Cirri  che tornò a Genova e si mise a vendere banane  e lumache in un banchetto all'aperto in Via Ravecca: era conosciuta in tutto il quartiere di Sarzano come "la  vedova del meccanico che volava".
Genova, spesso matrigna più che madre, sembra essersi dimenticata di Cirri e neanche una via è dedicata a questo giovane pioniere dell'aria nonché primo aviatore genovese.


7. Santi e beati

7.1 San Siro

(...continua)


7.2 Sant'Ugo Canefri da Genova

(Alessandria 1168 - Genova 1223)

(...continua)


7.3 Santa Limbania

(Cipro - Genova, XIII secolo)

Santa Limbania, protettrice dei viaggiatori, mulattieri e carrettieri, originaria di Cipro, fuggì dall'isola su una nave genovese dopo essere stata promessa in sposa, ancora poco più che bambina, ad un giovane del luogo.
La nave giunse a Genova e una forte corrente la spinse verso Capo Arena. Limbania chiese il nome del monastero che proprio lì sorgeva e decise  di passare in esso la propria vita in penitenza.
Si trattava del monastero delle Benedettine presso la Chiesa di San Tommaso situato proprio sul Capo Arena (trovate la loro storia alla pagina de le CHIESE di GENOVA).
Limbania passò la vita in preghiera in una cavità posta sotto la cucina dello stesso monastero.
Alla sua morte le consorelle, per facilitare la venerazione ed il pellegrinaggio dei tanti fedeli che però non potevano accedere al suo luogo di sepoltura, decisero di staccare la testa dal corpo e di esporla nella chiesa alla devozione dei fedeli.
Il giorno di Pentecoste del 1294 avvenne il miracolo più conosciuto: durante una funzione un prelato, il quale in cuor suo nutriva dubbi relativi alla santità di Limbania, che portava in mano la testa della santa per il tradizionale bacio da parte dei fedeli,  si vide sfuggire dalle mani la testa che andò a posizionarsi sull'altare della chiesa. Il fatto miracoloso non fece che accrescere la devozione da parte dei fedeli. 
Un altro fatto miracoloso racconta di una donna alla quale apparve Santa Limbania dopo che la stessa si era rivolta a lei con le sue preghiere per far guarire il figlio malato: la santa disse alla donna che se voleva far guarire il proprio figlio, questo avrebbe dovuto bere il vino con cui era stata lavata la sua testa. Così fece e così avvenne la miracolosa guarigione. Il 16 giugno, giorno a lei dedicato, veniva distribuito il "vino di Santa Limbania", tradizione che andò avanti per secoli ma di cui oggi rimane solo il ricordo.
Quando l'antica chiesa di San Tommaso fu distrutta, le reliquie della Santa vennero portate nella nuova chiesa a lei dedicata a Voltri ma non la testa che seguì invece le suore suore agostiniane nel nuovo convento a capo Santa Chiara dove ancora oggi è conservata in una teca d'argento.
Nella moderna chiesa di San Tommaso in Via Almeria è conservata una cinquecentesca statua della Santa con  in mano un pettine da tessitore, utensile che la santa utilizzava quale strumento di penitenza per mortificare il proprio corpo.
Una curiosità: nei pressi della Stazione Marittima, proprio davanti alla loggia di Palazzo del Principe che un tempo affacciava sul mare, esiste ancora una piccola fermata ferroviaria chiamata Santa Limbania: secondo la tradizione è qui che la santa sbarcò.


7.4 Santa Brigida

(Finsta, Svezia, 1303 - Roma, 23 luglio 1373)

La santa svedese, di passaggio da Genova mentre viaggiava verso Roma, dall'alto delle Mura delle Chiappe, volgendo lo sguardo verso il mare e la città ai suoi piedi, così predisse il futuro della nostra città:
"Un giorno il viandante che passerà dall'alto dei colli che recingono Genova, accennando con la mano i lontani cumuli di detriti, dirà: laggiù fu Genova".
Leggenda vuole che il Santuario della Madonnetta, che sorge a  poca distanza dalle Mura delle Chiappe, abbia l'entrata rivolta a monte così da non vedere in futuro la città in rovina.
A Santa Brigida era intitolato un monastero in città, di cui oggi rimangono alcune tracce nella salita che parte da Via Balbi e porta il suo nome (vi rimando alla pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA per approfondire), così come portano il suo nome i trogoli più famosi dei vicoli (vi rimando alla pagina de l'ACQUA pubblica per conoscere la loro storia e vedere qualche immagine).


7.5 Santa Caterina da Siena

(Siena, 25 marzo 1347 - Roma, 29 aprile 1380)

La santa giunse a Genova nell'ottobre del 1376 di ritorno da Avignone dove era stata per convincere il pontefice Gregorio XI a rientrare a Roma (cosa che lo stesso farà passando anche lui da Genova il 18 ottobre 1376 dove verrà ospitato dal doge). 
Come ci ricorda una lapide posta in via Canneto il Lungo quasi alla confluenza con Canneto il Curto (il punto che viene detto "Croce di Canneto") da alcuni cittadini nel 1880, la santa fu ospite "in questa casa da madonna Orietta Scotto".
Ecco cosa ci racconta la lapide marmorea:

Lapide in ricordo di Santa Caterina da Siena in Via Canneto il Lungo
(foto di Antonio Figari)


7.6 Santa Caterina Fieschi Adorno 

(1447 - 1510)

Questa è la storia di Caterina Fieschi, andata in sposa al nobile Giuliano Adorno: prima, donna mondana e spensierata, poi, esempio di carità e dedizione al prossimo nell'Ospedale di Pammatone.

In Vico Indoratori, poco distante da Via Orefici, troverete la targa marmorea, che riporto qui sotto, la quale ricorda il luogo dove la Santa nacque; da notare anche lo splendido portone marmoreo di questo palazzo Fieschi.

(foto di Antonio Figari)

Già da adolescente Caterina sentiva crescere dentro di sè la vocazione religiosa tanto che il suo desiderio a 13 anni era quello di entrar nel Monastero delle Canonichesse Regolari Lateranensi, ordine che già aveva accolto la sorella Limbania, ma ciò le fu impedito.
Vi erano infatti altri progetti per Caterina: ella, con il suo matrimonio di convenienza con l'Adorno avrebbe posto fine alla secolare guerra tra le due nobili famiglie genovesi.
Il matrimonio fu però di breve durata: la mondanità a cui Caterina era costretta lasciava dentro lei un senso di vuoto e si vociferava tra la nobiltà genovese che il marito si intrattenesse con altre fanciulle. 
Il 24 marzo 1473 è la data di svolta della vita della Santa: fu in questo giorno che Caterina ebbe una visione mistica, che sarà poi raccontata nel suo "Trattato del Purgatorio", ed il suo cammino spirituale subì un'accelerazione drastica. Ella decise di abbandonare agi e ricchezze e di trasferirsi vicino all'Ospedale di Pammatone (di cui trovate la storia nella pagina de gli EDIFICI pubblici) ed il marito, anch'egli deciso a cambiar vita, andò a vivere con lei ed entrò nel terzo ordine francescano.
Caterina concentra tutte le proprie energie verso i più disperati, coinvolgendo nell'opera anche il marito. Oltre a queste doti di rara carità ed amore per il prossimo, Caterina è ricordata anche per le sue doti manageriali che la faranno divenire, rarità per l'epoca in cui visse, direttrice dell'Ospedale di Pammatone.
Ammalatasi di peste nel 1493 ne guarì per tornare subito dai suoi malati del Pammatone.
Sarà uno dei suoi migliori discepoli, il notaio Ettore Vernazza, ad aprire, nei pressi dell'ospedale di Pammatone, l'Ospedale degli Incurabili (di cui trovate la storia nella pagina de gli EDIFICI pubblici).
Santa Caterina Fieschi morì nel 1510 e venne canonizzata da Papa Clemente XII nel 1737.
Le sue spoglie si trovano tuttora nella Chiesa della Santissima Annunziata di Portoria, che si trova subito dietro l'Ospedale di Pammatone, da tutti conosciuta anche come Chiesa di Santa Caterina da Genova.
La diocesi di Genova ne celebra il culto il 12 settembre.


7.7 Santa Caterina d'Alessandria

(Alessandria d'Egitto, 280-290 - Alessandria d'Egitto, circa 305)

Caterina d'Alessandria non venne mai a Genova ma nella nostra città ci sono luoghi che da lei prendono il nome.
Conoscete Salita Santa Caterina? La strada porta questo nome poiché a metà della via, dove la stessa incontra Salita di Negro, vi era il Monastero, con annessa chiesa, intitolato a questa Santa (vi rimando alla pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA per approfondire la sua storia).
In cima a questa salita un tempo correvano le mura  e proprio in corrispondeza di questa strada si apriva una porta che prendeva il nome dalla Santa. La porta fu demolita nel nel 1837 ma si salvò la statua della santa che troneggiava sopra la stessa e che oggi è collocata entro una nicchia sullo scalone del Palazzo che ospita l'Accademia Ligustica (trovate questa e le altre porte di Genova alla pagina dedicata le PORTE di GENOVA).


7.8 Battistina Vernazza

(Genova, 1497 - Genova, 1587)

Prima delle tre figlie di Ettore Vernazza (benefattore genovese e fondatore di tante istituzioni benefiche, tra le quali l'Ospedale degli Incurabili) e di Bartolomea Risso, portava come nome di bates, le fu dato come nome di battesimo Tommasa. Sua madrina era Caterina Fieschi Adorno, di cui più sopra trovate la storia.
La prematura scomparsa della madre avvenuta nel 1508 fu quasi certamente uno delle ragioni che portarono la giovanissima Tommasa a scegliere la vita conventuale. All'età di soli 13 anni, il 24 giugno 1510, entra nel Monastero di Santa Maria delle Grazie tra le canonichesse regolari lateranensi, assumendo il nome di Battistina.
Trascorse in clausura più di settant'anni, nei quali fu dapprima responsabile delle cucina, poi maestra di noviziato, economa, vicaria e per più di dieci anni priora del Monastero.
Di quest'ultimo fu anche assidua difenditrice quando, nel 1542, a causa della condotta di alcuni canonici lateranensi, lo stesso stava per essere affidato ad altro ordine religioso, Battistina scrisse al Cardinale Innocenzo Cybo (nipote ex figlio di Giovanni Battista Cybo, papa Innocenzo VIII, e nipote ex fratre di Giovanni De' Medici, papa Leone X) chiedendogli e ottenendo di punire solamente i responsabili per non recare "gran perturbatione" (testuali parole di Battistina) all'equilibrio della vita nel monastero.
Moltissimi furono i suoi scritti tra i quali un commento al "Padre Nostro", meditazioni, cantici spirituali e lettere alle autorità dell'epoca.
Battistina morì a Genova nel 1587.
Soggetta ad un'intensa devozione nella sua città natale, fu proclamata "venerabile" da papa Paolo VI e tuttora è in corso il suo processo di beatificazione.


8. Papi

8.1 Papi genovesi

8.1.1 Innocenzo IV

Sinibaldo Fieschi (Lavagna, 1190 circa - Napoli, 7 dicembre 1254), figlio di Ugo e della nobildonna Beatrice Grillo, salì al soglio pontificio nel 1243 e rimase papa  fino alla sua morte. Fu il 180° papa della Chiesa Cattolica.
Fu consacrato ad Anagni il 28 giugno di quell'anno con il nome di Innocenzo IV ed entrò a Roma il 20 ottobre di quello stesso anno.
Rimase famoso il suo scontro con l'imperatore Federico II. Il papa era infatti intenzionato a riavere tutti i territori sottratti dall'imperatore allo Stato Pontificio. Dopo alterne vicende si giunse alla pace stipulata in Laterano il 31 marzo 1244: l'impratore si impegnava a restituire i prigionieri e alcuni dei territori dello Stato Pontifico. La pace però non risolverà tutte le questioni: rimanevano infatti alcuni territori in mano all'imperatore. 
Papa Innocenzo IV tornerà nella sua Genova di passaggio nel 1244, per un periodo di riposo, trascorso nel Convento di Sant'Andrea, dopo esser salpato da Civitavecchia con navi genovesi che lo avevano portato in salvo dopo che lo stesso aveva capito che l'imperatore, che aveva chiesto di incontrarlo, aveva tutt'altre intenzioni ossia quelle di porre fine alla vita del pontefice.
Quest'ultimo ripassò a Genova ne l251.
Lo scontro tra i due mai si risolse: l'imperatore morirà scomunicato senza aver trovato un accordo con il papa.


8.1.2 Adriano V

Ottobono Fieschi (Genova, 1205 circa - Viterbo, 18 agosto 1276), figlio di Tedisio e Simona della Volta (e soprattutto nipote  di Innocenzo IV, fratello di suo padre) salì al soglio pontificio nel 1276 e rimase papa fino alla sua morte. Fu il 186° papa della Chiesa Cattolica.
Dante, che nella Divina Commedia colloca il papa nella quinta cornice del Purgatorio fra gli avari ed i prodighi, così scrive:

"Un mese e poco più prova' io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda
che piuma sembran tutte l'altre some"
(Pg. XIX, 103-105)

L'avarizia di Adriano va intesa come brama di potere, come lo stesso afferma.
Dante in realtà confuse Adriano V con Adriano IV (papa dal 1154 al 1159).
Adriano V, che già era di salute cagionevole quando venne eletto papa, morì appena un mese e nove giorni dopo l'elezione al soglio pontificio (come ci dice lo stesso Dante "un mese e poco più"), a Viterbo, dove venne sepolto nella Basilica di San Francesco alla Rocca, dove ancora oggi si può ammirare il suo monumento sepolcrale.


8.1.3 Innocenzo VIII

Giovanni Battista Cybo de Mari (Genova, 1432 - Roma, 25 luglio 1492), figlio di Arano (o Aronne) e di Teodorina de Mari, salì al trono soglio pontificio nel 1484 e rimase papa fino alla sua morte. Fu il 213° papa della Chiesa Cattolica.
Durante il suo pontificato ci fu la condanna di Pico della Mirandola che vene imprigionato in Francia e liberato solo grazie all'aiuto di Lorenzo il Magnifico.
Innocenzo bandì inoltre una crociata contro i Valdesi che vennero cacciati dalla Francia grazie all'intervento del re di Francia ma non dal Piemonte dove il debole ducato dei Savoia non riuscì ad estirpare la comunità valdese che ancora oggi abita alcune valli.


8.1.4 Benedetto XV

Papa Benedetto XV (foto di Giuseppe Felici scattata tra il 1914 ed il 1922))

Giacomo Paolo Giovanni Battista della Chiesa (Genova, 21 novembre (Genova, 21 novembre 1854 - Roma, 22 gennaio 1922), figlio di Giuseppe e di Giovanna dei marchesi Migliorati, salì al soglio pontificio nel 1914 e rimase papa fino alla sua morte. Fu il 258° papa della Chiesa Cattolica.
Una targa la civico 10 in Salita Santa Caterina ricorda che in quel palazzo nacque il futuro pontefice (non ditelo però ai "vecchi" di Pegli: secondo una tradizione locale orale infatti il papa sarebbe nato a Palazzo della chiesa sul lungomare di Pegli).
La sua famiglia paterna discendeva da casati che avevano dato i natali ad un altro pontefice, Callisto II, mentre alla nobile famiglia materna, i Migliorati di Napoli, apparteneva papa Innocenzo VII.
Il suo pontificato iniziava in un periodo storico molto complesso con lo scoppio della prima guerra mondiale. Il pontefice, strenuo oppositore della guerra, si adoperò per una risoluzione diplomatica della stessa.
Il suo impegno, volto a fornire aiuti concreti alle popolazioni civili colpite tra cui servizi di soccorso per i feriti, i rifugiati e gli orfani di guerra (da ricordare l' "Opera dei Prigionieri", ufficio finalizzato alle comunicazioni a al ricongiungimento dei prigionieri di guerra con i loro familiari)  e l e enormi spese sostenute, si dice, portarono il Vaticano sull'orlo della bancarotta.


