le ARTI MINORI a GENOVA

Questa pagina é dedicata alle "arti minori": con questo termine si indicano tutte le forme artistiche che differiscono dalla pittura, scultura ed architettura. Non è quindi da intendersi quale termine dispregiativo e, proseguendo la vostra lettura, potrete rendervene conto anche voi.
Il centro storico genovese era una fucina di idee dove abili artigiani, con la loro arte, creavano per le chiese o le dimore dei nobili genovesi mobilio, argenteria, ceramiche, laggioni (piastrelle decorate di origine moresca), statuine dei presepi e tanto altro. Vi erano poi forme d'arte minore per così dire "da esterno", quali i "risseu", che ancora oggi decorano i giardini genovesi o i sagrati delle chiese.


INDICE
1. Il "risseu"
2. I laggioni 
3. Le monete genovesi
4. Gli orafi e gli argentieri genovesi ("fraveghi")
5. I Sepolcri
6. Il presepe genovese
7. L'arredo urbano
8. La cucina genovese 

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1. Il "risseu"

Il "risseu" è una composizione fatta di ciottoli di pietra che orna i sagrati di molte chiese liguri, ma anche di piazze, giardini e strade.
Il genovese "risseu" significa proprio ciottolo.
A Genova sono rimasti pochi gli spazi urbani che ancora conservano segni di questa antica arte ligure.
Uno dei più noti e abili maestri del "risseu" nel Novecento fu Armando Porta, mosaicista per passione, morto alcuni anni fa, che portò il suo mestiere nel rifacimento del mosaico delle Turchine  a Palazzo Reale  o in Campo Pisano, per far due esempi noti.
Da piccino ebbi la fortuna di conoscere il maestro Porta, il quale insegnava calcio ai bambini che come me studiavano dai Gesuiti a Genova.
Sono ancor più felice quindi di poterVi mostrare alcune delle sue opere e di parlare di questa antica arte con la quale, con qualche semplice colore, il blu, il bianco e alcune volte il rosso dei ciottoli, venivano ornati spazi pubblici cittadini ma anche cortili di ville e palazzi nel centro storico di Genova.
Nei prossimi paragrafi troverete i luoghi dove ancor asi conservano a Genova i più pregevoli esempi di questa antica arte.

INDICE

1.1 Il "risseu" di Palazzo Reale (già nel Convento della Monache Turchine)
1.2 Il "risseu" di Campo Pisano
1.3 Il "risseu" di Palazzo del Principe
1.4 Il "risseu" di Palazzo Paolo Battista e Niccolò Interiano (Palazzo Interiano Pallavicini)
1.5 Il risseu" del Santuario della Madonnetta
1.6 Il "risseu" della chiesa di Santa Maria degli Incrociati
1.7 Il "risseu" del Santuario di Nostra Signora del Monte
1.8 Il "risseu" del monastero di Santa Chiara
1.9 Il "risseu" del chiostro del Santuario di Nostra Signora di Belvedere 
1.10 Il "risseu" dell'Oratorio dei Santi Nazario e Celso a Multedo
1.11 Il "risseu" della Certosa di Rivarolo
1.12 Il "risseu" della chiesa vecchia di San Gottardo
1.13 Il "risseu" della chiesa di San Siro di Struppa
1.14 Il "risseu" dell'antica chiesa di Nostra Signora della Neve a Bolzaneto


1.1 Il "risseu" di Palazzo Reale (già nel Convento della Monache Turchine)

Il risseu di Palazzo Reale è il rifacimento, eseguito dal Maestro Armando Porta, del risseu un tempo nel cortile del Convento delle Monache Turchine (per approfondire la storia di questo convento vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA). O meglio, per affidarci alle parole incise su una lastra in marmo posizionata accanto alla firma di Porta ai piedi del risseu, si tratta del "mosaico proveniente dal distrutto convento delle Turchine quivi ricostruito 1965 1966 da A. Porta".
Dopo un attento restauro del 2018 eseguito da Gabriele Gelatti, allievo del Maestro Porta, che ha permesso di ricostruire  alcuni dettagli andati perduti nel tempo, oggi il risseu si presenta più bello che mai con i suoi ciottoli bianchi e neri e qualche dettaglio a colori. Per osservarlo al meglio il mio consiglio è quello di affacciarsi dal terrazzo del primo piano nobile di Palazzo Reale che affaccia sul mare. Da lì avrete il risseu ai vostri piedi.
Nelle due foto qui di seguito ecco il risseu come si presentava nella sua collocazione originaria e come si presenta oggi visto dal terrazzo del primo piano nobile.


Il risseu come appariva un tempo nel cortile del convento delle Monache Turchine



Il risseu come si presente oggi a Palazzo Reale, visto dal terrazzo del piano nobile di Palazzo Reale
(foto di Antonio Figari)


Le figure rappresentate nel risseu includono scene tratte dalla vita quotidiana come un mugnaio, una scena di pesca, un pastore, animali domestici e selvatici, e figure mitologiche come la fenice (simbolo del sole), il centauro (simbolo della luna), e l'ippocampo (simbolo del mare).
Tra i disegni compare una data e precisamente "DIE XXIII IULY MDCCXXXVIII" ossia il 23 luglio 1739, data in cui questo mosaico di ciottoli fu completato ed inaugurato ( negli stessi anni venivano inaugurati il risseu al Santuario della Madonnetta e quello antistante l'Oratorio dei SS. Nazario e Celso come potrete leggere nei paragrafi seguenti).
Di seguito alcuni dettagli di questo risseu:


(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)



1.2 Il "risseu" di Campo Pisano

Campo Pisano, scenografica piazza del quartiere del Molo, sita tra Piazza Sarzano e l'antico seno di Giano, primo porto di Genova dove secondo la tradizione sbarcò il dio romano bifronte, ha un bellissimo risseu eseguito dal Maestro Porta e raffigurante un veliero ed intorno i simboli della quattro repubbliche marinare.
Vi rimando alla pagina de i FANTASMI di GENOVA per approfondire la storia di questa piazza e delle leggende che aleggiano su di essa.


Il "risseu" in Campo Pisano
(foto di Antonio Figari)


Un'altra immagine del "risseu" in Campo Pisano
(foto di Antonio Figari)


La firma di Armando Porta nel risseu di Campo Pisano
(foto di Antonio Figari)



1.3 Il "risseu" di Palazzo del Principe

Le due rampe antistanti il colonnato di Palazzo del Principe che conducono nel giardino all'italiana, al centro del quale troneggia la Fontana del Nettuno, commissionata da Giovanni Andrea I Doria ed eseguita da Taddeo Carlone, conservano una bella pavimentazione a ciottoli bianco e neri opera del Maestro Porta.