8.2 Papi di passaggio a Genova

Tanti furono i papi che visitarono Genova. Eccoli:
Giovanni VIII nel 878;
- Gelasio II nel 1118;
- Innocenzo II nel 1130;
- Alessandro III nel 1162;
- Urbano V nel 1362, 1367 e 1370;
- Gregorio XI nel 1376;
- Urbano VI nel 1385;
- Adriano VI nel 1522;
- Paolo III nel 1538;
- la salma di Pio VI nel gennaio 1802 (morto in Francia, la sua salma fu imbarcata a Marsiglia e sbarcò a Genova dove venne traslata in Santa Maria di Castello. In seguito la salma sarà portata a Pisa, Civitavecchia  ed infine a Roma dove trovò sepoltura);
- Pio VII nel 1809;
- Pio IX nel 1823;
- Giovanni Paolo II il 21 e 22 settembre 1985 ed il 14 ottobre 1990.


9. Pietro Boetto

(Vigone, 19 maggio 1871 - Genova, 31 gennaio 1946)  

Nato a Vigone, un piccolo paese vicino a Torino, il 19 maggio 1871, entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù il 1° gennaio 1888, fu per le sue doti nominato Cardinale da Papa Pio XI nel 1935. 
Fu lo stesso Papa a nominare Boetto Arcivescovo di Genova  nel 1938.
La sua figura è ricordata da tutti noi genovesi perchè fu lui, il 25 aprile 1945, a Villa Migone, sua residenza nel quartiere di San Fruttuoso, a trattare con il generale tedesco Gunther Meinhold, e Remo Scappini, quest'ultimo in rappresentanza dei partigiani, la resa delle truppe tedesche evitando così ulteriori spargimenti di sangue e distruzioni in città.
Pochi sanno che il Cardinale Boetto, durante la Seconda Guerra Mondiale, si adoperò in prima persona per salvare le vite di centinaia di ebrei attraverso il ssuo sotegno alla rete clandestina di aiuti "DELASEM": per questo egli è stato annoverato tra i giusti tra le nazioni nello Yad Vashem (Ente nazionale per la memoria della Shoah).   
Gli venne conferita la cittadinanza onoraria nel dicembre 1945.
Un crisi cardiaca lo stroncò il 31 gennaio 1946.
A lui succederà, quale pastore della comunitòà cattolica genovese, il Cardinale Giuseppe Siri, che fu di Boetto suo vescovo ausiliare.  
La sua tomba si trova nella Cattedrale di San Lorenzo nella navate destra, a pochi passi da quella del suo successore.
La città di Genova gli ha dedicato la via che collega Piazza de Ferrari a Piazza Matteotti.
Nella navata destra della Cattedrale di San Lorenzo vi è il suo monumento funebre, realizzato dallo scultore Guido Galletti nel 1949.


Conferimento della cittadinanza onoriaria al Cardinal Boetto nel Salone di Rappresentaza di Palazzo Tursi nel dicembre del 1945 



10. Giovan Battista Perasso, detto Balilla 

(1729 o 1735 - 1781)

Giovan Battista Perasso o Giambattista, detto Balilla (1735–1781)

Ricordato per l'aver dato inizio alla rivolta dei genovesi contro gli austriaci invasori il 5 dicembre 1746 al grido di "che l'inse?" (trovate una breve storia di quell'episodio nella pagina de "le PIETRE parlanti"), non si hanno notizie certe sulla sua nascita.
Le cronache ci raccontano che il suo nome era Giovan Battista Perasso, secondo una tradizione nato a Genova nel quartiere di Portoria nel 1735, secondo altre fonti più accreditate dagli storici ottocenteschi invece nato  nella frazione di Pratolongo di Montoggio nel 1729, piccola cittadina della Valle Scrivia, entroterra del genovesato. All'epoca dei fatti dunque era poco più che un ragazzino. 
La sua nascita rimane avvolta da un alone di mistero e la cosa ne  esalta ancor di più la figura eroica e leggendaria. 
Pare che il giovane Balilla fosse impiegato in una bottega di tintori, una delle tante presenti nel quartiere di Portoria, dove poco distante da qui, in Salita Santa Caterina, aveva sede la loro casaccia nello splendido Oratorio di San Giacomo delle Fucine (di cui trovate la storia nella pagina de gli ORATORI e le CASACCE), ora scomparso a seguito del tracciamento di Via Roma.
Di sicuro sappiamo, invece, da un resoconto dell'epoca dei fatti inviato al governo austriaco, che un ragazzo (il termine Balilla equivale a "ragazzo" o "monello" e deriva dal tipico diminutivo genovese del nome Giovanni Battista "Baciccia")  diede inizio alla sassaiola: "la prima mano onde il grande incendio si accese, fu quella di un picciol ragazzo, quel dié di piglio ad un sasso e lanciollo contro un ufficiale tedesco."
Il Balilla, raccontano le cronache, venne ricompensato dalle autorità cittadine con una licenza per aprire un fondaco di vino che lo stesso aprì nei pressi della Porta del Portello.
In fondo però poco importa sapere con esattezza chi fosse il Balilla: come giustamente afferma lo storico Federico Donaver, parlando del monumento a lui dedicato in Piazza Portoria, esso rappresenta "l'ardire generoso d'un popolo che, giunto al colmo dell'oppressione, spezza le sue catene si rivendica la libertà".
Il mito di Balilla viene amplificato dapprima durante il Risorgimento, esempio fulgido di italiano che si ribella all'invasore straniero, e successivamente nel ventennio fascista durante il quale viene creata l'Opera Nazionale Balilla, organo del Partito nazionale Fascista, a carattere parascolastico e paramilitare, fondato nel 1926. 
Due curiosità, la prima: si sente poco cantare la quarta strofa dell'inno d'Italia che cita l'eroe Genovese "I bimbi d'Italia / si chiaman Balilla"; Mameli, genovese, ricorda così il suo concittadino.
Altra cosa che pochi sanno se non perchè raccontata dai propri nonni o, come me, letta su qualche vecchio libro: una volta nell'entroterra genovese erano diffusi dolci fatti di pasta frolla e zuccherati in superficie detti "panin du Balilla" in onore dell'eroe genovese.
Se volete onorare la sua memoria fate un passo a  "salutarlo" in Piazza Portoria, davanti all'antico Ospedale Pammatone ora trasformato nel Tribunale cittadino: lì si erge una statua in ricordo di Balilla e del suo eroico gesto, donata nel 1862 dalla Società Promotrice delle Arti Belle di Torino, come ci ricordano le parole incise nel piedistallo del monumento dedicato al giovane eroe genovese:

5. DICEMBRE 1746

QUESTO SIMULACRO
DI GIAMBATTISTA PERASSO BALILLA
LA SOCIETA' PROMOTRICE DELLE ARTI BELLE DI TORINO
DONAVA NEL MDCCCLXII
PER DIMOSTRAZIONE DEI FORTI AFFETTI
CHE STRINGONO DUE CITTA'
DONDE VENNERO AGLI ITALIANI DEL SECOLO XVIII
INCITAMENTI MAGNANIMI
A LIBERARE LA PATRIA DALLO STRANIERO
___ . ___

IL MUNICIPIO
INNALZO' IL MONUMENTO NEL MDCCCLXIII
GLI CREBBE DECORO NEL MDCCCLXXXI

Genova lo ricorda anche nel nome della via che corre tra Piazza Portoria e Via XII ottobre a lato della Chiesa di San Camillo (come vedete dalle date incise nell'angolo in basso a destra il Comune prende per buona la nascita di Balilla nel 1729).

Via Balilla
(foto di Antonio Figari)



11. Giovanni Battista Ottone

(XVIII secolo)

All'angolo tra Piazza Campetto e Via Orefici se alzate lo sguardo noterete una lapide marmorea in ricordo di un altro eroe della rivolta contro gli austriaci: Giovanni Battista Ottone.
In Piazza Campetto, proprio al civico 1, dove vi è la lapide in suo ricordo, Ottone aveva un negozio di tendaggi e tappezzerie.
Siamo nel bel mezzo della rivolta della nostra città contro gli austriaci invasori, il Balilla ha lanciato il sasso e il popolo si è sollevato.
Giovanni Battista Ottone con grande dispendio di energie e soldi arma e nutre molti genovesi e alla loro testa li conduce alla battaglia contro l'odiato straniero.
Un nostro concittadino da ricordare che però quasi nessuno conosce; non vi sono infatti vie o piazze a lui intitolate e solo queste parole incise sul palazzo di Campetto ricordano le sue gesta e il suo coraggio:

(foto di Antonio Figari)


12. Giovanni Carbone

(1724-1762)

Un altro eroe genovese deve esser ricordato per i moti contro gli austriaci del 1746: il suo nome è Giovanni Carbone e le sue gesta sono ricordate da due lapidi marmoree, una in Via Gramsci e una nella Chiesa delle Vigne.
Il 10 dicembre 1746 è il giorno in cui questo giovane diventò un eroe.
Viganego, frazione di Bargagli, è il suo paese d'origine. Nel 1746 egli aveva 22 anni e si guadagnava da vivere servendo ai tavoli dell'Osteria Crocebianca che si trovava non lontano da Porta San Tommaso (Porta di cui trovate la storia nella pagina de le PORTE di GENOVA).
Le cronache dell'epoca raccontano che durante gli scontri contro gli austriaci presso questa Porta, Carbone, nonostante fosse ferito, riuscì a recuperare le chiavi della città che erano finite in mano all'odiato nemico straniero.
Carlo Varese nella sua "Storia della Repubblica di Genova dalla sua origine sino al 1814"  ci racconta che Carbone, arrivato a Palazzo Ducale "s'inoltrò sino ai primi gradini del trono su cui sedeva il Doge: "Queste, disse, sono le chiavi delle porte dalle Signorie loro Serenissime con tanta franchezza rassegnate ai nostri nemici: il popolo le ha recuperate col loro sangue, e spera che per l'avvenire saranno un pò meglio custodite”.
Eccovi la lapide di Via Gramsci che lo ricorda:

Giovanni Carbone (1724-1762)
e le parole in essa incise: 

GIOVANNI CARBONE
POPOLANO
INSIGNE ESEMPIO DI VIRTU' CITTADINA
 ________

NEL 1746
STRAPPA EROICAMENTE DA MANI STRANIERE
LE CHIAVI DI GENOVA
E
LE RESTITUISCE MAGNANIMO
AL GOVERNO
CHE LE AVEVA DEBOLMENTE
CEDUTE
 ________

LA SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO
IL RISORGIMENTO OPERAIO
PONEVA
IL 22 GIUGNO 1881   
  


Egli venne sepolto nella Chiesa delle Vigne, dove ancora troverete la sua lapide entrando sulla destra con incise queste parole:

JOANNI CARBONO
QUOD 
MAXIMO IN PATRIAE DISCRIMINE
CIVIUM ANIMIS
EXEMPLO VIRTUTE EXCITATIS
THOMASINA PORTA VINDICATA
CLAVIBUS SENATUI RESTITUTIS
PRO LIBERTATE
STRENUE AC FORTITER PUGNAVERIT
BENEMERENTI
PUBLICUM MONUMENTUM
OBIIT XIIII MDCCXII
AETATIS XXXVIII  
 
(A Giovanni Carbone
che
nel supremo pericolo in Patria
infiammando gli animi dei cittadini
con l'esempio della sua virtù
rivendicata la Porta di San Tommaso,
restituite le chiavi al Senato
per la libertà
con coraggio e con forza combattè
la Repubblica decretava questa memoria
morì il 19 maggio 1762
all'età di 38 (anni))     

 
Ora che conoscete la sua storia, quando passate in Via Gramsci o entrate alle Vigne, dedicate un pensiero a Giovanni Carbone, uno dei Genovesi che più si distinse nei moti del 1746. 
 

13. Pittamuli 

(XVIII secolo)

Stampa ottocentesca raffigurante Balilla in mezzo a Pittamuli (sulla sinistra) e Pier Maria Canevari (sulla destra)


Il Balilla non è il solo piccolo, per età anagrafica, eroe che si distinse per il suo coraggio nell'insurrezione del 1746.
C'è un altro ragazzino dell'età di 10 anni (secondo quanto ci dice Accinelli), 11 (scrive il Quinto), quasi sconosciuto ai più, di cui è giusto tessere le lodi: Pittamuli.
Ecco i fatti: il 10 dicembre, cinque giorni dopo il gesto di Balilla, trecento soldati austriaci che tentavano di raggiungere il Generale Botta a Sampierdarena vengono fermati dalla popolazione genovese e costretti ad indietreggiare fino al Ponte di Sant'Agata; nella rocambolesca ritirata una cinquantina di essi riparano in un'osteria vicino al Ponte. Questa viene subito presa d'assedio dalla popolazione inferocita. Nessuno però sembra intenzionato a fare la prima mossa: ed ecco il Pittamuli che con una pistola in una mano e una fiaccola accesa nell'altra corre verso l'osteria sparando verso i nemici e, arrivato davanti ad essa, dà fuoco alle masserizie che gli austriaci avevano accumulato davanti ad essa a loro difesa.
Gli odiati invasori, costretti ad uscire dalla locanda in fiamme, non possono che arrendersi ai Genovesi e il piccolo Pittamuli diventa il simbolo dell'eroica insurrezione.
Al Pittamuli fu dedicata la strada che da Borgo Incrociati  conduceva sulle alture (quella che è l'odierna Corso Montegrappa) ed una piccola traversa di Via Colombo che ancora oggi porta il suo nome.

Via Pittamuli (ora Corso Montegrappa)


In Piazza Manzoni, a poco distanza da dove avvennero i fatti, nell'atrio del palazzo sede del Municipio della Bassa Val Bisagno, un tempo sede della Municipio di San Fruttuoso quando questo era un comune indipendente, una targa marmorea del 1878 ricorda il piccolo Pittamuli così:

SE L'ETA' CHE VIVESTI
T'IMPOSE O PITTAMULI UN NOME DI SCHERNO
LE MIRABILI PROVE
ONDE IMBERBE FANCIULLO
VENDICASTI COL FERRO E COL FUOCO
LA TRACOTANZA STRANIERA
TI DAN CHIAREZZA DI FAMA
PARI A QUELLA DI D'UBERDO' E CANEVARI
_____________________

LA SOCIETA' DI M.S. DI SAN FRUTTUOSO
8 DICEMBRE 1878


14. Pier Maria Canevari 

(1724 - 1747)

Figlio di Domenico, centocinquantaseiesimo doge della Repubblica, e della nobildonna Maddalena de Franchi, fu protagonista della rivolta iniziata dal Balilla e uno dei promotori del Comitato dei difensori della Libertà, coloro che si posero a comando dell'insurrezione.
Dopo la cacciata degli austriaci dalla città, fu assegnata al Canevari la difesa di Crocetta d'Orero dove rimase fino al successivo mese di maggio riuscendo in questo periodo a respingere le truppe nemiche.
Il primo maggio 1747, dopo la vittoriosa battaglia tra il Monte Lavagnola e la Colla di Boasi, presso il Passo della Scoffera (dove ancora oggi una lapide ricorda il fatto) fu colpito a morte dallo sparo di uno dei prigionieri.
Canevari venne sepolto a Genova nella Chiesa di Santa Maria di Castello.
Un suo busto scolpito da G.B. Cevasco è posizionato lungo lo scalone di palazzo Tursi.


15. Andrea D'Uberdò

(XVIII secolo)

Giovane genovese di mestiere calzolaio, Andrea D'Uberdò, soprannominato "Spagnoletto", fu uno degli eroi della rivolta contro gli austriaci del 1746. 
Il suo nome è ricordato nella lapide dedicata a Pittamuli nell'altrio del Municipio in Piazza Manzoni (le cui parole trovate nel paragrafo dedicato a Pittamuli).