1.4 Il "risseu" di Palazzo Paolo Battista e Niccolò Interiano (Palazzo Interiano Pallavicini)

La parte più alta del giardino di palazzo Interiano è costituita da un terrazzamento con al centro una fontana ed intorno quattro aiuole dove crescono rigogliosi alcuni aranci ed altre piante da frutta. La pavimentazione dei vialetti che corrono intorno alle aiuole ed alla fontana è decorata da un risseu che si può facilmente osservare da Villetta di Negro. 


  

1.5 Il "risseu" del Santuario della Madonnetta

Nel cortile antistante l'ingresso del Santuario della Madonnetta, famoso per conservare al suo interno uno dei presepi più belli di Genova, vi è una splendida pavimentazione a ciottoli bianchi e neri.
Questo "risseu" è opera di Bartolomeo Storace e risale al 1732, come si legge nei ciottoli dinanzi al pozzo, posizionato dal alto opposto l'ingresso della chiesa.
Anche i lati de pozzo sono interamente ricoperti da ciottoli bianchi e blu.
Dietro di esso vi è una "Pietà", scultura opera di Domenico Parodi.
Al centro del risseu troneggia lo stemma degli Agostiniani Scalzi ed intorno varie composizioni.


1.6 Il "risseu" della chiesa di Santa Maria degli Incrociati

Durante i lavori per la costruzione della metropolitana di Genova, furono rinvenuti nella zona di Piazza Raggi, dove un tempo sorgeva la chiesa di Santa Maria degli Incrociati, i resti dell'antico risseu che ricopriva il sagrato della stessa.
Oggi questi resti sono visibili all'interno della stazione della metropolitana di Brignole.


1.7 Il "risseu" del Santuario di Nostra Signora del Monte

Il Santuario del Monte ha un sagrato interamente ricoperto da risseu.


Il sagrato del Santuario del Monte
(foto di Antonio Figari)



1.8 Il "risseu" del monastero di Santa Chiara

Il porticato davanti all'ingresso della chiesa all'interno del monastero di Santa Chiesa conserva un risseu eseguito nel 1654 su cartoni di Domenico Fiasella, autore anche di affreschi all'interno della chiesa stessa.
Il mosaico rappresenta episodi della Bibbia ed i simboli dei quattro evangelisti.


1.9 Il "risseu" del chiostro del Santuario di Nostra Signora di Belvedere 

Il piccolo chiostro del Santuario di Nostra Signora di Belvedere, unico testimone superstite della fase di costruzione duecentesca di questo complesso religioso, conserva l'antico ciottolato lungo tutto il camminamento coperto.


Il Chiostro del Santuario di Belvedere
(foto di Antonio Figari)



1.10 Il "risseu" dell'Oratorio dei Santi Nazario e Celso a Multedo

Davanti all'ingresso dell'Oratorio vi è un piccolo risseu con motivi simbolici e la data 1744.


1.11 Il "risseu" della Certosa di Rivarolo

Il chiostro della Certosa di Rivarolo conserva il risseu di 760 metri quadri, il più grande e antico della Liguria, costruito tra il 1546 ed il 1671.


La data del 1671 "disegnata" con i ciottoli del risseu
(foto di Antonio Figari)

Una tratto del risseu nel chiostro della Certosa di Rivarolo
(foto di Antonio Figari)


1.12 Il "risseu" della chiesa vecchia di San Gottardo

Il sagrato della chiesa vecchia di San Gottardo (così detta per distinguerla dalla moderna costruita negli anni '60 del novecento che le sorge accanto), in Val Bisagno, conserva un bel risseu risalente al diciannovesimo secolo. Nel 2019 si è provveduto ad un restauro che lo ha riportato all'antico splendore. Gli artigiani che hanno lavorato al restauro di questo antico risseu hanno utilizzato le tipiche pietre bianche (quarzo o calcite) provenienti dal greto del Bisagno e nere/verdi (serpentine) raccolte invece sulla spiaggia di Vesima, lo stesso materiale che venne utilizzato nell'ottocento da coloro che crearono questo risseu dai motivi geometrici che oggi ha riacquistato il suo antico splendore.
Vi rimando alla pagina de i SEGRETI dei VICOLI della GRANDE GENOVA per approfondire la storia di  questa chiesa.


1.13 Il "risseu" della chiesa di San Siro di Struppa

Il sagrato dell'antica chiesa di San Siro a Struppa conserva un risseu a quadrati bianchi e neri restaurato e riportato all'antico splendore nel 1988.


1.14 Il "risseu" dell'antica chiesa di Nostra Signora della Neve a Bolzaneto

L'antica chiesa di nostra Signora della Neve a Bolzaneto fu demolita nel 1960, dopo che venne costruita una nuova chiesa dallo stesso titolo nel 1956, inaugurata nel 1960.
Non tutto dell'antica chiesa andò distrutto: l'antico risseu del sagrato fu ricoperto da uno strato di cemento e divenne spiazzo per il posteggio delle auto dei condomini di un vicino condominio.
Nel 2017, prima dei lavori che trasformarono quello spazio occupato dal risseu in una strada, il Comune decise di intervenire e di ripristinare l'antico risseu ottocentesco spostandolo e ricomponendolo nel giardino di Villa Ghersi Carrega, sede del Municipio di Bolzaneto, dove oggi si può ammirare. 


La vecchia chiesa di Nostra Signora della Neve in un'immagine del primo Novecento




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2. I laggioni 

I laggioni sono piastrelle decorate a rilievo che decorano gli spazi interni di alcuni palazzi del centro storico di Genova ma non solo: il campanile di Sant'Agostino, unico nel suo genere, è decorato da queste piastrelle maiolicate.
Il termine laggione deriva dalla parola araba "Al Zuleja", parola che ha dato origine anche allo spagnolo "Azulejo" o al napoletano "Riggiola".
Essi sono silenziosi testimoni di quel "melting pot", di quella mescolanza di culture ed esperienze artistiche millenaria dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo.
E sono proprio i traffici di Genova nel Mediterraneo, in particolare con la Spagna, a far sì che questa nuova forma di arte arrivi nella nostra città.
In giro per i vicoli ci sono ancora alcuni palazzi e chiese che conservano queste splendide decorazioni di origine moresca.
Di seguito ecco dove potete trovarli in giro nei vicoli.

INDICE

2.1 Palazzo San Giorgio 
2.2 Palazzo Pinelli in Piazza Pinelli n. 2
2.3 Palazzo di Nicolò Spinola in Via San Luca n. 14
2.4 Palazzo Gentile in Vico delle Fasciuole 14 
2.5 Palazzo dei Fattinanti in Piazzetta Cambiaso n. 1 
2.6 Palazzo Di Negro in Piazza della Lepre n. 9
2.7 Palazzo in Vico del Campanile delle Vigne n. 7
2.8 Palazzo di  Domenico Grillo in Piazza delle Vigne n.4 
2.9 Palazzo Nicolò Spinola di Luccoli in Via Luccoli n. 23
2.10 Palazzo in Via Luccoli n. 26
2.11 Palazzo di Lazzaro Doria (poi di Andrea Doria) in Piazza San Matteo n. 17
2.12 Palazzo Orazio e Gio. Francesco De Franceschi in Via San Lorenzo n.19
2.13 Palazzo Giustiniani (Via Giustiniani 12) 
2.14 Palazzo in Via San Bernardo n. 10
2.15 Chiesa di Santa Maria di Castello
2.16 Campanile di Sant'Agostino
2.17 Museo di Sant'Agostino
2.18 Chiesa di Santa Maria della Cella e San Martino
2.19 Villa Borzino



2.1 Palazzo San Giorgio

I laggioni in questo palazzo ricoprono le pareti dello scalone e i pavimenti e parte dei muri della Sala del Capitano del Popolo. 