16. Alessandro De Stefanis

(Savona, 17 dicembre 1826 - Genova, 4 maggio 1849)

Savonese di nascita, frequentò a Genova l'università, facoltà di medicina, e gli ambienti patriottici divenendo amico di Mameli.
Lasciati gli studi, combatté nel 1848 nella prima guerra d'indipendenza distinguendosi in particolare nella battaglia di Custoza dove venne premiato con una mediaglia d'argento per aver conquistata una collina in mano ai nemici.
Tornato a Genova partecipò attivamente alla rivolta del 1849 contro le truppe del Generale la Marmora (vi rimando al paragrafo 19 "Le pietre del Generale La Marmora" della pagina de le PIETRE parlanti per approfondire i fatti).
Assegnato alla difesa del Forte Begato, il 5 aprile, durante un giro di perlustrazione, fu ferito ad una gamba dopo uno scontro a fuoco con i nemici piemontesi. Dopo essersi rifugiato in una cascina venne scoperto dai nemici che dopo averlo colpito ripetutamente con calci e pugni e lasciato in fin di vita. Salvato da un ufficiale con il quale aveva combattuto a Custoza, che lo portò in ospedale, morì dopo ventotto giorni di agonia il 4 maggio 1849.
Nel Santuario di N.S. di Oregina il fratello Filippo fece erigere un monumento sul quel sono incise le seguenti parole:

ALESSANDRO DE STEPHANIS DI SAVONA
PROPUGNATORE VOLONTARIO DELL'ITALICA INDIPENDENZA
COMBATTE' NEL 1848 CON ANTICA VIRTU'
ED EBBE PREMIO DI VALORE MILITARE.
USCITO ALLA SECONDA PROVA
LO RATTENNE A MEZZO IL CAMMINO LA MISTERIOSA FORTUNA DELL'OPPRESSORE.
FERITO A GENOVA NEI MOTI D'APRILE - PENO' VENTOTTO DI'
POI LO SPIRITO MAGNANIMO VOLO' ALLA PATRIA DEI LIBERI PERDONANDO.
ODI LA VOCE DEL SANGUE INNOCENTE
O LIBERATORE SUPREMO

Una curiosità: nella sua città natale, Savona, una lapide del 1897 nel palazzo comunale ricorda i caduti delle guerre d'indipendenza. Manca però il nome De Stefanis poiché lo stesso all'epoca era considerato  dalla monarchia regnante un ribelle, avendo partecipato ai moti di Genova.


17. Gilberto Govi 

(Genova, 22 ottobre 1885 - Genova, 28 aprile 1966)

Gilberto Govi (1885-1966)
Tutti conosciamo la figura di Gilberto Govi. Qui, invece di raccontarvelo, preferisco fare parlare direttamente lui e la sua arte attraverso  due  spezzoni di altrettante sue magnifiche interpretazioni: "Colpi di timone", un film di Gennaro Righelli del 1942, debutto cinematografico del mio illustre concittadino (qui Govi interpreta un piccolo armatore genovese, che, dopo un dottore che gli rivela che gli rimangono solo tre mesi di vita decide di togliersi un po' di sassolini dalle scarpe), e "Maneggi per maritare una figlia", commedia televisiva del 1959, regia di Niccolò Bacigalupo (qui Govi interpreta Steva, vessato da moglie, figlia, dalla domestica e dal turbinio dei pretendenti alla mano della figlia che si susseguono).
Buona visione!







18. Carlo Goldoni

(Venezia, 25 febbraio 1707 - Parigi, 6 febbraio 1793) 

Perchè inserire il drammaturgo, librettista e scrittore veneziano in questa pagina? Ora Vi racconto.
E' il 22 agosto 1736 e nella Chiesa di San Sisto viene celebrato il matrimonio tra Carlo Goldoni e la genovese Nicoletta Conio. Genova dunque entra prepotentemente a far parte della vita del veneziano. 
Ecco come Goldoni nelle sue Memoria descrive l'incontro con la futura moglie e come è riuscito a conquistarla:

"Il direttore ed io avevamo alloggio in una casa attigua al teatro. Avevo visto alle finestre dirimpetto alle mie una giovane che mi pareva bellina, e avevo voglia di conoscerla. Un giorno che era sola la salutai teneramente; lei mi fece una riverenza e scomparve subito, né più si lasciò vedere.
Eccomi punto nella curiosità e nell’amor proprio; cerco di sapere chi sta di casa dirimpetto al mio alloggio: è il signor Conio, notaio del collegio di Genova, uno dei quattro notai deputati al banco di San Giorgio: rispettabile uomo, e ricco; ma che, per avere una famiglia numerosissima, non era agiato come avrebbe dovuto essere.
Bene, voglio far la conoscenza del signor Conio; sapevo che Imer aveva degli effetti di quel banco, provenienti dall’affitto dei palchi, e che li negoziava sul posto con agenti di cambio; lo pregai di darmi uno di quegli effetti, il che fece senza farsi pregare; e andai al banco di San Giorgio a presentarlo al signor Conio, approfittando dell’occasione per saggiarne il carattere.
Trovai il notaio circondato di gente; aspettai che fosse solo, mi accostai al suo scrittoio e lo pregai di cortesemente farmi rimborsare il valore dell’effetto. Quel brav’uomo mi accolse gentilmente, ma mi disse che m’ero sbagliato: che quei biglietti non si pagavano alla banca, ma che qualsiasi agente di cambio o qualsiasi negoziante me lo avrebbe pagato immediatamente. Mi scusai dicendo che ero forestiero, che ero suo vicino... Volevo dirgli parecchie cose, ma l’ora era tarda, mi domandò licenza di poter chiudere l’ufficio e mi disse che avremmo chiacchierato strada facendo.
Uscimmo insieme; lui mi propone di prendere un caffè, aspettando l’ora del pranzo; accetto, in Italia si piglian dieci tazze di caffè al giorno. Entriamo da un caffettiere, e siccome il signor Conio m’aveva visto insieme agli attori, mi domandò che parti sostenevo nella commedia.
- Signore, - gli dissi, - la vostra domanda non mi offende, chicchessia si sarebbe sbagliato come voi.
Gli dissi chi ero e che cosa facevo; lui si scusò, gli piaceva il teatro, ci andava spesso, aveva visto i miei lavori, era felice di aver fatto la mia conoscenza, e così io di aver fatto la sua. Eccoci amici; lui veniva da me, io andavo da lui vedevo la signorina Conio, ogni giorno più mi pareva piena di grazie e di virtù. In capo a un mese domandai al Conio la mano di sua figlia.
Non se ne meravigliò, s’era accorto della mia inclinazione, e non temeva un rifiuto da parte della ragazza; ma da quell’uomo savio e prudente che era mi domandò tempo, e fece scrivere al console di Genova a Venezia per avere informazioni sul mio conto. La dilazione mi sembrò ragionevole, anch’io scrissi nel medesimo tempo comunicando il progetto a mia madre: le feci un ritratto della mia bella, e la pregai di mandarmi immediatamente tutti i certificati necessari in simile occasione.
In capo a un mese ricevetti il consenso di mia madre e le carte richieste; alcuni giorni dopo il signor Conio ricevette le più lusinghiere testimonianze in mio favore. Il matrimonio fu stabilito per il mese di luglio, la dote fissata e il contratto firmato.
Imer non ne sapeva niente; avevo le mie buone ragioni per temere che ostacolasse la mia idea: infatti fu dispiacentissimo, doveva passar l’estate a Firenze e bisognava bene che ci andasse senza di me. Tuttavia gli promisi che non avrei lasciato la compagnia, che avrei lavorato per Venezia e che mi ci sarei trovato a tempo; e gli tenni la parola.
Eccomi il più contento uomo del mondo, il più beato; ma potevo forse avere una soddisfazione senza che fosse seguita da un dispiacere? La prima notte di matrimonio ecco che mi piglia la febbre, e il vaiuolo che già avevo avuto a Rimini da ragazzo viene ad attaccarmi per la seconda volta. Pazienza! per fortuna non era pericoloso, e non diventai più brutto di quello che ero. La mia povera sposina pianse molto al mio capezzale, era la mia consolazione e tale è sempre stata.
Finalmente partimmo, la mia sposa ed io, per Venezia, ai primi di settembre. Cielo! quante lagrime sparse, che crudele separazione per mia moglie! doveva lasciare di colpo padre, madre, fratelli, sorelle, zii e zie... Ma se ne andava con suo marito.
… Giunto a Venezia con la moglie, la presentai a mia mamma e alla zia; mia madre fu deliziata dalla dolcezza della nuora, e mia zia, che pur non era facile, divenne amicissima della nipote. Era una cara famiglia, la pace ci regnava, io ero il più felice uomo del mondo."
Nelle parole di Goldoni ritroviamo la sua genialità che si esprime anche nella vita quotidiana oltre che nelle sue magnifiche opere.
I vicoli rammentano ancora il passaggio di Goldoni a Genova: in Vico Sant'Antonio, una traversa di Via Balbi, una lapide ricorda questo fatto.

La lapide che ricorda Carlo Goldoni
(foto di Antonio Figari)



19. Niccolò Paganini

(Genova, 27 ottobre 1782 - Nizza, 27 maggio 1840)

Ritratto di Niccolò Paganini

(...continua)




20. Il benefattore di Vico della Casana 

(XIX secolo)

Se Vi capita di varcare il portone del civico 9 di Vico della Casana, superata la prima rampa di scale, Vi ritroverete accanto ad un busto ottocentesco raffigurante un uomo che, come ci dice l'epigrafe scolpita nel cippo di marmo sotto il personaggio, "onorò la Liguria et le sue genti e volle rimanere innominato".

Di chi stiamo parlando? Purtroppo ad oggi le mie ricerche non hanno prodotto alcunchè. Ho avuto modo di parlare con i proprietari del palazzo e sono venuto a conoscenza del fatto che questo busto fu acquistato tra le due guerre mondiali per arredare lo scalone. La sua provenienza è dunque sconosciuta così come il suo nome.


Il benefattore di Vico Casana
(foto di Antonio Figari)



Il busto del benefattore di Vico Casana
(foto di Antonio Figari)




21. Andalò di Negro

(Genova, 1260 - Napoli, 1334)

C'è una lapide in Vico Denegri, una traversa di Piazza Banchi, che svela il perché questa strada porti tale nome: date un occhio all'immagine qui di seguito.



La lapide di Vico Denegri
(foto di Antonio Figari)


In questa zona la famiglia di Negro aveva le sue abitazioni e una torre (quest'ultima descritta nella pagina de le TORRI di GENOVA) e qui nacque Andalò, figlio di Egidio di Negro, negli anni sessanta del XIII Secolo.
Anche se ai posteri quasi sconosciuto egli fu un personaggio di spicco del suo tempo: nel 1314 la Repubblica a lui affidò il delicato compito di siglare la pace con l'imperatore di Trebisonda Alessio Comneno.
L'ambasceria di Andalò portò ai genovesi ottimi risultati: Alessio si impegnava a perseguire tutti coloro che si fossero macchiati di delitti contro i Genovesi e metteva a disposizione della Repubblica la darsena di Trebisonda od altro luogo per costituirvi un borgo, lasciando alla stessa  il diritto di fortificarlo e di vietarne l'accesso ai Greci.
La lapide sopra citata, tuttavia, ricorda la figura di Andalò "fra i sapienti della sua età sapientissimo": egli infatti fu autore di trattati di argomento matematico-astronomico (nei quali si evince la sua grande cultura e conoscenza di scritti di autori classici quali il Tolomeo), solo in parte purtroppo giunti fino a noi, e insegnò anche a napoli dove egli morirà intorno al 1334.
Boccaccio nel suo soggiorno a Napoli fu discepolo del Di Negro seguendo le sue lezioni e ricorda il suo maestro nella sua opera "De genealogiis deorum gentilium".


22. Cattaneo Pinelli

(Genova, 1460 circa - Genova, 1526)

Entrando a Palazzo Tursi, potrete notare nell'atrio sulla sinistra una statua marmorea, eseguita nel 1555 da Bernardino de Novo  entro una nicchia decorata da Giovanni Carlone, eretta a ricordo di Cattaneo Pinelli.
Chi era costui?
Nobile genovese vissuto nel XVI Secolo, fu insignito dall'Imperatore Carlo V di onorificenze e privilegi dopo aver sconfitto il tiranno algerino Ariadeno il Barbarossa, feroce pirata Saraceno che, chiamato dall'imperatore ottomano Solimano a riorganizzare la flotta turca, diventò in breve tempo il terrore delle coste campane.
Cattaneo Pinelli riuscì a sconfiggerlo in Tunisia ponendo fine alla carriera di quello che Carlo V considerava il più temibile dei Saraceni.
Cattaneo morì a Genova nel 1526 ed il suo corpo trovò sepoltura nella chiesa di Santa Maria di Castello.
Ecco cosa scrive Mario Labò  in "I Palazzi Municipali di Strada Nuova" nel 1922: "Cattaneo Pinelli, cavaliere di tanti ordini da far invidia a qualunque dilettante di croci, lasciando nel 1551, per testamento, cento luoghi delle compere di S. Giorgio (cioè titoli) da impiegarsi nell'aumento del molo del porto, poneva per condizione che gli si erigesse una statua marmorea da collocarsi nel palazzo del Comune; in qualunque luogo dove questi avesse o trasferisse la sua residenza. E la statua peregrinò dal Palazzo di via Carlo Alberto al Ducale, da questo poi a Tursi, e non è ben certo che posi in perpetuo".
Il Pinelli, come ci racconta anche Labò, scrisse nel suo testamento che la sua effigie sarebbe dovuta essere posta nelle stanza dei Padri del Comune e così avvenne. 
Ecco spiegato il perché di una statua a lui dedicata (eretta quando Palazzo Tursi non era ancora stato edificato) e il motivo per il quale oggi la troviamo in questa sede dove giunse quando qui si traferì il Comune.
In realtà la sua statua venne collocata a metà dello scalone che dal cortile di Tursi porta al primo piano. Oggi al suo posto vi è la statua di Mazzini e la statua del Pinelli è collocata all'ingresso di Tursi sulla parete sinistra.


23. Alessandro Manzoni

(Milano, 7 marzo 1785 - Milano, 22 maggio 1873)

La mattina del 15 luglio 1827, Alessandro Manzoni, insieme alla moglie Enrichetta, i sei figli, la madre Giulia Beccaria, e cinque domestici, partì da Palazzo Belgioioso di Milano alla volta di Firenze.
Scopo del viaggio era quello di “risciacquare i panni in Arno”: insoddisfatto della sua opera dal punto di vista linguistico, il Manzoni aveva deciso di andare a Firenze  per dare ai suoi “Promessi Sposi” una lingua che si avvicinasse di più all’italiano parlato in Toscana.
Prima tappa del viaggio fu Genova: vi giunse dopo aver superato, indenne, un incidente che coinvolse la sua carrozza che si ribaltò e finì in una scarpata durante un violento temporale. L’idea era quella di fermarsi nella Superba qualche giorno e poi partire alla volta di Livorno dove era stato consigliato a Enrichetta, di cagionevole salute, di fare bagni in mare.
A Genova Manzoni soggiornò in un Hotel in Via del Campo al civico 10, nello splendido Palazzo Bartolomeo Invrea (di cui Vi parlo al paragrafo 223 nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte)). Si racconta che avesse una bella stanza ben esposta e vista porto.
Il Marchese Di Negro, che nella sua villetta amava creare circoli di cultura, non appena seppe che Manzoni era in città, lo invitò a cena insieme allo scrittore francese Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal, anche lui soggiornante a Genova all’Hotel Croce di Malta in Sottoripa (di cui Vi parlo al paragrafo 5 nella pagina de  le TORRI di GENOVA), poco distante in linea d’aria dall’hotel dove risiedeva il Manzoni.
Dopo questo breve soggiorno a Genova, Alessandro giungerà con la famiglia a Firenze dove soggiornerà lungo l’Arno nell’Hotel Quattro Nazioni.
A differenza di Firenze, dove questo evento è ricordato da una lapide in facciata al palazzo, nulla ricorda in Via del Campo il soggiorno del Manzoni nel 1827.
Una lapide invece, sulle alture di Sestri Ponente, ricorda il soggiorno di Alessandro Manzoni con la moglie e la madre presso la Villa dei Degola, ospiti dell’abate Eustachio, nel maggio del 1811.




Manzoni tornerà a Genova ancora il 27 settembre 1846 per il matrimonio della  figlia Vittoria, sposatasi a Nervi nella cappella di Villa Gnecco, e il 16 settembre 1852 per un altro matrimonio, quello della nipote Alessandrina D’Azeglio; nei registri parrocchiali della Chiesa di San Giacomo di Cornigliano è ancora conservata la sua firma.

 
24. Gio Battista Baliano

(Genova, 1582 - Genova, 1666) 


La lapide in ricordo di Gio Battista Baliano (1582-1667)
(foto di Antonio Figari)



25. Francesco Petrarca

(Arezzo, 20 luglio 1304 - Arquà, 19 luglio 1374)  

Egli è colui che per primo definisce Genova come "Superba".
Nel suo "Itinerarium" descrive la nostra città con queste parole: "Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per mura, il cui solo aspetto la indica signora dei mari".


26. I Beatles

(1960 - 1970)

I Beatles alla conferenza stampa al Grand Hotel Colombia

Il 25 giugno 1965 prima di sera i Beatles arrivarono a Sampierdarena e di lì in pochi minuti in Piazza Principe al Grand Hotel Colombia (quella che oggi è la biblioteca universitaria).
Rimasero dentro all'albergo fino a notte fonda quando decisero di far due passi per Genova: prima andarono a Castelletto per godere la vista più bella della Superba, poi giù nei vicoli. Di lì poi a Nervi e Sori per un bagno notturno.
La mattina dopo al Colombia ci fu la conferenza stampa: i Fab Four si sistemarono su quattro poltrone dorate e lì raccontarono, tra le altre cose, che la scelta di Genova per il loro tour era stata dettata dall'idea che la Superba fosse la più inglese delle città italiane.
Il pomeriggio li aspettavano due concerti al Palasport: uno al pomeriggio (ore 16) e uno alla sera (ore 21.15).
Due mila lire, tanto costava il biglietto per assistere ad uno dei due spettacoli.
Ecco la scaletta dei brani eseguiti:

1) Twist And Shout
2) She's A Woman
3) I'm Loser
4) Can't Buy Me Love
5) Baby's In Black
6) I Wanna Be Your Man
7) A Hard Day's Night
8) Everybody's Trying To Be My Baby
9) Rock And Roll Music
10) I Fell Fine
11) Ticket To Ride
12) Long Tall Sally


I Beatles in concerto al Palasport di Genova










 
27. I Rolling Stones

(1962 - )


Anche i Rolling Stones si esibirono a Genova al Palasport. 
Era il 9 aprile 1967 e Jagger e soci tennero due concerti: uno al pomeriggio  (ore 16) ed uno alla sera (ore 21) della durata ciascuno di circa un'oretta.
Da mille lire a quattro mila lire, tanto costava il biglietto per assistere ad uno dei due spettacoli.
Ecco la scaletta dei brani eseguiti: 

1) The Last Time
2) Paint It Black
3) 19th Nervous Breakdown
4) Lady Jane
5) Get Off Of My Cloud
6) Yesterday's Papers
7) Ruby Tuesday
8) Let's Spend The Night Together
9) Goin' Home
10) Satisfaction





28. David Bowie

(Londra, Inghilterra, 8 gennaio 1947 - New York, Stati Uniti d'America, 10 gennaio 2016) 
 
Nell'aprile del 1976 sbarcò a Genova, insieme alla moglie Angie, al figlio Zowie e un nutrito seguito,  il "Duca Bianco", qui ritratto dal fotografo Bruno Maccarini in Piazza Acquaverde. Aveva preso infatti una stanza all'Hotel Colombia Excelsior.
Bowie si era imbarcato a New York sulla "Leonardo da Vinci" che faceva la spola tra la Grande Mela e la Superba.
Del suo brevissimo soggiorno genovese, le cronache ci raccontano di un suo giro della città in limousine.
 

A proposito della Leonardo da Vinci, ecco di seguito una sua immagine quando era in costruzione ai Cantieri Navali Ansaldo di Sestri Ponente.
La nave fu varata il 7 dicembre 1958 e prese servizio nella tratta Italia Stati Uniti andando a sostituire l'Andrea Doria che era tragicamente affondata nel 1956.


 
Il Transatlantico Leonardo da Vinci aveva 11 ponti collegati tra loro da 21 ascensori e poteva accogliere 1326 passeggeri. Non mancavano piscine (ben 5 di cui 2 riservate ai bambini), 3 negozi di barbieri, cappella, auditorium da 300 posti e la telescrivente che permetteva di avere ogni giorno l'edizione quotidina del Corriere della Sera
Eccola di seguito in tutto il suo splendore:



 
29. Elton John 

(Pinner, Regno Unito, 25 marzo 1947)

Sir Elton Hercules John, nato Reginald Kenneth Dwight, si esibì a Genova il 19 aprile 1973 al Palasport davanti a 10.000 fans.
I giornali dell'epoca raccontano di un falso allarme bomba a cui seguirono controlli della polizia nel Palasport, e di scontri e tafferugli con le forze dell'ordine di duecento giovani che, senza biglietto, pretendevano comunque di entrare nel Palazzetto per assistere al concerto.
Elton John, accompagnato da Nigel Olsson (batteria, cori), Dee Murray (basso, cori) e Davey Johnstone (chitarre, cori), era in Italia per il suo tour che era stato rimandato (doveva infatti svolgersi nel 1972): oltre Genova, ultima tappa, Elton suonò anche a Napoli, Roma, Bologna, Firenze, Milano e Torino.
Una curiosità: in questo tour Elton John aveva dovuto suonare gratis per pagare una penale di venti milioni, legata ad una sua mancata partecipazione ad un precedente impegno in Italia. 


30. James Brown

(Barnwell, Stati Uniti d'America, 3 maggio 1933 - Atlanta, Stati Uniti d'America, 25 dicembre 2006)

James Brown

Pochi sanno che James Brown tenne a Genova un concerto: era il 10 maggio 1986 e a Genova veniva inaugurato l'aeroporto nella veste architettonica che ancora oggi lo contraddistingue (nato nel 1962, agli inizi degli anni 80 infatti fu oggetto di un profondo rinnovamento).
Quel giorno, in un aeroporto colmo di persone e alla presenza dell'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, ci fu l'esibizione delle Frecce Tricolori e un conceeto di James Brown accompagnato dalle "Bluebell" del Lido di Parigi.


31. Ugo Foscolo

(Zante, 6 febbraio 1778 - Londra, 10 settembre 1827)


Ugo Foscolo, letterato e fervente patriota, arruolatosi nella Guardia Nazionale Francese, partecipa nel 1800, a soli 22 anni, alla difesa di Genova contro gli austriaci combattendo, con il grado di capitano, sotto il comando del generale francese Massena. Il 30 aprile gli austriaci, guidati dal tenente generale Conte di Hohelzollern, si attestano sulla linea dei "Due Fratelli" minacciando Forte Diamante che è in mani francesi. Il giorno seguente il generale francese Soult, da Forte Soerone, sferra un attacco che si rivelerà vincente. Foscolo partecipa alla battaglia che porterà alla riconquista del monte dei "Due "Fratelli"(luogo  già teatro dei combattimenti contro gli austriaci nel 1747) venendo  ferito ad una gamba da un colpo di fucile.
Foscolo a Genova è ricordato anche per un'altra avventura: l'incontro con la nobile Luigia Pallavicini di cui vi parlo nel successivo paragrafo.


32. Luigia Pallavicini

(Genova, 21 gennaio 1772 - Genova, 19 dicembre 1841)

Presunto ritratto di Luigia Pallavicini conservato presso la Galleria d'Arte Moderna di Genova Nervi

Nasceva a Genova il 21 gennaio 1772 Luigia Pallavicini, nata Ferrari.
La nobile fanciulla è famosa per essere stata protagonista di uno sfortunato evento: mentre galoppava sulla spiaggia di Sestri Ponente, cadde e a seguito di ciò iniziò a portare un velo che le copriva il viso segnato da quel terribile incidente.
Nell'ottobre del 1799, qualche mese dopo esser caduta da cavallo, ad una festa a Villa Imperiale in Val Polcevera (trovate la storia di questa villa nella pagina de i SEGRETI dei VICOLI della GRANDE GENOVA ), festa tenuta in occasione dello sbarco di Napoleone al Frejus, Ugo Foscolo incontra Luigia Pallavicino, che, già sfigurata dall'incidente a cavallo, diverrà la protagonista di una sua famosissima ode "A Luigia Pallavicini caduta da cavallo".
Luigia fu seppellita nella chiesa di San Francesco da Paola. La sua tomba andò perduta nel 1871 a seguito del rifacimento della navata centrale. In chiesa un cartello vi indica la posizione della stessa recitando le seguenti parole: "Esisteva in questa Chiesa a due metri da questa colonna la tomba della "bellezza"."). Un'altra targa a lei dedicata nela stessa chiesa la indica quale "ispiratrice di poeti per la sua bellezza". 
Un presunto ritratto di Luigia Pallavicini è conservato presso la Galleria d'Arte Moderna di Genova Nervi. 
Una curiosità: Luigia abitava in Piazza della Meridiana al civico 2, in Palazzo Gio Carlo Brignole, di cui trovate storia e immagini alla pagina de i PALAZZI privati (seconda parte).


33. Paolo Villaggio

(Genova, 30 dicembre 1932 - Roma, 3 luglio 2017)  

Paolo villaggio con l'amico Fabrizio De Andrè



34. Lorenzo Garaventa

(Calcinara di Uscio, 1724 - Genova, 1783)



Una lapide in Via San Giorgio ricorda un personaggio che tanto bene fece a Genova: Lorenzo Garaventa.
Nato nel 1724 a Calcinara di Uscio, il giovane Lorenzo viene a Genova a studiare in private scuole e in seguito nel Collegio dei Gesuiti in Via Balbi 5 per poi intraprendere la carriera ecclesiastica.
Giuseppe Banchero ci racconta che il Garaventa, una volta diventato sacerdote, decide di aprire una piccola scuola insieme ad una altro prete in Piazza Ponticello. 
Vedendo le condizioni di tanti poveri che non potevano permettersi di pagare gli studi, Garaventa decide di iniziare ad insegnare gratuitamente così da permettere a tutti l'accesso alle sue lezioni. Un cartello appeso sopra l'ingresso recitava "Qui si fa scuola di carità".
Il suo esempio è presto seguito da altri sacerdoti e così viene aperta anche una piccola scuola in Borgo Lanaiuoli a cui ne seguono altre negli altri quartieri della Genova dell'epoca.
Ai bimbi venivano forniti penne, inchiostro, carta e libri, ed ai più poveri anche di che vestire e mangiare.
Tra i tanti che appoggiarono il Garaventa nella sua opera, anche l'abate Paolo Gerolamo Franzoni, l'istitutore della Biblioteca che da lui prenderà il nome, che ne sostenne segretamente l'opera. Molti erano anche i lasciti testamentari e i contributi delle famiglie nobili genovesi che permettevano a queste scuole di continuare la loro attività con bambini dai 4 a i 12 anni.
Lorenzo Garaventa muore il 13 gennaio 1783 ma la sua istituzione non se va con lui e continua ad opera di altri sacerdoti che al Garaventa si ispirano.
Oltre alla lapide che lo ricorda in San Giorgio, al Garaventa era intitolato un vicolo che collegava Via Bartolomeo Bosco alla Piazza di Santo Stefano, chiesa dove il Garaventa fu seppellito. Oggi a lui è intitolata la strada che da Via Vernazza sale a Santo Stefano, strada che riprende in parte il percorso dell'antico vicolo a lui dedicato.
Una curiosità: la prima scuola di carità, sita in Piazza Ponticello era intitolata a Guglielmo Embriaco. La scuola fu trasferita in zona Sant'Andrea e poi tra la Montagnola dei Servi e Santa Maria in Via Lata dove ancora oggi vi è una scuola che porta quel nome anche se pochi sanno che il tutto nasce dalla piccola scuola di carità voluta dal Garaventa in Piazza Ponticello.


35. Nicolò Garaventa

(Uscio, 23 marzo 1848 - Masone, 4 settembre 1917)


Nicolò Garaventa (1848-1917)


"Per te ci vuole la Garaventa", una frase o, meglio, una minaccia rivolta dai genitori ai bambini troppo "discoli" (capirete tra poco perchè uso proprio questo termine!) che ai più anziani fa ricordare, nel bene o nel male, una delle figure più importanti della filantropia genovese: Nicolò Garaventa.
Nato ad Uscio il 23 marzo 1848, professore di matematica al Liceo Ginnasio Andrea Doria, Garaventa, preso a cuore il destino dei tanti bambini che abbandonavano gli studi o peggio mai li avevano intrapresi vivendo nel degrado e nella povertà, decide di dedicare a loro il suo tempo per dare un futuro migliore a questi futuri uomini.
Alla Spianata dell'Acquasola raduna alcuni bambini, parlando a loro in genovese per farsi capire meglio, offrendo loro la possibilità di iscriversi alla scuola che da tempo aveva in mente di fondare.
Nasce così il 1° dicembre 1883 la scuola officina per discoli, ossia ragazzinin sotto i 16 anni. Il motto di questa istituzione era "prevenire e redimere".
In breve tempo Garaventa trova anche una sede definitiva alla sua scuola: una nave della regia marina in deposito nel porto.
Nel 1892, in occasione delle Colombiane, ai giovani "garaventini"  viene donata una barca a vela.
Garaventa muore nel 1917 ma l'attività della sua scuola non si ferma: sono i figli, Domingo e Giovanni, a prendere in mano le redini di questa istituzione che prosegue la sua attività ininterrotamente fino al 1941 quando, a seguito dei bombardamenti, la nave scuola affondò.
I piccoli studenti continuano il loro percorso nei collegi cittadini.
Nel 1951 è il turno di una nuova nave-scuola: l'ex posamine Crotone della Marina Militare.
L'attività di questa istituzione si conclude nel 1977: si calcola nel numero di dodicimila i ragazzi che frequentarono la nave-scuola.
Essa diventa esempio da seguire sia in Italia (Napoli, Cagliari, Venezia) che all'estero (Cile, Brasile, Inìghilterra) con iniziative analoghe.
Tra i tanti frequentanti la nave-scuola ricordiamo anche Renato Rinino, il quale ben si guardò dal seguire gli insegnamenti ricevuti diventando un famoso ladro (il più celebre furto fu ai danni del principe Carlo al quale però restituirà volontariamente il maltolto).
A Garaventa, che è sepolto a Staglieno, è dedicato un busto in Corso Aurelio Saffi.