I laggioni della Sala del Capitano del Popolo di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

Mentre i laggioni dello scalone sono novecenteschi, la Sala del Capitano conserva molti antichi laggioni affiancati ai moderni.


I laggioni novecenteschi dello scalone di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)


2.2 Palazzo Pinelli in Piazza Pinelli n. 2

Palazzo Pinelli conserva spendidi laggioni nella loggia al primo piano: in alcuni di essi la decorazione ricorda i tondi fiorentini dei Della Robbia.

I laggioni di Palazzo Pinelli
(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)


Particolare dei laggioni di Palazzo Pinelli
(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)

2.3 Palazzo di Nicolò Spinola in Via San Luca n. 14

In questo palazzo sono conservati laggioni: purtroppo, nonostante sia entrato nel palazzo non sono ancora riuscito ad verificare dove essi si trovino, la loro qualità e la loro quantità.


2.4 Palazzo Gentile in Vico delle Fasciuole 14  

Superato il bel portale in pietra nera, si entra nel piccolo atrio da cui diparte lo scalone: lungo le pareti sono ancora conservati molti laggioni molto ben conservati. 
A differenza degli altri palazzi di cui vi parlo in questa pagina, i laggioni qui presenti non sono catalogati in nessun libro poichè pressochè sconosciuta è la loro presenza. Io stesso li ho scoperti per caso riuscendo ad entrare qui dentro nel gennaio del 2020.



2.5 Palazzo dei Fattinanti in Piazzetta Cambiaso n. 1

Questo palazzo, gravemente danneggiato nella Seconda Guerra Mondiale, conserva ancora l'antico portale e all'interno lo scalone e alcuni affreschi. Tra le bellezze rimaste in piedi ci sono anche alcuni laggioni conservati in cima allo scalone: pochi, in verità, ma di una grande varietà come potete osservare dalle foto.

I laggioni conservati in Palazzo dei Fattinanti
(foto di Antonio Figari)

Particolare dei laggioni di Palazzo dei Fattinanti
(foto di Antonio Figari)



Un altro particolare dei laggioni di Palazzo dei Fattinanti
(foto di AntonioFigari)


2.6 Palazzo Di Negro in Piazza della Lepre n. 9

Palazzo di Negro conserva una splendida decorazione a laggioni lungo tutto lo scalone e sulle pareti della loggia del primo piano.


L'ardesia nera e i laggioni lungo lo scalone di Palazzo Di Negro
(foto di Antonio Figari)


Gli scalini neri ed i colorati laggioni alle pareti
(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


I laggioni della loggia al primo piano di Palazzo di Negro
(foto di Antonio Figari)


Particolari dei laggioni della loggia al primo piano
(foto diAntonio Figari)


Particolare dei laggioni di Palazzo di Negro
(foto di Antonio Figari)


Particolare di altri laggioni in Palazzo di Negro
(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)



2.7 Palazzo in Vico del Campanile delle Vigne n. 7

In questo palazzo sono conservati alle pareti del piccolo atrio alcuni laggioni di diverse tipologie.
Da testimonianze orali di coloro che qui abitano ho appresso che un tempo qui i laggioni ricoprivano le pareti del piccolo atrio e dello scalone. La loro distruzione avvenne durante recenti lavori di restauro del palazzo quando non ne fu riconosciuta l'antichità e la preziosità e gli stessi furono scambiati per semplici piastrelle colorate. 

Particolare dei laggioni del Palazzo in Vico del Campanile delle Vigne n.7
(foto di Antonio Figari)



altri laggioni del Palazzo in Vico del Campanile delle Vigne n.7
(foto di Antonio Figari)



2.8 Palazzo di  Domenico Grillo in Piazza delle Vigne n. 4

Questo splendido palazzo, edificato nel 1545 per volere di Domenico Grillo in occasione del matrimonio di quest'ultimo con Nicoletta Imperiale, come ci ricorda un'epigrafe posta nell'atrio, conserva ancora alcuni laggioni tra le piastrelle in cotto di un piccolo vano sottoscala.




2.9 Palazzo Nicolò Spinola di Luccoli (Palazzo Franzone Spinola) in Via Luccoli n. 23 

Questo palazzo, sito in via Luccoli al civico 23, conserva alcuni laggioni incorniciati in due piccoli quadri appesi lungo lo scalone. 

I laggioni di Palazzo Nicolò Spinola di Luccoli
(foto di Antonio Figari)
  

2.10 Palazzo De Mari in Via Luccoli n. 26

Questo è forse il palazzo dove sono conservati quantitativamente e qualitativamente i più bei laggioni della Superba.
Una volta nell'atrio di questo palazzo c'era una simpatica vecchina che vendeva cesti di vimini, mestiere che aveva ereditato da suo padre. Quando ella decise di chiudere bottega, il portone, a seguito di illecite intrusioni, venne chiuso e i laggioni rimasero fruibili solo per i condomini del palazzo. Mi ha raccontato colui che mi ha fatto entrare che, approfittando della mancanza di controllo, è accaduto che alcune delle splendide piastrelle siano state smurate e sottratte. Non rimase quindi altra scelta che tenere chiuso il portone anche di giorno: ciò purtroppo, se da una parte preserva questo tesoro, dall'altra impedisce ai passanti di godere della bellezza di queste decorazioni di origine moresca.

(foto di Antonio Figari)

Particolare dei laggioni al primo piano
(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)





2.11 Palazzo di Lazzaro Doria (poi di Andrea Doria) in Piazza San Matteo n. 17

Il palazzo che fu del grande ammiraglio genovese conserva alcuni splendidi laggioni.



2.12 Palazzo Orazio e Gio. Francesco De Franceschi in Via San Lorenzo n. 19 

Detto palazzo conserva queste particolari decorazioni lungo tutto lo scalone: è uno dei palazzi dei vicoli, insieme a Palazzo De Mari e a Palazzo Di Negro, dove si sono conservate quantitativamente più laggioni di tutta Genova.