La banda della nave-scuola

Marinaretti sul ponte della nave-scuola

La nave-scuola nel 1934
 
l'ex Posamine Crotone, ultima sede della Nave-scuola



36. Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu

(La Brède, Francia, 18 gennaio 1689 - Parigi, Francia, 10 febbraio 1755)

Ritratto di Montesquieu

Il filosofo francese Montesquieu visita Genova nel novembre del 1728 e racconta il suo soggiorno nella nostra città nel suo "Viaggio in Italia": "Genovesi non sono affatto socievoli; e questo carattere deriva piuttosto dalla loro estrema avarizia che non da un'indole forastica: perché non potete credere fino a che punto arriva la parsimonia di quei principi. Non c'è niente di più bugiardo dei loro palazzi. Di fuori, una casa superba, e dentro una vecchia serva che fila". Ed ancora: "Quei bei palazzi sono in realtà, fino al terzo piano, magazzini per le merci. tutti esercitano il commercio, e il primo mercante è il Doge".
Non manca un commento sulle donne genovesi definite "molto altezzose".
Per il francese "I Genovesi non si raffinano in nessun modo: sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati inviati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima". Quest'ultima affermazione, probabilmente non pensata per essere un complimento, lo diventa involontariamente.
Montesquieu riserva invece parole di elogio per alcuni luoghi, tra cui Palazzo del Principe con la fontana del Nettuno per lui degna dei giardini di Versailles o lo splendore della Basilica della SS. Annunziata del Vastato.
La "città, vista dal mare, è molto bella. Il mare penetra nella terra, e fa un arco, intorno al quale è la città di Genova": se dunque Montesquieu non apprezza per nulla la popolazione genovese, riesce invece ad entrare nel suo cuore la bellezza della nostra città e di alcuni suoi luoghi simbolo.


37. Jean-Jacques Rousseau

(Ginevra, Svizzera, 28 giugno 1712 - Ermenonville, Francia, 2 luglio 1778) 

Jean-Jacques Rousseau  ritratto da Maurice Quentin de La Tour intorno al 1750-1753


Il filosofo e scrittore svizzero Jean-Jacques Rousseau giunse a Genova nel 1743. La feluca sulla quale era imbarcato, partita da Tolone e diretta a Venezia, fu fermata da un'unità inglese proveniente da Messina, città, quest'ultima, dove in quel tempo infuriava la peste. Quando la feluca arrivò a Genova. Le autorità  imposero ai membri dell'equipaggio una quarantena da trascorrere presso il lazzaretto della Foce (di cui trovate la storia alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici).
La stanza riservata allo svizzero era priva di ogni tipo di mobilio: non vi era manco un letto o un qualche giaciglio ove poter riposare. 
Ecco colme Rousseau descrive la sia esperienza genovese nel suo libro "Le confessioni":
"Era il tempo della peste di Messina. La flotta inglese aveva bloccato la feluca davanti a Genova. Il controllo fu fatto dopo una lunga e penosissima traversata. Ci fu l'obbligo di sottostare ad un isolamento di ventun giorni. I passeggeri avevano la possibilità di passarli a bordo oppure  di scendere a terra al Lazzaretto che ci avvertirono era completamente spoglio perché non c'era stato ancora il tempo di arredarlo. Tutti scelsero la feluca. 
L'insopportabile calore, il poco spazio, l'impossibilità di passeggiare e la gente poco piacevole mi fecero preferire il Lazzaretto. Fui condotto in un grande edificio a due piani. In esso non trovai finestre, letti, tavole, casse, neppure un banchetto per sedermi o un pugno di paglia  per coricarmi. Portarono il mio mantello, il sacco a pelo, i due bauli; chiusero il portone e restai lì padrone di passeggiare a mio agio in tutte le camere trovando in tutte lo stesso squallore (...) Dapprima mi divertii a cacciare le pulci che avevo presso nella feluca, e quando infine a furia di cambiare vestito e biancheria, riuscii a liberarmene, cominciai ad arredare la camera che avevo scelto.
Con gli abiti e le camicie preparai un ottimo materasso. Con delle salviette cucite assieme mi feci le lenzuola; con la vestaglia una coperta; un cuscino col mantello arrotolato. Ricavai un sedile da un baule disteso ed un tavolo con un altro posato di fianco. Mi creai anche uno scrittoio e ordinai a biblioteca una dozzina di libri che avevo con me. Quando non leggevo, non scrivevo, oppure non lavoravo a precisare l'arredamento, passeggiavo nel cimitero dei protestanti che era un pò il mio giardino. Salivo anche su un faro da dove potevo vedere le navi entrare ed uscire dal porto."


38. Stendhal

(Grenoble, Francia, 23 gennaio 1783 - Parigi, Francia, 23 marzo 1842)

Stendhal ritratto da Södermark nel 1840

Lo scrittore francese Henry Beyle, da tutti conosciuto con lo pseudonimo di Stendhal, visitò più volte Genova.
La prima volta arrivò nella nostra città il 31 agosto 1814 e vi rimase fino al 18 settembre di quell'anno. In questo periodo fu ospite nella villa della marchese Teresa Pallavicini sita tra Quinto e Nervi (nell'odierna Via Giannelli).
Nel suo "Journal d'un voyage en Italie et en Suisse, pendant l'année 1828", dopo aver consigliato come giungere a Genova "si potrebbe andare a Genova con la diligenza ma è molto meglio prendere un vetturino", suggerisce  una volta arrivati in città, dove soggiornare "prendere una stanza alla Pensione Svizzera, vicino a Banchi (la borsa ha questo nome) e qui bisogna chiedere la camera 26 al quarto piano, dalla quale si vedono il porto e la montagna. Bisogna dire: "Mi dia la camere che un russo ha occupato per 22 mesi". Costa un franco e venticinque  al giorno. Di fronte c'è un ristorante dove si può mangiare segliendo la lista". Si passa quindi a cosa vedere a Genova "Vedere la cattedrale e il famoso quadro di Giulio Romano; vedere l'Albergo dei Poveri: bassorilievo attribuito a Michelangelo; vedere il Palazzo del Re; quattro collezioni di quadri in palazzi della via principale; vedere la sala del ricevimento Serra e la passeggiata d'Acquasola dove la sera si può ammirare uno stupendo tramonto".
E' tuttavia nel suo "Mémoires d'un touriste", pubblicato nel 1838, che Stendhal descrive minuziosamente la nostra città. Racconta di aver soggiornato all'Hotel Croce di Malta che non trovò per nulla confortevole e dove cambiò per ben tre volte stanza tanto che il cameriere non sapeva più dove lo stesso soggiornasse (vi rimando alla pagina de le TORRI di GENOVA ed al paragrafo dedicato alla Torre dei Morchi per approfondire la storia di questo hotel e dei personaggi famosi che qui soggiornarono). Ecco come racconta Genova: "La città è mirabilmente situata ad anfiteatro sul mare. Fra la montagna, alta quattro volte Montmartre e il mare non c'è stato spazio che per tre strade orizzontali: una a otto piedi di larghezza ed è quella del grande commercio dove si trova del buon caffè; l'altra, dietro il porto, è riservata ai marinai; la terza, quella più vicina alla montagna e che porta successivamente i nomi di Via Balbi, Via Nuova e Via Nuovissima, è una delle più belle strade del mondo", strada che viene descritta come "ardita, piena di vuoti e di colonne che ricorda gli scenari della Scala di Milano".
Tra i tanti luoghi visitati anche la Basilica di Carignano "un capolavoro di gravità e nobiltà" secondo Stendhal che tuttavia non rimane molto affascinato da essa, alla quale si arriva tramite  il Ponte di Carignano che passava "su una fila di case per cui si cammina a trenta, quaranta piedi al di sopra dei comignoli", come ci ricorda il francese.
Non poteva mancare una vita ai palazzi di via Balbi dove potè ammirare i Van Dyck dall'aspetto "dolcemente imperioso",   Villa del Principe e Villetta di Negro dove il Marchese Gian Carlo di Negro  "mi ha ricevuto con estrema gentilezza e mi ha fatto assaggiare dell'uva della Villetta!". Verso sera Stendhal si dirige verso la "cattedrale bianca e nera costruita in bande orizzontali"  poi al Teatro Carlo Felice a vedere "Il furioso all'isola di San Domingo", opera semiseria di Gaetano Donizetti.
La sua descrizione di Genova termina con una queste parole: "Credevo che i genovesi amassero soltanto il denaro; amano anche, mi dicono, la loro indipendenza. Ciò che mi ha fatto nascere questa riflessione politica, è che sono stati costretti a dare il nome di Carlo Felice al bel teatro che si sono costruiti. Hanno comperato e demolito molte case per costruire una piazza davanti al teatro e una strada che continua la bella strada dai tre nomi: Balbi, Nuova e Nuovissima.
Una curiosità: Stendhal girovagava per la nostra città senza l'ausilio di libro  o guide preferendo consultarli la sera  dopo un'intensa giornata da turista.


39. Mary Shelley

(Londra, 30 agosto 1797 - 1 febbraio 1851)

Ritratto di Mary Shelley, opera di Richard Rothwell (1840) 


Mary Shelley, l'autrice di "Frankenstein", giunse a Genova con il figlio Percy nel settembre del 1822, dopo la prematura morte del marito, il poeta Percy Bysshe Shelley, annegato nel golfo della Spezia.
Soggiorno all'Hotel Croce di Malta e poi trovò casa per sé e gli amici Hunt a Villa Negrotto in Via San Nazaro. L'amico Lord Byron chiese a Mary di trovar un alloggio anche per lui che lei trovò in Villa Saluzzo Mongiardino dove Byron soggiornerà ptra il 1822 ed il 1823, prima di partire per la Grecia.
Insieme percorreranno spesso le creuze di Albaro.
A Genova Mary si dedica ad una biografia sul marito e compone un poemetto "The Choicee" ed un racconto "Trasformazione" dove descrive Genova come una città splendida, ricca di luce e di vigneti.
Una targa in Via San Nazaro ricorda il soggirno di Mary Shelley a Genova.
Una curiosità: in questa stessa via verrà a soggiornare Charles  Dickens che però non si trverà bene in zona preferendo trasferirsi in centro a Villa delle Peschiere.


40. Lord Byron

(Londra, Inghilterra, 22 gennaio 1788 - Missolungi, Grecia, 19 aprile 1824)

George Gordon Noel Byron

Una lapide marmorea in facciata di Palazzo Saluzzo Mongiardino in Via Albaro n. 1 così recita:

RIPOSANDO LA VITA FORTUNOSA
QUI DIMORO' E SCRISSE
GIORGIO GORDON LORD BYRON
FINCHE' L'INTENSO GRIDO
DELLA GRECA LIBERTA' RISORTA
NOL TRAEVA MAGNANIMO
A LACRIMATO FINE
IN MISSOLUNGI
1822-23

George Gordon Noel Byron, VI conte di Byron, meglio conosciuto come Lord Byron, esponente di spicco del secondo romanticismo inglese, giunge a Genova nel 1822 (e ci rimarrà fino al 1823) e trova alloggio in Albaro, in Villa Saluzzo Mongiardino. Fu l'amica Mary Shelley a trovargli questo alloggio. A Genova, nella tranquillità di questa collina fuori dal centro, tra ville coltivate e giardini, Lord Byron scrive "The age of bronze", poemetto satirico che prendeva di mira il Congresso di Vienna, "The Island", dramma poetico sull'ammutinamento del Bounty, e otto canti del suo "Don Giovanni" (Don Juan), poema epico-satirico iniziato nel 1818 che rimase incompiuto a causa della morte del poeta nel 1824 in Grecia.
E' infatti seguendo i suoi ideali impregnati di romanticismo e patriottismo indirizzato all'indipendenza delle nazioni e all'autodeterminazione dei popoli che il poeta inglese decide di imbarcarsi alla volta della Grecia per combattere nella guerra d'indipendenza che vedeva protagonista il popolo greco che cerca di affrancarsi dall'impero ottomano. Lì, nel 1824, a soli 36 anni, trova la morte a Missolungi dopo aver contratto la febbre malarica.
Un curiosità: nel 1821 Lord Byron fu per qualche tempo ospite dei conti Luigi e Giuseppe Gnecco nella loro villa a Punta Chiappa, sul monte di Portofino, luogo a cui il poeta inglese dedica questi versi incisi su una targa che ancor oggi si trova nel giardino della villa:

"C'è un incanto nei boschi senza sentiero
c'è una magia nella spiaggia solitaria
c'è un riparo dove nessuno penetra
in riva al mare profondo,
e nel musicale frangersi delle sue onde.
Non amo meno gli uomini ma più la natura
e in questi miei colloqui con lei
mi libero da tutto ciò che sono o che sono stato
per fondermi con l'universo
e sento ciò che non so esprimere
ma che non so neppure del tutto nascondere"

I conti Gnecco, che accolsero Lord Byron, sono miei antenati e ancora oggi, ogni volta che mi reco alla "Punta", uno dei miei luoghi del cuore, passata di generazione in generazione fino ad arrivare alla mia, ripenso con emozione a quando Byron dormiva a casa mia. 
Se vi capita di andare a Punta Chiappa, fate un passo a visitare il luogo dove visse Lord Byron, oggi divenuto albergo dal nome "Stella Maris" e andate a godevi la vista che spazia fino al ponente ligure affacciandovi proprio sotto la targa con incise le parole del poeta inglese.
Nel suo soggiorno a Genova, Byron vive per un breve periodo nel 1822 alla Pensione Svizzera, dove soggiornerà nel 1853 e nel 1868 Richard Wagner. Questa piccola pensione era in Palazzo Grimaldi Lomellini, edificio demolito corrispondente all'odierno civico 62 rosso di Via San Luca dove aveva l'ingresso mentre dall'altro lato affacciava sulla Ripa Maris. Nei verbali della polizia del 1830 si fa riferimento a questa pensione come luogo di ritrovo per gli incontri segreti di Mazzini con gli altri carbonari genovesi.


41. James Fenimore Cooper

(Burlington, Stati Uniti d'America, 15 settembre 1789 - Cooperstown, Stati Uniti d'America, 14 settembre 1851)

James Fenimore Cooper

James Fenimore Cooper, l’autore dell’ “Ultimo dei Mohicani”, giunge a Genova il 27 febbraio 1829, e così scrive: 
"Sono al Croix de Malta, che si affaccia direttamente sul porto. Faccio fatica a descriverti il piacere che provo quando vedo le navi, ascolto le grida dei marinai, una razza così simile ovunque, e annuso tutti gli odori del commercio. Ieri ho passato il porto meticolosamente (...) con il diletto di un ragazzino scatenato.". Come immaginerete, mi identifico molto in quest'ultima definizione!
Cooper, come ricorda anche una targa marmorea posta in Vico Morchi, fu uno dei tanti ospiti dell'Hotel Croce di Malta, uno degli alberghi più belli della Genova ottocentesca che occupava anche gli spazi della medievale torre dei Morchi. Vi rimando alla pagina de le TORRI di GENOVA per approfondire la storia di questa torre, di questo hotel e dei tanti illustri ospiti che qui soggiornarono.


42. Charles Dickens

(Portsmouth, 7 febbraio 1812 - Higham, 9 giugno 1870)



Charles Dickens, nato nel sud dell'Inghiterra, a Portsmouths, il 7 febbraio 1812, poeta, scrittore, autore di di capolavori come "Oliver Twist", "David Copperfield" o "Canto di Natale" (per citare le sue opere a me più care) arriva a Genova insieme alla sua famiglia il 16 luglio 1844 e si sistema a Villa Bagnarello ad Albaro, in Via San Nazaro (ancora oggi una targa marmorea qui 
sistemata nel 1894 ricorda il suo soggiorno). Questo luogo sarà da lui definito "pink jail" (prigione rosa), certo non una definizione carica di affetto per questa sua dimora che Charles non amava particolarmente ( in compenso la targa marmorea affissa in via San Nazaro fuori dalla villa dice "in questa villla (...) ebbe gradita dimora Carlo Dickens", dove sarà la verità?) . Il 23 settembre di quell'anno si trasferisce a Villa delle Peschiere, luogo dal quale può osservare il centro città quando scrive o raggiungere in pochi minuti il centro storico quando decide di oziare.
Ecco come descrive il suo vivere alle Peschiere:
 

"Non c’è in Italia, dicono (e io ci credo), una abitazione più piacevole del Palazzo delle Peschiere, in cui andammo a stare non appena furono scaduti i tre mesi di affitto della prigione rosa di Albaro.