Le pietre nere dello scalone e i colori sgargianti dei laggioni
(foto di Antonio Figari)

I laggioni lungo lo scalone
(foto di Antonio Figari)




Particolare dei laggioni dello scalone
(foto di Antonio Figari)

Particolare dei laggioni dello scalone
(foto di Antonio Figari)



I laggioni al primo piano
(foto di Antonio Figari)


 
2.13 Palazzo Giustiniani (Via Giustiniani 12) 

Questo palazzo conserva alcuni laggioni lungo lo scalone.


Particolare dei laggioni d Palazzo Giustiniani
(foto di Antonio Figari)

Altro particolare dei laggioni d Palazzo Giustiniani
(foto di Antonio Figari)



2.14 Palazzo in Via San Bernardo n. 10

Le pareti dello scalone e della piccola loggia del palazzo al civico 10 di Via San Bernardo erano un tempo ricoperti di laggioni.  Oggi ne rimangono alcuni solo lungo la parete della loggia del primo piano.


I laggioni al primo piano del Palazzo in Via San Bernardo n. 10
(foto di Antonio Figari)



2.15 Chiesa di Santa Maria di Castello

In questa chiesa sono conservati, ai lati della Cappella Botto, lungo la navata laterale destra, laggioni a rilievo (cuenca) di origine spagnola, prodotti a Siviglia nella prima metà del XVI Secolo, sovrastati da piastrelle lisce italiane.
Le piastrelle italiane, risalenti alla prima metà del XVI Secolo,  che a differenza di quelle di origine spagnola sono lisce e non a rilievo, sono in parte a soggetto astratto ed in parte a soggetto sacro con le raffigurazioni di San Giovanni Battista sul lato sinistro e San Giorgio sul lato destro. Questi due soggetti sono stati ripresi dai maestri ceramisti da due dipinti dell'epoca non più esistenti.

Laggioni spagnoli in basso e piastrelle dipinte italiane nella parte alta
(foto di Antonio Figari)


Laggioni spagnoli in basso e piastrelle dipinte italiane nella parte alta
(foto di Antonio Figari)



Altri laggioni sono conservati nella Cappella dedicata a San Biagio, che si trova alla destra della Cappella Botto, questa volta per terra e purtroppo mal conservati, anche se alcuni fortunatamente hanno resistito ai secoli e possono essere ancora ammirati in tutta la loro bellezza.
Si tratta di un motivo decorativo molto particolare  nel quale sembrano come disegnati tanti piccoli ossi (non a caso questo motivo è denominato "heusos o tibia"), che troviamo solo in questa cappella dove si conservano settanta esemplari. Il luogo di  produzione di questi laggioni, risalenti alla fine del XV secolo, è l'area di Valencia.

I laggioni nella Cappella dedicata a San Biagio
(foto di Antonio Figari)

Particolari dei laggioni nella Cappella dedicata a San Biagio
(foto di Antonio Figari)



2.16 Campanile di Sant'Agostino 

Il campanile di Sant'Agostino, unico nel suo genere, è decorato da piastrelle policrome lungo tutta la sua cupola: l'effetto ottico è straordinario soprattutto quando il sole colpisce dette maioliche creando una particolare luce tutto intorno.
Alcune piastrelle sono poi conservate anche lungo le facciate.

Il campanile maiolicato di Sant'Agostino
(foto di Antonio Figari)

Alcuni laggioni in facciata al campanile di Sant'Agostino
(foto di Antonio Figari)





2.17 Museo di Sant'Agostino

Il Museo di Sant'Agostino ha una sezione dedicata ai laggioni: Vi consiglio una visita per godere della meraviglia di queste antiche piastrelle.


2.18 Chiesa di Santa Maria della Cella e San Martino

Dalla seconda cappella a sinistra a sinistra, attraverso due porte si accede alla cappella del Battistero, in origine cappella della famiglia Salvago. In questa grande stanza le pareti sono rivestite di laggioni.


2.19 Villa Borzino

Villa Borzino a Busalla, realizzata nel XX Secolo su progetto dell'architetto Giuseppe Crosa di Vergagni, conserva alcuni antichi laggioni nei rivestimenti interni di due camini monumentali del piano terreno. E' probabile che gli stessi provengano dai palazzi genovesi. Non era inusuale infatti il reimpiego di queste antiche piastrelle maiolicate in edifici otto-novecenteschi, dopo essere state staccate dalla loro sede originaria.


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3. Le monete genovesi

Il denaro, visto spesso solo come strumento, anche nella sua accezione negativa di "sterco del diavolo" come lo definiva San Basilio, è, nella sua fisicità, frutto di un lavoro di secoli e, osservando le monete che sono circolate nella nostra città, possiamo rendercene conto.
La potenza finanziaria genovese si esprimeva anche attraverso le sue monete che circolavano in tutto il mondo allora conosciuto. Non a caso il poeta e scrittore spagnolo Francisco de Quevedo così  raccontava l'oro ed il denaro: "Nelle Indie con onore nasce / e in giro dove il mondo l'accompagna / finisce per morir qui in Spagna /mentre a Genova qualcuno lo seppellisce".
Nei Musei di Strada Nuova e precisamente a Palazzo Tursi vi sono alcune sale dedicate alle monete genovesi dove poter osservare la sua evoluzione che ha seguito la storia politica della Superba. 
Una curiosità: se nel resto del mondo si tira la moneta dicendo "testa o croce" a Genova si dice "croce o griffo" (questo "perché nelle nostre monete antichissime da una parte era coniata una croce e dall'altra un grifo che opprimeva una volpe", come ci racconta il Casaccia nel suo dizionario).
Vi rimando ad un video sul mio canale YouTube per approfondire l'affascinante storia delle monete genovesi:





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4. Gli orafi e gli argentieri genovesi ("fraveghi")

Il documento più antico relativo alla storia degli orafi e degli argentieri genovesi risale al 1248 ed è conservato all'Archivio di Stato: si tratta di un atto notarile stipulato, presso la chiesa della Vigne, tra diciassette orefici che si impegnano a far credito d'oro, d'argento e pietre preziose solo a chi risulti iscritto all'Arte.
Le fonti scritte e la toponomastica cittadina ci raccontano ancora dove fossero ubicate, già, nel Medioevo le loro botteghe. I primi insediamenti sono a Campetto, citato in un documento del 1251 come "Campetus Fabrorum", il campetto dei "fabri" o, come vengono chiamati in genovese, con un termine derivante dal latino medievale, dei "fraveghi". Le loro botteghe si espandono poi verso Banchi, in quella che ancor oggi chiamiamo "Via degli Orefici" e che un tempo era denominata "Via degli Argentieri".
Altri due vicoli "Vico dell'Oro" e "Vico dell'Argento",  piccole traverse tra Via Lomellini e Via Cairoli, suggeriscono, nel loro nome, che anche qui vi fossero botteghe di fraveghi (in questo caso si pensa che fosse stata scelta questa zona poiché vicina alla Zecca cittadina che venne trasferita nel 1842 sopra il "Largo" che ancora oggi chiamiamo "della Zecca").
I "fraveghi", appellativo che con il passare del tempo identifica i maestri dell'Arte, marcano ogni prodotto che esce dalla loro bottega con un simbolo, una sorta di sigillo di qualità, lo stesso che veniva impiegato dalla Zecca di Stato per le proprie monete: è l'"imago civitatis" del castrum con il caratteristico castello che visivamente si presenta con tre piccole torrette. E' questo il motivo per il quale il marchio, o meglio il punzone, dei fraveghi genovesi è chiamato "torretta". Quest'ultima rimarrà sui prodotti dell'Arte fino alla soppressione ottocentesca voluta dal governo sabaudo nel 1824.
Eliminare la "torretta", marchio civico, sostituendola con il marchio sabaudo significava porre fine a quella dimensione cittadina che aveva caratterizzato l'Arte per quasi sei secoli. 
Il punzone della "torretta" lascia spazio alla sabauda croce dei SS. Maurizio e Lazzaro. 
Passo successivo fu la soppressione dell'Arte che avverrà nel 1844.
La memoria di questo antico mestiere rimane nelle tantissime opere che sono giunte fino a noi, nella toponomastica cittadina e in un cognome tipicamente genovese "Fravega" che richiama, come già sopra detto, la corruzione dal latino del nome "faber" o "fabricator". 
I fraveghi sono ricordati anche in un antico proverbio genovese che recita "I fraveghi conosciàn l'ou": solo che è nell'arte può ragionare di essa con facilità e con ogni intelligenza (a proposito di proverbi, se volete approfondire l'argomento, vi rimando alla pagina ad essi dedicata i PROVERBI genovesi dove ne ho raccolti quasi un centinaio). 
Le tantissime opere che sono arrivate fino a noi ci fanno capire quanto quest'arte si sia sviluppata a Genova: dalle grandi casse processionali conservate nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo agli oggetti liturgici come preziosi reliquiari o calici, ma anche tante opere destinate ai privati cittadini, soprattutto nobili, che volevano abbellire le loro case.
Meritano poi una menzione particolare i piccolissimi oggetti di oreficeria che abbelliscono i presepi genovesi. Si tratta di riproduzioni in miniatura di gioielli per i personaggi femminili, ma anche ornamenti per vestiti o per i cavalli del corteo dei Magi. Oltre alla bellezza intrinseca, queste opere in miniatura sono utili per farci capire il gusto dell'epoca: guardando una figura femminile in un presepe, possiamo osservare da vicino i gioielli che avremmo visto indossare ad una donna dell'epoca. Tra i tanti oggetti dei presepi, opera dei fraveghi, ci sono anche tre piccolissime monete d'oro in mano ad altrettanti personaggi intenti a fare l'elemosina a mendicanti (trovate la storia del presepe genovese e dei personaggi che lo animano al paragrafo 6 di questa pagina).


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5. I Sepolcri

Nelle chiese genovesi è tradizione, fin dal Medioevo, addobbare l'altare dove è esposta l'Eucarestia dopo la Liturgia pomeridiana del Giovedì Santo - la "Missa in Coena Domini"- con fiori, stoffe e fili d'erba. I chicchi di questi ultimi,  benedetti il 3 febbraio nel giorno di San Biagio, vengono seminati una ventina di giorni prima del Giovedì Santo e fatti germogliare all'ombra così da rimanere pallidi, più tendenti al giallo che al verde.
Questi altari, tradizionalmente detti "Sepolcri", si chiamano per l'esattezza "altari della Reposizione": sono così chiamati perché qui vengono riposte e conservate in un tabernacolo le ostie precedentemente consacrate che saranno distribuite ai fedeli il venerdì santo, nel pomeriggio, durante la celebrazione della Passione del Signore. Non sono dunque  altari con il sepolcro, ossia la tomba di Gesù, ma altari dove è conservata l'eucarestia. 
La liturgia vuole che questi altari non coincidano con l'altare ove usualmente viene risposto il SS. Sacramento, ossia gli altari maggiori della chiese.
Nella seconda metà del XVII Secolo si diffonde l'usanza di inserire nei sepolcri anche i "cartelami", figure dipinte su telai sagomati, generalmente di legno. Oggi purtroppo questa tradizione è quasi del tutto scomparsa anche se cartelami sono ancora presenti in chiese come la Basilica delle Vigne a Genova e in alcune chiese del ponente ligure.
In alcune chiese fino al XIX secolo si poteva assistere anche a vere e proprie rappresentazioni teatrali con figuranti in carne ed ossa presso gli altari dove venivano allestiti i Sepolcri.
Questi ultimi rimangono montati fino al pomeriggio del Venerdì Santo quando al termine della liturgia penitenziale le specie eucaristiche vengono distribuite ai fedeli.
Tradizione vuole che ogni fedele visiti un numero dispari di sepolcri: per alcuni il numero dovrebbe essere di cinque, come le piaghe di Cristo, o  sette, come i dolori della Madonna.
Se in ogni chiesa è usanza addobbare il sepolcro con fiori, stoffe, fili d'erba e, in alcuni casi, cartelami, variando da anno in anno le composizioni,  vi sono due casi in cui la decorazione è sempre uguale a se stessa: in Cattedrale di San Lorenzo, dove ogni anno il Sepolcro viene montato sull'altare di San Giovanni Battista e addobbato con un paliotto d'altare in argento, la cassa del Corpus Domini risalente al 1612  e preziosi broccati alle pareti, e nella chiesa del Gesù dove ogni anno viene posizionato davanti al Sepolcro un grandioso mazzo floreale. Questa tradizione nella chiesa del gesuiti è nata con la famiglia Pallavicini che si occupava ogni anno di donare alla chiesa questo mazzo. In ultimo, nel 1928, fu la marchesa Matilde Giustiniani, vedova Negrotto Cambiaso, che, affinché quest'usanza non andasse perduta, affidava al Comune di Genova l'esecuzione del mazzo di fiori "per adornare l'annuale Santo Sepolcro nei giorni Santi". Il Comune di Genova ogni anno provvede alla realizzazione del grandioso mazzo, una delle opere più particolari e ammirate dei Sepolcri genovesi che rimane esposta fino al giorno seguente al Lunedì dell'Angelo.
Discorso a sé meritano i cosiddetti teli blu della Passione, originariamente conservati all'Abbazia di San Nicolò del Boschetto (di cui trovate storia ed immagini nella pagina de i SEGRETI dei VICOLI della GRANDE GENOVA) ed oggi esposti al Museo Diocesano di Genova: ogni anno, in occasione del rito pasquale delle Quarant'ore, veniva montato nella chiesa dell'abbazia un apparato effimero che occupava l'altare laterale destro. Il fedele, entrando in questo spazio, poteva immergersi, attraverso le immagini, nei vari episodi della Passione di Gesù. Ad essi dedicherò un apposito paragrafo in questa pagina.