Il Palazzo è edificato su un’altura dentro le mura di Genova, ma a qualche distanza dai fabbricati, ed è circondato da magnifici giardini che appartengono ad esso e che sono abbelliti da vasche di marmo, da statue, da vasi, da fontane, da terrazze, da viali di aranci e di limoni, e da boschetti di rose e di camelie.
Tutte le stanze sono belle, sia che se ne considerino le dimensioni, sia riguardo agli ornamenti e ai mobili; ma il salone, alto una cinquantina di piedi, con tre grandi finestre all’estremità, dalle quali si gode il panorama di tutta la città di Genova, del Porto e del mare vicino, offre una delle vedute più belle e più piacevoli del mondo.
Sarebbe difficile immaginare una dimora più gradevole e più comoda delle stanze più ampie del palazzo; certamente non si può concepire nulla di più splendido della vista che da esso si gode, sia alla luce del sole, che sotto il chiarore della luna".
 

Nei suoi appunti su Genova, Dickens racconta di non essersi mai divertito tanto in vita sua nell'assistere ad una rappresentazione di burattini quanto al Teatro  delle Vigne assistendo ad uno spettacolo che vedeva protagonista Napoleone a Sant'Elena (il burattinaio si era dimenticato di far eseguire i corretti movimenti alla figura del medico che invece di stare accanto a Napoleone volava sopra il letto dell'imperatore tra le risate degli spettatori!).
Sempre a proposito di Teatri, nel suo "Pictures from Italy", osservando l'Acquasola dalla Villa delle Peschiere dove risiedeva in quel periodo, dopo aver descritto la bellezza del parco così scriveva:
 
"(...) siedono rivolti dalla nostra parte, gli spettatori del Teatro Diurno (...), fa un effetto molto strano, non sapendone la ragione, veder passare così subitamente tutte quelle facce dall'ansietà al riso (...)".

All'epoca infatti non vi era Via Assarotti e la vista dalla Villa delle Peschiere era ben diversa da quella odierna, per così dire "costretta" e limitata dall'edificazione ottocentesca.



Durante il suo soggiorno a Genova, Dickens scrive "Le Campane", uno dei suoi cinque "Racconti di Natale".
Dickens racconta che, nel momento in cui si era messo alla scrivania per iniziare a scrivere qualcosa, dal centro città era salito dalla città un tale frastuono di campane da farlo impazzire. Il vento gli aveva portato tutti i rintocchi dei campanili di Genova e le sue idee si erano messe a vorticare fino a perdersi in un turbinio di irritazione e stordimento. 
Scrive: "specialmente nei giorni festivi, le campane delle chiese suonano incessantemente; non in armonia, o in qualche conosciuta forma sonora, ma in un orribile, irregolare, spasmodico den den den, con una brusca pausa ogni quindici den o giù di lì; una cosa da impazzire.". 
Sarà quell'incessante suono a fornirgli lo spunto ed il titolo per il suo racconto (non tutto il male vien per nuocere!). In una lettera all'amico John Forster, critico letterario e scrittore,  rivela di svegliarsi alle sette e di lavorare, dopo un bagno freddo e la colazione, fino alle tre del pomeriggio: "avere trovato il titolo e sapere come sfruttare lo spunto delle campane è una gran cosa. Che mi assordino pure da tutte le chiese e conventi di Genova, ormai: non vedo altro che la cella campanaria di Londra in cui le ho collocate". 
Ecco di seguito la copertina della prima edizione de Le Campane (The Chimes) di Charles Dickens:

 


Sempre su Genova,  nel suo diario di viaggio "Pictures from Italy" del  1846, così scrive: 

"(...) E' un luogo che non si finisce mai di conoscere. Sembra che ci sia sempre qualche cosa da scoprirvi. Per andare a passeggio, ci sono i sentieri e i viottoli più straordinari: vi potete perder per strada (che piacere quando uno non ha niente da fare!) venti volte al giorno, se lo desiderate, e ritrovarla in mezzo alle difficoltà più sorprendenti e più inaspettate. E' ricco dei più strani contrasti: ad ogni svoltata, vi si presentano allo sguardo cose pittoresche, brutte, abbiette, magnifiche, deliziose e gradevoli.(...)"

"(...) le tenute a giardino, fra edificio ed edificio, con le viti che formano arcate verdi, coi boschetti di aranci e con gli oleandri fioriti, a venti, trenta e quaranta piedi al di sopra della strada (...)."


"(...) ci sono tantissimi tabernacoli dedicati alla Vergine e ai Santi, posti di solito alle svolte delle vie (...)" 


Dickens torna una seconda volta a Genova nell'ottobre del 1853. Questa volta, senza la famiglia, soggiorna all'Hotel Croce di Malta che così descrive in una lettera alla sorella della moglie, Giorgina Hogarth: "Viviamo sulla cima di questa casa immensa che sovrasta il porto e il mare, abbastanza elegante e ariosa, benché non sia uno scherzo salire così in alto, e benché l'appartamento sia piuttosto ampio e decadente".
In una altra lettera, questa volta indirizzata alla moglie, Dickens racconta, tra le tante cose, della nuova strada ferrata che unirà Torino a Genova e che è quasi completata, ma nessun accenno all'albergo ampio ma decadente (quasi a non volerla far preoccupare!).
Il nostro amico inglese non aveva certo dimenticato la sua villla preferita, le Peschiere, che però nel frattempo era divenuta un collegio femminile e così aveva potuto tornar lì a soggiornare.


43. Gustave Flaubert

(Rouen, 12 dicembre 1821 - Croisset, 8 maggio 1880)

Gustave Flaubert (foto di Gaspard-Felix Tournachon, conosciuto con lo pseudonimo di "Nadar")

Gustave Flaubert, scrittore francese autore di "Madame Bovary", per citare solo la sua opera più nota, giunge a Genova nel 1845 insieme alla sorella Caroline ed il cognato Emile Hamard che erano in viaggio di nozze.
Così scrive all'amico Alfred Le Poittevin, poeta ed avvocato di Rouen: 
"Ho visto una bellissima strada, la via Aurelia, ed ora sono in una bella città, una vera bella città, Genova. Cammino sul marmo, tutto è di marmo: scale, balconi, palazzi. I palazzi si toccano tanto sono vicini e, passando dalla strada, si vedono i soffitti patrizi tutti dipinti e dorati. (...) in altri momenti (ma non so bene quali) forse avrei riflettuto di più e guardato di meno. Invece qui spalanco gli occhi su tutto, ingenuamente, semplicemente, e forse è molto meglio." (Gustave Flaubert - lettera ad Alfred Le Poittevin, 1 maggio 1845).
Flaubert rimane particolarmente impressionato da un dipinto "Le tentazioni di Sant'Antonio Abate", un tempo facente parte della quadreria  di Francesco Maria Balbi, ed oggi di collezione privata ed esposta a Palazzo Spinola di Pellicceria, grazie alla generosità del proprietario, e godibile da tutti noi. Quest'opera, come ricorda Flaubert in più lettere, è fonte d'ispirazione per la sua opera "La tentation de Saint Antoine"che vedrà la sua stesura definitiva nel 1874.
Flaubert ha modo di passeggiare per Genova e così descrive uno dei luoghi più alla moda dove del periodo:
"L'acqua sola', passeggiata, verdi viali, siepi di rose, musica. Visto una donna che batteva il tempo con la testa, dal naso fine, pallida, la testa coperta da un velo bianco bordato di nero, il resto dell'abito a lutto; grandi occhi azzurri, profilo all'Esmeralda... È la più bella donna che io abbia mai visto; non mi stancavo di guardarla".


44. Alexandre Dumas padre 

(Villers-Cotterets, 24 luglio 1802 - Neuville-lès-Dieppe, 5 dicembre 1870)

Ritratto di Alexandre Dumas padre, eseguito a Parigi nel 1855 dal geniale fotografo Gaspard-Felix Tournachon, conosciuto con lo pseudonimo di "Nadar"


Alexandre Dumas padre (così detto per distinguerlo dal figlio che portava il suo stesso nome e come il padre di mestiere faceva lo scrittore), il "papà" del Conte di Montecristo e dei Tre Moschettieri, per citare solo due dei suoi capolavori, soggiornò  nel 1849 a Genova all'Hotel de France, uno dei migliori alberghi dell'epoca che si trovava in Via al Ponte Reale ospitato nel medievale Palazzo Adorno (di cui trovate la storia alla pagina de i PALAZZi privati (prima parte). Qui, come dice lui stesso, passa la maggior parte del suo tempo a scrivere uscendo poco per visitare la città.


45. Marguerite Josephine Ferrand (in arte Ida Ferrier) 

(Francia, 1811 - Genova, 1859)

Marguerite Josephine Ferrand, parigina del quartiere di Montmartre, attrice, moglie di Alexandre Dumas che sposò il 1° febbraio 1840, giunse a Genova insieme al marito nel 1859 e qui morì il 14 marzo di quello stesso anno per apoplessia.
Dumas decise di seppellire la moglie nel Cimitero Monumentale di Staglieno dove ancora oggi riposa. 
Il suo colombario è il numero 669 e si trova nella prima galleria a destra entrando dall'entrata secondaria di Staglieno (quella che affaccia sul ponte dedicato allo scultore Giulio Monteverde). L'epigrafe fu dettata dallo stesso Dumas e così recita:

"A la memorie
d'Ida Marguerite Dumas de la Pailleterie née Feirrau
dont la haute intelligence et l'ame noble
ont laisse des traces profondes
dans la vie de ceux qui l'ont connue
grande artiste et femme genereuse
elle est partie jeune et belle encore
aimable ed dévouée
elle est morte dans les sentiments de la plus haute piété
priez pour elle"

(In memoria 
di Ida Marguerite Dumas de la Pailleterie nata Feirrau 
la cui alta intelligenza e anima nobile
hanno lasciato tracce profonde 
nella vita di chi l'ha conosciuta
grande artista e donna generosa
se ne andò giovane e ancora bella
gentile e devota
ella morì nei sentimenti della più alta pietà
prega per lei)

Alexandre Dumas padre con sua moglie Marguerite Josephine Ferrand (in arte Ida Ferrier)


46. Richard Wagner

(Lipsia, Germania, 22 maggio 1813 - Venezia, 13 febbraio 1883)

Richard Wagner fotografato nel 1871

Il compositore tedesco Richard Wagner giunse a Genova nel 1853.
Rimase così tanto stupito dalla bellezza della nostra città da  descriverla in questo modo alla moglie Minna Planer in una lettera del settembre del 1853: "Non ho mai visto nulla come questa Genova! E' qualcosa di indescrivibilmente bello, grandioso, caratteristico: Parigi e Londra al confronto con questa divina città scompaiono come semplici agglomerati di case e di strade senza alcuna forma. Davvero non saprei cominciare per darti l'impressione che mi ha fatto e continua a farmi tutto ciò: ho riso come un fanciullo e non potevo nascondere la mia gioia."
Wagner a Genova soggiornò anche nel 1868. Sia nella prima che nella seconda occasione prese una stanza alla Pensione Svizzera, dove aveva soggiornato anche Lord Byron nel 1822. Questa piccola pensione era in Palazzo Grimaldi Lomellini, edificio demolito corrispondente all'odierno civico 62 rosso di Via San Luca dove aveva l'ingresso mentre dall'altro lato affacciava sulla Ripa Maris. Nei verbali della polizia del 1830 si fa riferimento a questa pensione come luogo di ritrovo per gli incontri segreti di Mazzini con gli altri carbonari genovesi.
Dopo il soggiorno a Genova del 1853 Wagner si dirigerà a La Spezia e poi nel sud Italia.


47. Herman Melville

(New York, Stati Uniti d'America,  1° agosto 1819 - New York, Stati Uniti d'America, 28 settembre 1891)

Herman Melville nel 1860

Lo scrittore americano Herman Melvile, autore di "Moby Dyck", visitò Genova nel 1857 durante il suo viaggio in Italia che lo aveva portato anche a Napoli, Vico Equense, Roma e Padova.
Nel suo "Journal of a Visit to Europe and the Levant by Herman Melville", che nella pubblicazione italiana si intitola "Diario italiano", dove raccoglie le sue impressioni ed emozioni, così racconta Genova dove sosta tre giorni (dall'11 al 14 aprile, anche se sul diario troviamo la data del 13, mettendo 14, e il 14 al posto del 15):  

"11 APRILE, SABATO (...) Alle dieci preso il treno per Genova, più di cento miglia. Piacevole per qualche tempo. Attraversata una contrada piacevole. Molto popolosa e intensamente coltivata. Ci avviciniamo agli Appennini, paesaggio stupendo. Strade costruite con grande abilità e alto costo. Numerosi finché arriva il grande tunnel - lungo due miglia - Arrivato a Genova con la pioggia alle tre del pomeriggio. La valigia è caduta dalle spalle di un facchino maldestro. Ho avuto paura di guardare cos'era successo agli oggetti di Kate.
Sono sceso all'Hotel Feder sul lungomare. Passeggiato per la Strada Nuova. I palazzi son meno belli di quelli di Roma, Firenze e Venezia. Una caratteristica sono i dipinti di architetture invece che della realtà. Ogni sorta di elaborata architettura è rappresentata negli affreschi - Il detto di Machiavelli secondo il quale l'apparenza della virtù può essere vantaggiosa quando la realtà lo sarebbe meno - Strade come quelle di Edimburgo, soltanto soltanto più erte e aggrovigliate.
Mi sono arrampicato per una di esse per via del paesaggio - mangiato alla table d'hote. Bella sala. L'hotel occupa un antico palazzo. A sera a spasso lungo la passeggiata presso il porto. Hotel di molti piani. La torre dell'Hotel Croce di Malta. Vista sulle colline in lontananza.
12 APRILE, DOMENICA. - Fatto colazione al caffè. Cioccolata. Alla passeggiata pubblica sui bastioni. Si guarda all'ingiù. Soldati. Una brigata di uomini tutt'altro che eleganti. Alla Cattedrale. Marmi bianchi e neri in disposizione alternata. Il bassorilievo a "graticola" - bello l'interno. Torre. Il Palazzo Ducale. Tutti in piazza. Schiere di donne. L'acconciatura genovese. Ondine e fanciulle della Nobbia. Semplice e grazioso. Ricetta per rendere attraente una donna senza particolari doti. Preso l'omnibus (2 soldi) fino all'estremità del porto. Il faro (alto 300 piedi). Ci sono salito. Vista superba. La costa verso il sud. Un promontorio. Tutta Genova e le sue fortezze, la loro esterna solitudine. La desolazione, l'aspetto selvaggio delle valli che intercorrono sembrano fare di Genova la capitale e il campo fortificato di Satana; fortificato contro gli Arcangeli. Le nuvole di che si addensano sui bastioni sembrano immaginarie. Sono andato sulla parte orientale del porto e ho cominciato il giro della terza linea di fortificazioni. I bastioni guardano a picco sul mare aperto, arcate lanciate sugli scoscendimenti. Bei paesaggi di parti della città. Su e su. Penitenziario per galeotti. Le grate si aprono sulla vista del mare - sull'infinita libertà. Ho continuato sempre il giro. Bloccato. Andato alla passeggiata pubblica. Mi sono arrampicato per un sentiero scosceso fino ad una chiesetta (bella vista del mare dal portico). Di là più in alto e sono giunto ai bastioni. Magnifica veduta della valle profonda che sta dall'altra parte - di Genova e del mare. Su e su, sempre più bello, fino a che ho raggiunto la vetta. Ho visto le due vallate intorno ed il crinale nel quale si congiungono per formare il sito delle fortezze più alte. Grande popolosità di queste vallate. Solitudine di alcune delle fortezze più in alto. I terreni inclusi nella terza linea di fortificazione. Vallette scoscese prive di vegetazione. Polveriere solitarie. Desolato come una valletta dell'altopiano di Scozia. Disceso con grande fatica attraverso un sentiero irregolare e giunto presso Palazzo Doria. Un greco vicino a me. Di fronte a me delle persone che ridono sguaiatamente. Passeggiata al porto. Mi sono fermato con il greco al caffè-giardino. Bel posto con fontane, archi eccetera. A letto alle otto e mezza. Per tutto il giorno sembrava che stesse per piovere, ma ha tenuto.
14 APRILE, LUNEDI'. - Cioccolata a caffè. Antico muro della dogana. Ho visitato i palazzi. Stile differente da quelli di Roma. Grandi atrii che precedono cortili. Ma vedi la guida. Mi hanno mostrato in gran fretta alcuni palazzi, il Palazzo Rosso in particolare. Vento forte. Presto in albergo, risultato dello sforzo di ieri.
A pranzo ho incontrato il Commissario del "Constitution". A letto alle otto.
15 APRILE (14 APRILE), MARTEDI'. - Ho preso il treno alle sei antimeridiane diretto ad Arona sul Lago Maggiore. Ho incontrato il tenente Fauntleroy alla stazione. Piacevole viaggio attraverso un paese nuovo. Alle due del pomeriggio imbarcato ad Arona su un piccolo vapore (...)."