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6. Il presepe genovese

Mendico, Genova, presepe di Palazzo Rosso
(foto di Antonio Figari)

Il presepe (termine che deriva dal latino "praesaepe" che significa "mangiatoria", "greppia") nasce a Greccio per volere di San Francesco. Le fonti francescane ci raccontano cosa avvenne a Greccio: "Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiama un uomo di nome Giovanni, che aveva donato ai frati una collinetta boscosa e rocciosa, e lo prega di aiutarlo nell'attuare un desiderio: "Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Il desiderio di Francesco era dunque quello di rappresentare la natività in modo che tutti potessero gustare con lo sguardo la concretezza del Dio che si è fatto uomo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Francesco trova accuratamente preparata la greppia con il fieno, il bue e l'asinello. La gente accorsa manifesta una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale, ed è così che il primo presepe viene realizzato e vissuto da quanti sono presenti."
Era il 25 dicembre 1223 e per la prima volta veniva rappresentato il presepe.
Genova, insieme a Bologna, dove le statuine erano di terracotta, e soprattutto a Napoli (dove troviamo invece figurine in legno come a Genova e dove ancora oggi la tradizione è più viva che mai), è la città italiana nella quale più si sviluppò la produzione di figure da presepe, produzione che parte dalla seconda metà del XVI secolo e arriva fino ai primi decenni del XIX secolo. Tante le botteghe in città che si dedicarono alla produzione di statuine come quella di Filippo Santacroce ed i suoi cinque figli detti "i Pippi", Gerolamo del Canto, Domenico Bissoni ed il figlio Giambattista, Marcantonio Poggio, questi nel seicento, e quella di Anton Maria Maragliano (1664-1739) nel settecento. In questi laboratori artigianali si affiancava la produzione di grandi gruppi lignei, come le famose casse processionali, a questi piccoli capolavori. Nel settecento, oltre alla bottega del Maragliano, il più celebre esponente della scultura lignea tardo barocca a Genova e in Liguria, e quella dei suoi giovani discepoli che ne proseguono l'attività (Giacomo Muraglia, Pietro Conforti e ed il più noto Bernardo de Scopft detto lo "lo Scopettino"), si deve ricordare Pasquale Navone (1746-1791), il cui linguaggio figurativo si avvicina molto a quello del Maragliano tanto che molte delle statuine oggi a lui attribuite sono state per molto tempo pensate come opere del Maragliano stesso. E' infine da citare Giovan Battista Garaventa (1777-1840), ultimo esponente di questa secolare tradizione e autore del cosiddetto "presepe reale" di cui trovate la storia al paragrafo 6.12.
Quale è la prima rappresentazione del presepe conosciuta a Genova? Federigo Alizeri nell'ottocento ritrova un contratto di commissione stipulato nel 1574 tra lo scultore Matteo Castellino ed il Preposito della chiesa di San Giorgio, G.B. Chiappe, relativo alla realizzazione di cinque sculture in legno, intagliate e dipinte "ut vulgo dicitur de relevo", raffiguranti la Madonna, San Giuseppe, il Bambino, il bue e l'asinello.  In questo documento tuttavia non si fa riferimento ad un'utilizzazione delle sculture per un presepe da allestire a Natale e dunque possiamo pensare che queste figure fossero state eseguite per rappresentare una scena della Natività da esporre in chiesa permanentemente.
Qualche decennio dopo, nella Cronaca del Monastero di Santa Maria di Monte Oliveto di Multedo, troviamo invece quello che può essere considerato a tutti gli effetti l'atto di nascita del presepe a Genova: il 25 dicembre 1610 Padre Alberto Oneto per la prima volta espone in chiesa, nella cappella della Croce, un presepe "di figure di legno vestite d'habiti proporzionati" a rappresentare la nascita e, mutando le vesti, l'adorazione dei Magi, "opera di suo ingegno e compita con denari raccolti". Nella stessa Cronaca veniamo a sapere che, oltre alle due scene sopra elencate ossia la Natività e l'Adorazione dei Magi, ve ne era una terza, che veniva rappresentata dopo le prime due, quella della Presentazione al tempio. Ve ne era poi una quarta non segnalata nella Cronaca, quella della Fuga in Egitto, di cui abbiamo uno splendido esempio in una statuina a tutto legno della bottega del Maragliano raffigurante Maria che allatta Gesù a dorso di un cavallo, figurina appartenente alla collezione di Palazzo Rosso. Erano queste le quattro scene che venivano rappresentate tra Natale e la festa della Purificazione, più conosciuta come "Candelora", che cade il 2 febbraio.
Le statuine, commissionate dal clero per le chiese ma molto più spesso da famiglie aristocratiche che facevano allestire presepi nelle loro dimore, erano scolpite a tutto tondo ed interamente dipinte oppure erano manichini in legno articolati con gli arti e la testa dipinti ed il resto del corpo rivestito da preziosi tessuti, testimoni della grande manifattura tessile genovese che ci permette ancora oggi di ammirare, in miniatura, come ci si vestiva all'epoca.
I manichini in legno erano snodabili e permettevano così di posizionare le figurine sempre in nuove posizioni (rispetto alle statiche tutte in legno). Era poi possibile cambiare ai manichini i vestiti dando così la possibilità di creare allestimenti sempre differenti o di usare i manichini per scene diverse. Alcuni manichini  di pastori rustici del presepe Luxoro e di quello di San Bartolomeo di Staglieno hanno poi il busto sezionato orizzontalmente in vita e munito di uno snodo a disco che consente una completa torsione ed una lieve inclinazione del manichino (sono queste modifiche più tarde dovute ad esigenze sceniche di questo piccolo teatro in miniatura che è il presepe).
Rispetto a quello napoletano, dove trovano spazio moltissimi accessori, quali botteghe e case, ed il paesaggio è parte integrante dell'insieme (il cosiddetto "scoglio", la famosa scenografia dei presepi napoletani, rappresentante generalmente un rudere di edificio greco o romano ossia pagano, spesso un tempio per simboleggiare la vittoria del Cristianesimo,  fatta in sughero e montata su una struttura di legno), il presepe genovese si concentra di più sulle figurine che rispetto a quelle partenopee sono più grandi e occupano quasi tutto lo spazio scenico, divenendone le vere protagoniste. Altra differenza tra i due presepi è che a Napoli le statuine sono imbottite di stoppa e i volti sono in ceramica dipinta mentre sono in legno mani e piedi; le figurine genovesi sono invece tutte in legno e con gli occhi di pasta di vetro. 
Mentre poi nel presepe napoletano le  figure sono disposte secondo molteplici piani prospettici, il presepe genovese tende all'orizzontalità e le figure sono generalmente disposte su pochi piani che convergono tutti linearmente verso il punto focale della rappresentazione ossia la Natività. 
A proposito di personaggi dei presepi, che nei loro volti e nel loro vestire rappresentano uno spaccato della Genova del tempo raccolta intorno alla Natività, ecco di seguito un elenco dei vari "tipi", ossia dei personaggi, le cui dimensioni variavano dai 25 ai 65 centimetri, che si ripetono con alcune peculiari caratteristiche anche se provenienti da diverse botteghe:
- la Vergine, vestita in bianco, simbolo della purezza, o in azzurro, il colore mariano per eccellenza, o ancora in rosso, simbolo del sacro e del potere. Nel presepe genovese Maria ha la corona in testa che la indica Regina di Genova. La corona di Maria, così come quella di Gesù era opera dei "fraveghi" genovesi (di cui trovate la storia al paragrafo 4 di questa pagina);
- il Bambino, anch'Egli spesso rappresentato con la corona in testa e coperto da preziosi abiti;
- San Giuseppe, con preziosi abiti e con il bastone sormontato da un giglio bianco, attributo del Santo, senza corona ma con l'aureola;

Sacra Famiglia, Genova, presepe di San Bartolomeo di Staglieno
(foto di Antonio Figari)

- il bue e l'asinello: indiscussi coprotagonisti del presepe, pur se mai citati nei Vangeli, secondo la tradizione il primo rappresenterebbe i ebrei mentre il secondo i cosiddetti "gentili" (i popoli pagani, non cristiani, da identificare con i greci e i romani ossia il mondo classico). Da un lato ci sono gli ebrei che portano il giogo della legge e dall'altra i pagani che gemono sotto la soma dell'idolatria;
- la "gloria della Natività" o "gloria di angeli" ossia un piccolo gruppo di angioletti posizionati sopra la capanna della Sacra Famiglia: scolpiti in un unico pezzo di legno, policromato e parzialmente dorato, spesso con una nuvola che fa a loro da sfondo e sulla quale sembrano quasi adagiarsi. In alcuni casi come nel presepe di San Bartolomeo di Staglieno tra le mani reggono un lungo cartiglio con le scritte "GLORIA IN EXCELSIS DEO ET IN TERRA PAX" (è questa l'acclamazione degli angeli  che annunziano ai pastori la nascita di Gesù);

Gloria della Natività, Genova, presepe di San Bartolomeo di Staglieno
(foto di Antonio Figari)

- i pastori, i primi ad accorrere alla capanna, e tra essi lo zampognaro. Non mancano ad accompagnarli anche le loro greggi tra cui alcune pecore comodamente rilassate sulle spalle dei pastori. In alcuni presepi troviamo il pastore dormiente, adagiato sul muschio, che rappresenta l'umanità che si rifiuta di vedere nella nascita di Nostro Signore la salvezza del mondo, ed il pastore accecato (quest'ultimo accecato dalla luce dell'angelo dell'Annuncio, o, secondo una diversa interpretazione, anche lui come il dormiente rifiuterebbe di vedere). Il pastore dormiente è  presente anche nella tradizione napoletana ed è chiamato "Benino". Contrapposti ai pastori dormienti sono invece quelli colti dalla meraviglia che si esplicita nell'espressione dei loro volti e dei loro occhi pieni di stupore. Particolare poi è la figura del pastore "Gelindo", legata all'area ligure-piemontese: secondo la tradizione è colui che offrirà la propria capanna a Maria e Giuseppe. Alcuni pastori hanno anche il torace modellato e dipinto che appariva dalla camicia aperta;
- il corteo dei Re Magi con i tre re ed il loro lungo seguito di paggi vestiti all'occidentale (un chiaro rimando alla servitù dell'epoca presso le nobili famiglie), schiavi mori, il circasso e gli armigeri (di cui vi parlo più sotto), vessilliferi, suonatori (come lo splendido "suonatore moro" della collezione Luxoro) e cavalli con preziose bardature e finimenti in cuoio, tessuto e metallo e, in alcuni casi, per così dire fermati nel legno nel momento in cui eseguono il movimento dell'impennata (chiaro qui è il richiamo ai grandi ritratti equestri di Rubens e Van Dyck). Parlo di cavalli e non di cammelli perché nel presepe genovese troviamo i primi e non i secondi. In realtà un dromedario scolpito a tutto tondo in legno è presente nel presepe Luxoro ma osservandolo noterete che il suo muso è quello di un cavallo e la sua gobba è appena accennata, insomma un dromedario di nome ma non di fatto. C'è poi un grande dromedario a tutto legno nella collezione di Palazzo Rosso. A proposito dei Re Magi, troviamo due dalla carnagione chiara, l'uno anziano, dalla barba bianca fluente e ripartita e dalla testa allungata, Melchiorre, che portava l'oro, e l'altro giovane, Gaspare, con l'incenso, ed il terzo moro, Baldassarre, re d'Arabia che portò a Gesù la mirra. Gli accessori dei Re Magi e del loro corteo, come turiboli, navicelle per l'incenso, cofanetti, pissidi e corone, che riproducevano le analoghe suppellettili di uso liturgico, erano tutte opera degli abilissimi "fraveghi" genovesi. I sontuosi vestiti dei Magi si rifanno alle vesti dogali e alle cappe delle Confraternite;
- il circasso: questo personaggio (così chiamato perché raffigurante un uomo di questa etnia originaria del Caucaso), che troviamo anche nel presepe napoletano, è una di quelle figure che fanno parte della tradizione. Di carnagione scura, e anche per questo spesso posizionato nel corteo dei Re Magi, viene rappresentato con la testa rasata, lunghi baffi e una sola ciocca di capelli raccolta sulla nuca;

Circasso, Genova, presepe di Palazzo Rosso
(foto di Antonio Figari)

- gli armigeri, abbigliati all'eroica secondo i modelli iconografici che ritroviamo anche nella pittura coeva, con luccicanti armature e elmi intagliati e dorati con in mano una lancia, sono la rappresentazione dei soldati della legione romana presenti in Palestina al tempo della nascita di Gesù che stazionavano presso il Palazzo di Erode oppure fanno parte del corte dei Magi. Il loro volto è spesso caratterizzato da grandi e lunghi baffi;

Armigero, Genova, presepe di San Bartolomeo di Staglieno
(foto di Antonio Figari)

- i popolani: un mondo variopinto che ci proietta nel sei e settecento genovese tra  "besagnine"  e pastori delle valli liguri con volti molto espressivi presi dalla realtà che ci permettono di incontrare, per così dire, i nostri antenati. Tra di essi anche alcuni che mostrano malesseri fisici diffusi all'epoca come la donna affetta da gotta o il villico con le gote rubizze (il contadino con le guance rosse "bruciate" dal sole durante il duro lavoro nei campi). In questo il presepe rappresentava tanti aspetti della realtà quotidiana. Se guardate con attenzioni potrete notare anche piccolissimi ma preziosi particolari come collane (anche in corallo come nell'immagine qui di seguito) o orecchini in filigrana d'argento che adornano le figure femminili;

Figura femminile con collana di corallo, Genova, presepe di Palazzo Rosso
(foto di Antonio Figari)