Un appunto: l'hotel Feder di cui parla Melville era ospitato in Palazzo Emanuele Filiberto di Negro in Via al Ponte Reale angolo Sottoripa (trovate la sua descrizione alla pagina de i PALAZZI privati (prima parte)).


48. Mark Twain

(Florida, Stati Uniti d'America, 30 novembre 1835 - Redding, Stati Uniti d'America, 21 aprile 1910)


Mark Twain nel 1895 in una foto di Napoleon  Sarony


Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens, autore di due dei libri che più ho amato nella mia infanzia "Le avventure di Huckleberry Finn" e "Le avventure di Tom Sawyer", per citarne solo due, giunse a Genova nel 1867 e soggiornò all'Hotel Croce di Malta (vi rimando al paragrafo dedicato alla Torre dei Maruffo alla pagina de le TORRI di GENOVA per approfondire la storia di questo luogo e della torre che lo ospitava in parte).
Twain così descrive Genova, da lui definita “Città dai bei palazzi”:
“Essa è proprio piena di belle dimore, e queste dentro sono sontuose, anche se esternamente molto malandate e senza pretese di grandiosità architettonica. Molte di esse hanno spessi muri, con grandi scalinate di pietra, pavimenti tassellati di marmo […] e grandiosi saloni con alle pareti dipinti di Rubens, Reni, Tiziano, Veronese, e ritratti di capostipiti della famiglia in elmi piumati e splendide armature, e di patrie in stupefacenti vestiti di secoli fa.” Twain continua dicendo che “Genova la Superba, sarebbe un titolo indovinato se si riferisse alle sue sensuali donne”.
Mark Twain è letteralmente rapito dalla bellezza delle donne genovesi che osserva passeggiando nei grandi spazi pubblici genovesi dell'ottocento come i Giardini dell'Acquasola (vi rimando al paragrafo ad essi dedicato alla pagina de gli EDIFICI pubblici per approfondire la loro storia).
Chissà se poi il nostro Mark abbia conquistato il cuore di qualche fanciulla genovese, non lo sapremo forse mai, di certo conosciamo tutti un suo famoso aforisma in cui il letto è definito come "il posto più pericoloso del mondo in quanto vi muore solitamente l’80% della gente". 


49. Friedrich Nietzsche

(Rocken, Germania, 15 ottobre 1844 - Weimar, Germania, 25 agosto 1900)

Friedrich Nietzsche nel 1875, pochi anni prima di giungere a Genova

Il filosofo tedesco visse a Genova in una soffitta in Salita delle Battistine al civico 8 dal 1880 al 1883. Si dice fosse benvoluto dal gente che lo soprannominava "Il Santo".
Qui iniziò a scrivere "Ecce homo" e "Così parlò Zarathustra". Alla città dedicò anche alcune liriche.
Una targa commemorativa affissa in facciata della casa dove abitò, oggi purtroppo andata distrutta, così recitava:

IN QUESTA MODESTA CASA
DOMINANTE LA CITTA' E IL MARE
 DI COLOMBO E DEI DORIA
TROVO' SERENO RIPOSO E TUMULTO DI IDEE
FEDERICO NIETZSCHE
NEGLI ANNI 1880-81-82-83
GENOVA GLI APPARVE
PIONIERA ARDITA
DI PENSIERO E DI AZIONE

Vi era anche seconda targa, anch'essa andata perduta, posizionata sempre in Salita delle Battistine ma questa volta all'altezza del civico 1, che così recitava:

SU PER QUESTA STORICA SALITA
NEL SUO ERRABONDO PEREGRINARE
TRA IL 1880 E IL 1883
SI ARRAMPICO' ANCHE
FRIDRICH NIETZSCHE
TROVANDOCI ALLOGGGIO E PACE
PER LAVORARE
ALL'"ECCE HOMO"
E AL "COSI' PARLO' ZARATHUSTRA"
RICEVENDO NELLA STANZA
AL CULMINE DEL TETTO
GLI AMICI
 PAUL REE E LOU ANDREAS SALOME'


50.  Oscar Wilde

(Dublino, Irlanda, 16 ottobre 1854 - Parigi, Francia, 30 novembre 1900)

Oscar Wilde nel 1882 in una foto di Napoleon Sarony

Oscar Wilde visita Genova due volte. La prima volta nel 1877 quando,  in un viaggio verso la Grecia, fa tappa a Genova dove rimane affascinato dai "palazzi di marmo affacciati sul mare".
La seconda volta che verrà a Genova sarà invece nel 1899 per far visita alla tomba della moglie Constance a Staglieno.


51. Constance Mary Lloyd

(Dublino, Irlanda, 2 gennaio 1849 - Genova, 7 aprile 1898)

Constance Mary Lloyd con suo figlio Cyril


Constance Mary Lloyd, ricordata da più per esser stata la moglie di Oscar Wilde, irlandese, scrittrice, giornalista, soggiorna in albergo a  Nervi nel 1897 e poi a Bogliasco a Villa Elvira, lungo la Via Aurelia. L'Italia ed in particolare la riviera ligure diventa il luogo di rifugio per sè ed i suoi figli Cyril e Vyvyan, dopo la separazione dal marito a seguito dello  scandalo per la sua omosessualità.
Morirà il 7 aprile 1898 e sarà seppellita nel Cimitero Monumentale di Staglieno. Oscar Wilde, che verrà a Genova nella primavera del 1899 a portare un fiore sulla tomba della moglie, così dira: "E' stato tragico vedere il suo nome scolpito su una tomba. Il suo cognome: il mio nome non era menzionato, naturalmente. Solo Constance Mary, figlia di Horace Lloys Q.C. Le ho portato alcuni fiori, ero emotivamente molto colpito, e mi resi conto dell'inutilità di tutti i rimpianti". Sotto la croce in marmo  della tomba a Staglieno di Constance sarà aggiunta qualche anno la scritta "wife of Oscar Wilde".


52. Guy de Maupassant

(Tourville-sur-Arques, 5 agosto 1850 - Parigi, 6 luglio 1893)


Guy de Maupassant (foto di Gaspard-Felix Tournachon, conosciuto con lo pseudonimo di "Nadar")


Guy de Maupassant visitò Genova nel 1889. Dopo essersi imbarcato a Cannes sul suo panfilo "Bel Ami II"...

(...continua)



53. Anton Pavlovich Cechov

(Taganrog, Russia, 29 gennaio 1860 - Badenweiler, Germania, 15 luglio 1904)

Anton Pavlovich Chekhov all'età di 29 anni

Lo scrittore e drammaturgo russo visitò Genova nel 1894 quando aveva 34 anni, in un viaggio che lo aveva già portato in giro per il nord Italia a Trieste, Venezia e Milano. Cechov arrivò in treno e scese alla stazione di Principe da dove iniziò la sua visita del centro di Genova, città che gli rimarrà nel cuore.
Nel suo dramma teatrale "Il Gabbiano", scritto nel 1895, c'è un dialogo che ha quale protagonista la nostra città:

"Medvèdenko: Mi consenta di chiederle, dottore, quale città straniera le è piaciuta di più?
Dorn: Genova.
Trepliòv: Perchè Genova?
Dorn: C'è una meravigliosa folla nelle sue strade. Quando esci, la sera, dall'albergo, sono tutte gremite di gente. Ti muovi in mezzo alla folla senza una meta, su e giù, a zig zag, vivi della sua vita, ti fondi con essa psichicamente e cominci a credere che in realtà sia possibile un'unica anima universale. Genova è la città più  bella del mondo."

Una curiosità su quest'opera teatrale: essa fu rappresentata per la prima volta  nel 1896 al Teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo e fu un insuccesso clamoroso tanto che si racconta che la protagonista Nina, così tanto intimidita dall'ostilità del pubblico, perse la voce e Cechov abbandonò la platea prima della fine della rappresentazione seguendo gli ultimi due atti da dietro le quinte. Due anni dopo l'opera fu rappresentata a Mosca al Teatro d'Arte: questa volta  fu invece un trionfo.
Nei parchi di Nervi è stato piantato un ciliegio in ricordo del soggiorno di Cechov a Genova ("Il giardino dei ciliegi" è il titolo dell'ultimo lavoro teatrale di Cechov).



54. Paul Klee

(Munchenbuchsee, Svizzera, 18 dicembre 1879 - Muralto, Svizzera, 29 giugno 1940)

Paul Klee con le sue opere

Il pittore svizzero Paul Klee viaggia attraverso l'Italia tra l'autunno del 1901 e la primavera dell'anno seguente. In questo periodo visiterà anche Genva che così descriverà: "Case alte, fino a tredici piani, vie strettissime nella città vecchia (...), di sera una fitta folla, durante il giorno quasi solo bambini. I loro panni sventolano come bandiere di una città in festa. Cordicelle tese da una finestra e quella di fronte. Durante la giornata sole pungente in quelle viuzze, riflessi metallici del mare, dovunque una luce abbagliante. Con tutto questo, le note di un organetto, un mestiere pittoresco. Attorno bambini che ballano. Il teatro nella realtà. Ho portato molta malinconia oltre il Gottardo. Dioniso non ha effetti semplici su di me." Diario italiano (ottobre 1901 - maggio 1902)


55. Albert Einstein 

(Ulma, Germania, 14 marzo 1879 - Princeton, New Jersey, Stati Uniti d'America, 18 aprile 1955)


La targa marmorea posizionata in Piazza delle Oche che ricorda il soggiorno di Einstein a Genova 

Tra Soziglia e le Vigne, nella piccola Piazza delle Oche (toponimo che ricorda l'antica  vocazione agricola della zona) nel 2017 è stata affissa una targa in marmo che ricorda che qui soggiornò all'età di 16 anni Albert Einstein, ospite della zio, Jacob Koch.
Albert, dopo esser stato bocciato all'esame di ammissione al Politecnico di Zurigo, era partito a piedi da Monaco direzione Pavia.  Qui suo padre Hermann con il fratello Jacob aveva costruito una fabbrica di apparecchiature elettriche: solo due anni dopo, nel 1896, furono costretti a cessare l'attività a causa di una crisi che portò al fallimento della ditta. Hermann si trasferirà a Milano, dove aprirà una piccola fabbrica di dinamo e dove risiederà fino alla morte (Hermann Einstein fu seppellito al Cimitero Monumentale di Milano e la sua tomba si trova nel Civico Mausoleo Palanti).
Albert, dopo aver attraversato, sempre a piedi e sempre con il suo inseparabile violino, la Val Trebbia, raggiunge a Genova l'altro zio Jacob, il fratello di sua mamma, commerciante all'ingrosso di grano, che nel palazzo in Piazza delle Oche aveva casa e ufficio.
Al piano terreno di questo palazzo c'era (e c'è tuttora) il negozio di dolci di "Pietro Romanengo fu Stefano" (trovate la sua storia nella pagina dedicata a le BOTTEGHE storiche), per un ragazzino era come essere nel paese dei balocchi!
A Genova rimase qualche mese e con lo zio visitò anche la riviera.
Molti anni dopo, in una lettera scritta alla sua amica Ernestina Marangoni in un italiano incerto, così ricorderà questo periodo: "I mesi felici del mio soggiorno in Italia sono le più belle ricordanze".


Un giovane Albert Einstein



56. Buffalo Bill

(Le Claire, Iowa, Stati Uniti d'America, 26 febbraio 1846 - Denver, Colorado, 10 gennaio 1917)

Buffalo Bill fotografato nel 1903

Il colonnello William Frederik Cody, da tutti conosciuto con lo pseudonimo di Buffalo Bill, leggendario eroe del west, giunse a Genova il 13 marzo 1906.
Mio nonno, all'epoca bambino, ricordava, come un sogno, di aver assistito al suo spettacolo intitolato "Buffalo Bill's Wild West" che si era svolto nella spianata del Bisagno (quella che sarebbe diventata poi Piazza della Vittoria). Tra le attrazioni, la ricostruzione di un viaggio Sioux con tanto di tende ma anche assalti alla diligenza, battaglie tra indiani e cowboys, spettacoli con amazzoni e prove di destrezza con armi e lazos per catturare cavalli selvaggi o  fuorilegge.
L'arrivo di Buffalo Bill in città non passò certo inosservato: le cronache dell'epoca ci raccontano che arrivarono dalla Francia, dove aveva già fatto il suo spettacolo, alla stazione di Terralba a mezzogiorno del 13 marzo quattro treni con in tutto cinquantanove vagoni, mille uomini e circa cinquecento cavalli!
Il grande convoglio si muove da Terralba fino alla spianata del Bisagno sotto gli occhi increduli dei passanti.
Il 14 marzo  nel pomeriggio ci fu la prima rappresentazione.
Prezzo del biglietto? 1 lira e 20 per i posti di seconda serie e 6 lire per i palchi, non certo a buon mercato. Molti genovesi evitarono l'esoso esborso godendosi lo spettacolo dall'alto delle Mura di Santa Chiara o dai piani alti delle case nei pressi della spianata.
Gli spettacoli si susseguirono per tre giorni e l'ultimo si tenne alle ore 20 del 16 marzo 1906.
La partenza di Buffalo Bill lasciò molti ricordi nei genovesi ed in particolare nei giochi dei bambini che vedevano sempre più protagonisti cowboys e indiani.
Di seguito ecco alcune immagini di questi giorni genovesi di Buffalo Bill:
















57. Nicola I di Russia

(Carskoe Selo, Russia, 6 luglio 1796 - San Pietroburgo, Russia, 2 marzo 1855)

Franz Krüger - Ritratto dell'imperatore Nicola I

Lo zar Nicola I Romanov, imperatore di Russia dal 1825 fino alla sua morte, visitò Genova il 19 ottobre 1845.
Nella nostra città fece una breve sosta  nel suo viaggio verso Palermo dove giunse il 23 ottobre di quell'anno. Quel viaggio era stato voluto per curare la salute cagionevole della moglie, Carlotta di Prussia, a cui i medici avevano consigliato questa città dalle miti temperature.
Qui lo zar si fermò una quarantina di giorni, mentre la zarina si trattenne in Sicilia tutta la stagione invernale.


58. Napoleone III di Francia

(Parigi, Francia, 20 aprile 1808 - Chislehurst, Inghilterra, 9 gennaio 1873)

Napoleone III, imperatore dei Francesi, fotografato dalla Mayer & Pierson nel 1860 circa

Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, figlio terzogenito del re d'Olanda Luigi Bonaparte  (fratello di Napoleone Bonaparte) e di Hortense de Beauharnais,  Presidente della Repubblica Francese dal 1848 al 1852 e Imperatore di Francia dal 1852 al 1870 con nome di Napoleone III (la sua incoronazione avvenne il 2 dicembre, stesso giorno in cui fu incoronato imperatore lo zio), giunse a Genova il 12 maggio 1859.
Ad attendere l'imbarcazione "Regina d'Ortensia", dalla quale sbarcherà l'Imperatore, ci sono Cavour ed Eugenio Emanuele di Savoia, principe di Carignano.
Rimane nella nostra città per due giorni prima di dirigersi verso il Piemonte dove vi era il suo quartier generale. Una ventina di giorni prima, il 26 aprile, era sbarcati a Genova 100.000 soldati francesi accolti con euforia dai genovesi.


59. Elisabetta di Baviera "Sissi"

(Monaco di Baviera, Germania, 24 dicembre 1837 - Ginevra, Svizzera, 10 settembre 1898)

Franz Xaver Winterhalter, Ritratto dell'imperatrice Elisabetta d'Austria in abito da ballo

Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, a tutti noi nota come la principessa "Sissi", moglie di Francesco Giuseppe d'Austria e come sua consorte Imperatrice d'Austria, regina apostolica d'Ungheria e regina di Boemia e Croazia, giunse a Genova il 26 marzo 1893.
Un cronista del Secolo XIX segue in incognito la principessa e così descrive il suo soggiorno: "Iersera, col diretto 1, giunto alla stazione di Piazza Principe alle 6,10, arrivò tra noi l'imperatrice Elisabetta d'Austria, proveniente da Milano. Sua Maestà viaggiava  nel più stretto incognito e sotto il nome di Lady Parker".
Sissi, dopo esser giunta in stazione, si diresse in porto dove, al Molo Giano, era ormeggiato lo yacht a ruote "Miramar" (si trattava di una "nave avviso" con due cannoni da 90 mm e con circa 160 uomini di equipaggio armati con carabine, revolver e sciabole), con una lunghezza fuori tutto di 92,71, che la accompagnava nei suoi viaggi nel Mediterraneo ed in particolare in questi primi mesi del 1893 a Maiorca, Barcellona, Genova, Portofino, Napoli e Corfù. Lo yacht, costruito nei canteri Samuda Brothers a Poplar, Londra, e varata l'otto gennaio 1872, fu chiamato "Miramar" come lo Schloss Miramar (il castello Miramare) di Trieste costruito tra il 1856 ed il 1860 per volere dell'arciduca Massimiliano d'Asburgo-Lorena.
Il cronista del giornale genovese così continua raccontando il giorno successivo al suo arrivo: "dopo la colazione a bordo, l'imperatrice mandò alle 11 il suo cameriere a fare acquisto di una guida di Genova, e un'ora dopo, accompagnata dalla sua dama di compagnia, dal suo professore di greco, scese a terra (...) Nessuno fece caso al suo passaggio. Si diresse verso il centro della città, fino alla chiesa dell'Annunziata dove entrò e si trattenne parecchio (...) S.M. vestiva di tibet nero, con una cintura di seta pure nera, aveva in testa un cappello nero (...) calzava stivalini fortissimi alla touriste".
Dopo essersi trattenuta parecchio tempio nella Basilica della Santissima Annunziata del Vastato (e come darle torto!), Sissi sale in Corso Carbonara, per far visita allo scultore Domenica Carli che lì aveva il suo studio, poi in Circonvallazione a Monte e giù per Via Montalsod per arrivare a Staglieano.
Così continua il cronista del Decimonono: "Nel cimitero si fermava con compiacenza ad ammirare le opere di Monteverde, Villa, Saccomanno, Sclavi, Carli, Moreno, Fabiani (...) Dinanzi al Monumento di Giacomo Carpaneto dello Scanzi, raffigurante una barca con un angelo, fece copiare sul suo taccuino l'epigrafe "Avventurato chi nel mar della vita ebbe nocchiero si fido". Chiese l'indirizzo dello studio dello scultore (...) Ritornò in città con una vettura chiusa (...) In via Roma nel negozio filogranista signor Savelli, fece diversi acquisti e, dopo essersi fermata alquanto nell'offelleria Ferro e Cassanello in piazza De Ferrari, scese in via Orefici, entrando a far spese nella pasticceria della vedova Romanengo".
Le cronache dell'epoca (oltre al "Secolo XIX" anche "Il Caffaro" racconta il soggiorno della principessa a Genova) ci raccontano che, prima di lasciare Genova, la principessa Sissi si fa portare in carrozza a Sestri Ponente fino alla chiesa di San Giovanni Battista. Lì scende e a piedi raggiunge il Santuario di Nostra Signora del Gazzo. Ancora oggi un'iscrizione in facciata del vecchio hospitale dei pellegrini, dettata sul finire del diciannovesimo secolo da Angelo Boscassi, archivista del Comune di Genova, ricorda il fatto:

PERCHE' NON CADA NELL'OBLIO
L'AUGUSTA VISITA QUI FATTA IL 29 MARZO 1893 DALLA PIISSIMA IMPERATRICE REGINA ELISABETTA D'AUSTRIA UNGHERIA
ALCUNI DEVOTI DI QUESTO SANTUARIO
POSERO IL PRESENTE RICORDO

In ultimo, non posso che consigliarvi, se volete approfondire la storia del soggiorno di Sissi a Genova il libro "Una rapida ebbrezza. I giorni genovesi di Elisabetta d'Austria", scritto dall'amico Vittorio Laura e da Massimo Sannelli, dove troverete, minuziosamente descritto, il resoconto di questa vacanza principesca.


60. Elisabetta II d'Inghilterra

(Londra, Inghilterra, 21 aprile 1926 - Castello di Balmoral, Scozia, 8 settembre 2022) 


Queen Elisabeth II giunse a Genova insieme al Principe Filippo il 16 ottobre 1980 in una grigia giornata di pioggia. 
Nonostante il meteo, furono moltissimi i genovesi che seguirono la sovrana lungo le strade o affacciati alle finestre al suo passaggio.
La regina visitò Palazzo Tursi con l'allora sindaco di Genova Fulvio Cerofolini e sempre lì potè ascoltare il Maestro Renato De Barbieri che suonò il violino di Paganini, il mitico "Cannone".


La visita della Regina comprese anche la Prefettura e Palazzo Gio. Agostino Balbi nell'omonima via al civico 1 dove la Marchesa Carlotta Cattaneo Adorno, padrona di casa, offrì alla sovrana un caffè senza latte, preferito da quest'ultima al tradizionale the in quell'occasione. Lì potè ammirare la splendida collezione d'arte ancora oggi conservata in questo palazzo purtroppo non aperto al pubblico.
Il Principe Filippo visitò anche la Marconi a Sestri Ponente.
Pare che la Regina a fine giornata abbia bisbigliato "How many steps are there?" e come le si può dare torto: a Genova le scale e gli scaloni non mancano di certo!
Nei due video che seguono eccovi un riassunto della giornata genovese della Regina Elisabetta e l'intervista alla Marchesa Cattaneo Adorno che racconta quella storica giornata:








61. Guglielmo Marconi 

(Bologna, 25 aprile 1874 - Roma, 20 luglio 1937)


Guglielmo Marconi con la moglie Cristina
 e la figlia Elettra intorno al 1935


Guglielmo Marconi, a bordo della sua nave-laboratorio "Elettra", eseguì molti esperimenti nel Mar Ligure ed in particolare nel Golfo del Tigullio che per questo motivo da alcuni è anche chiamato "Golfo Marconi".
Il 26 marzo 1930, dal suo laboratorio all'interno dell'Elettra, ormeggiata nel Porto di Genova al Porticciolo Duca degli Abruzzi, alle ore 11:03 Marconi con un segnale radio accende l'illuminazione del Municipio di Sidney in Australia, distante 22.000 km, inaugurando così a distanza la Mostra Elettrica di Sidney. Dall'Australia via radio arriva il seguente messaggio: "Splendido, splendido. Migliaia di persone acclamano Marconi. Congratulazioni da tutti noi.".
Ecco Marconi nel suo laboratorio:



Nel filmato di seguito, il giornale Luce A0542 del marzo 1930,  sono documentati i fatti, buona visione!





62. Bartolomeo Pagano 

(Sant'Ilario Ligure, 27 settembre 1878 - Genova, 24 giugno 1947)

Bartolomeo Pagano (1878-1947)


Nato a Sant'Ilario Ligure il 27 settembre 1878, Bartolomeo Pagano lavorava come camallo nella vicina Nervi.
Il suo soprannome "Maciste" nasce nel 1914 quando nel film "Cabiria"  il Pagano interpreta questa parte: da lì al 1926 saranno ben 20 i film con Maciste, dal "Maciste" del 1915 al "Maciste nella gabbia dei leoni" del 1926.
600.000 lire all'anno, quello che il Pagano riusciva a guadagnare con il suo personaggio Maciste.
La sua carriera cinematografica finirà nel 1929 con il film "Giuditta e Oloferne".
Triste sarà poi il suo destino: fermato dall'artrite rematoide che lo costringerà a vivere gli ultimi anni sulla sedia a rotelle, Pagano morirà nel 1947 per un arresto cardiaco all'età di 68 anni.


63. Gli eroi della "London Valour"

Ogni anno, il 9 aprile, alle 14:25 precise, le sirene delle navi nel porto di Genova suonano all'unisono per ricordare una tragedia avvenuta poco distante dal quartiere della Foce: il naufragio del mercantile inglese "London Valour".
Era il 9 aprile 1970 e su Genova si abbatte una fortissima libecciata "e le ancore hanno perduto la scommessa  e gli artigli (così cantava Fabrizio de André nella sua "Parlando del naufragio della London Valour").
La nave mercantile, varata nel 1956 e battente bandiera inglese, era salpata dal porto russo di Novorossisk con un carico di 23.606 tonnellate di cromo in direzione di Genova. Arrivata nei pressi del nostro porto il 7 aprile, la nave gettò l'ancora, in attesa dell'ormeggio, a circa 1.300 metri dall'imbocco della diga a levante e lì, il 9,  fu sorpresa da una forte libecciata che stava colpendo Genova: l'ancora cominciò a perdere presa sul fondo e in breve il mercantile, i cui motori erano fuori servizio perché in manutenzione, andò a sbattere contro gli scogli posti a protezione della diga. I soccorsi furono immediati ma le condizioni proibitive del mare,  unite al fatto che la nave dopo poco si spezzò in due tronconi, fecero sì che ventidue persone dell'equipaggio, compresi il capitano e sua moglie, persero la vita. Furono invece trentasei coloro che riuscirono a salvarsi grazie agli eroi genovesi che decisero di rischiare la propria vita per salvarli.
Il pronto intervento della motovedetta CP 233 della Capitaneria di Porto di Genova, che contribuì a salvare 26 persone, fu un'operazione molto difficile, a causa delle condizioni proibitive dell'ambiente in cui si svolgeva, che mise in pericolo le vite di coloro che erano a bordo della stessa motovedetta ossia  il tenente di vascello Giuseppe Telmon ed i suoi sette uomini dell'equipaggio (tutti poi insigniti con la Medaglia al valore di Marina, d'oro per il comandante e d'argento per i suoi uomini).
Un altro eroe è parimenti da ricordare: si tratta del comandate del dipartimento aereo dei Vigili del Fuoco di Genova Rinaldo Enrico il quale, mettendo a rischio la propria vita, si levò in volo con un elicottero AB 47 G, il "libellula", e riuscì nell'impresa di lanciare salvagenti ai superstiti che in mare richiavano di annergare in balia delle onde. A lui fu conferita la medaglia d'oro al valor civile e ancora oggi una targa in dialetto genovese nel borgo di Vernazzola ricorda il suo gesto.
In ultimo non possiamo non ricordare Giovanni Santagata, membro del Corpo Piloti del Porto di Genova, che, a bordo della pilotina "Teti", coordinò i soccorsi riuscendo nell'impresa di salvare cinque naufraghi. A Santagata venne in seguito conferita la medaglia d'argento di Benemerenza Marinara.
La nave rimase incagliata con una parte affiorante per un anno. Si decise di portarla a largo e farla affondare in un luogo profondo affinché non fosse di intralcio alla navigazione. Non fu però raggiunto il punto prescelto perché la nave, trainata da rimorchiatori, a causa delle sue precarie condizioni, affondò  a 90 miglia dal porto dove, a 2600 metri di profondità, ancora oggi giace.
Non tutto però è andato perduto di questa nave: la ruota del timone, recuperata, fu donata al San Martino, ospedale dove furono curati i superstiti, mentre la campana della nave è conservata nella "Church of the Holy Ghost", la chiesa anglicana di Genova sita dietro Piazza Marsala. 
Quali furono le cause che portarono  a questa tragedia? 
Secondo la Corte Reale di Giustizia di Londra, che si pronunciò il 17 maggio 1972, il naufragio e la conseguente perdita della London Valour furono causati dall'errata condotta del Comandante Donald Marchbank Muir. Si era infatti deciso di approfittare della sosta in rada per alcuni lavori ai motori che quindi non erano pronti alla navigazione quando il 9 aprile la nave fu sorpresa dalla forte libecciata e rimase impotente in balia delle onde.
Nella stessa sentenza viene elogiato l'eroico comportamento di tutto il personale italiano che, rischiando la propria vita, aveva salvato trentasei persone dell'equipaggio. 


La London Valour in balia delle onde


La prima pagina de "La Stampa" (11 aprile 1970)




Prossimamente vi parlerò anche di...


Il dio romano Giano (foto di Antonio Figari)


Guglielmo Embriaco detto Testa di Maglio (1070 circa- ?)




- Simon Boccanegra, primo doge di Genova;
- Battistina Vernazza, mistica agostiniana figlia di Ettore,  fondatore dell'ospedale degli Incurabili;
- Anton Maria Maragliano, scultore seicentesco autore delle più belle sculture lignee delle Chiese di Genova;
- Raffaele De Ferrari, la moglie Maria Brignole De Ferrari e la loro agiata vita segnata da tristissimi eventi;




- Luca Cambiaso, uno dei più famosi pittori genovesi;

... e molti altri!


(continua...)






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2 commenti:

  1. 1785- Charles Duparty, magistrato francese:

    GENOVA "RAPISCE PER LA SUA BELLEZZA"

    1841- Alexandre Dumas, giornalista e scrittore francese, "corrispondente di guerra" per i Mille:

    Partendo da Cogoleto, Genova viene, per così dire, incontro al viaggiatore. Pegli, con le sue tre magnifiche ville, è una specie di sobborgo che attraversando Sestri Ponente si prolunga fino a San Pier d'Arena e costituisce un degno ingresso per una città che s'è data da sola il soprannome di Superba e che da sei o sette leghe già si scorge all'orizzonte, distesa in fondo al suo golfo con la noncurante maestà di una regina.

    1853- Jules Michelet, storico francese:

    Genova è la patria di gente geniale e aspra, nata per domare il mare e dominare le tempeste. Sul mare, in terra, quanti uomini avventurosi e di un'audacia saggia! Mazzini è genovese, e la costa ligure che diede alla repubblica francese il generale Massena, ha dato all'Italia il marinaio guerriero Garibaldi: razza forte, piccola e dura, dotata di un carattere d'acciaio, di non so quale punta adatta a penetrare il ferro.

    1871 -1945- Paul Valery. poeta, scrittore e aforista francese:

    Quel giorno non avrei mai creduto di arrivare fino al punto di sentirmi attratto fin dalle pietre delle vie di Genova, e di ripensare a quella città con affetto, come al luogo in cui avevo passato molte ore di quiete e di felicità.

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  2. Ciao Antonio, sono un tuo affezionato lettore.
    Oggi mi è capitato di passare per vico della Casana, e, attirato dalla curiosità, mi sono infilato nell'androne del civico numero 9. Ho parlato con una signora che vi abita, mi ha saputo solo dire che il palazzo appartiene alla famiglia Romanengo, quelli del negozio di dolci vicino, in Soziglia. Questi nel 1944 crearono una società con la famiglia Costa, la SCI (società di costruzioni immobiliari) poi fallita nel 1996. E' davvero molto poco lo so ma magari il mezzo busto riguarda un Romanengo, chissà :-)
    Se scopro altro ti faccio sapere.
    Saluti, Marco.

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