- il "mendìco": tra i popolani merita un posto d'onore il mendicante, dalla tipica espressione sofferente, la testa fasciata, la bocca semiaperta, i vestiti pieni di toppe, una stampella sulla quale reggersi e una gamba di legno o il moncherino della gamba amputata, una ciotola tornita in legno per le elemosina e una fiasca ricavata dalla zucca essiccata, entrambi oggetti di uso comune negli strati più poveri della popolazione. In alcune statuine anche il torace è accuratamente modellato e dipinto e in origine doveva apparire libero di esser visto attraverso gli abiti stracciati (una scena che ci sarebbe apparsa davanti agli occhi all'epoca e che ritroviamo in alcune stampe de tempo come per esempio in una del Giolfi che rappresenta Piazza Banchi). Una curiosità: era usanza inserire la figurina del "mendìco" in prima fila, al centro del presepe e rivolto verso il pubblico e sotto di lui posizionare un cestino per le offerte. Era questa un'astuta mossa per invogliare il fedele a lasciare qualche moneta per le necessità della chiesa. Come scrive Pastorino a questo proposito: "Maragliano ha scolpito quel povero, che con il volto mesto chiede l'elemosina, perché tu compia anche questo piccolo dovere con larghezza di cuore"; 

Mendico, Genova, presepe di San Bartolomeo di Staglieno
(foto di Antonio Figari)


- la "figura offerente": se il mendico è una personaggio che ritroviamo in tutti presepi artistici genovesi, assai rara è invece la figura che al mendico fa, per così dire, da contraltare ossia quella dell'offerente.  Se ne conoscono solo tre, tutte opera di Pasquale Navone e tutte in collezioni private. La prima è quella di un uomo riccamente vestito, con un cappello in testa e la lunga barba, che impugna con la mano destra un bastone sul quale si appoggia. La seconda  è una figura femminile, anch'essa dalla ricca e raffinata vestitura. La terza è una figura femminile dall'incarnato scuro, scalza, con la testa rasata che mette in evidenza splendidi orecchini a goccia dorati e in braccio un bambino: si tratta probabilmente di una schiava turca facente parte del corteo dei Re Magi. Tre personaggi tra loro molto diversi ma che hanno in comune il gesto di tenere in mano, tra pollice e indice, una moneta d'oro che viene offerta al mendicante;

Particolare della mano dell'offerente con in mano una moneta d'oro, Genova, collezione privata
(foto di Antonio Figari)

- i mulatti: simili ai pastori per fattezze fisionomiche e per abbigliamento di foggia popolare, si discostano da questi ultimi per la cromia scura degli incarnati. Le figure maschili sono spesso rappresentate con un cappello a tesa larga lacero e talvolta sfondato, i piedi nudi, il torace interamente modellato e visibile attraverso abiti sgualciti. Queste caratteristiche inducono ad accostare questa tipologia di personaggi alle "compagnie di zingari" che periodicamente giungevano a Genova;
- gli animali: scolpiti a tutto tondo e dipinti, con piccoli occhi in pasta vitrea, nel presepe genovese troviamo, oltre al bue e l'asinello accanto alla Sacra Famiglia ed i cavalli del corte dei Re Magi, anche buoi, mucche, asini, pecore, arieti, capre e cinghiali, indispensabili complementi nella rappresentazione del mondo rurale. A Palazzo Rosso e nel presepe di San Bartolomeo di Staglieno troviamo anche un lupo che ghermisce un agnello.
Oggi i più bei presepi artistici sono quasi tutti conservati presso istituzioni religiose (i frati cappuccini in particolare) e nel periodo natalizio sono allestiti nelle chiese e negli oratori e tengono viva l'antica usanza del tour dei presepi che già così veniva raccontata all'inizio del ventesimo secolo da Luigi Augusto Cervetto, direttore della Biblioteca Berio: "Il presepio preparato nell'Oratorio unito alla chiesa dei Cappuccini, poetica località eccentrica che il folto d'alberi da cui è circondata, può ben dirsi un pezzo di campagna caduto in città, costituisce sempre una grande attrattiva (...)". Dal presepe della SS. Concezione, raccontato dal Cervetto, si saliva poi a San Barnaba, alla Madonnetta, al Santuario di Oregina e poi si tornava in città (un piccolo tour che ancora oggi si può compiere).
Un'ultima annotazione: se osservate i volti delle vari personaggi potrete notare un incarnato pallido, quasi eburneo, che contraddistingue i personaggi sacri (Gesù Bambino, Maria, Giuseppe, gli angeli e i due Magi bianchi) a sottolinearne la nobiltà; un rosa pallido con sfumature di cinabro sulle guance ed il mento per i personaggi più generici ed un volto più "abbronzato" per i pastori rustici; tonalità infine più scure per personaggi come il circasso o gli zingari fino al nero dei mori del variegato ed "esotico" corteo dei Magi.
Di seguito, i principali presepi storici genovesi che si possono ammirare nella nostra città nel periodo natalizio (con l'aggiunta di un presepe napoletano, ma appartenuto ad un nobile genovese, ed alcuni, per così dire, "bonus" negli ultimi tre paragrafi).


INDICE

6.1 Il presepe del Santuario delle Grazie
6.2 Il presepe di San Barnaba
6.3 Il presepe della Madonnetta
6.4 Il presepe della SS. Concezione
6.5 Il presepe dell'Istituto San Giuseppe
6.6 Il presepe di San Bartolomeo di Staglieno
6.7 Il presepe del Santuario di Nostra Signora del Monte
6.8 Il presepe di Palazzo Rosso
6.9 Il presepe del Museo dei Cappuccini
6.10 Il presepe di Greccio
6.11 Il presepe di Villa Luxoro
6.12 Il presepe del Santuario della SS. Natività di Maria - Belvedere
6.13 Il presepe reale
6.14 Il presepe napoletano delle Brignoline
6.15 I presepi di pietra
6.16 Il presepe del Grechetto
6.17 Il presepe di cera


6.1 Il presepe del Santuario delle Grazie

Nel Santuario delle Grazie a Voltri sono conservate alcune decine di statuine appartenute alla Duchessa di Galliera che le lasciò al Santuario di San Nicolò di Voltri. Solo successivamente esse vennero trasferite nel Santuario dove ancora oggi si possono ammirare nel periodo natalizio.
Tra le figurine vi sono alcune di scuola maraglianesca tra le quali la Madonna, San Giuseppe, il mendìco e alcuni pastori.   


6.2 Il presepe di San Barnaba 

Nella chiesa di San Barnaba, sulle alture di Castelletto, è conservato un grande presepe composto da molte figurine, alcune delle quali di scuola maraglianesca.
Il presepe è allestito nel periodo natalizio. 


6.3 Il presepe della Madonnetta

Al Santuario della Madonnetta, sulle alture di Genova (facilmente raggiungibile con la funicolare Zecca-Righi) è visitabile l'unico presepe storico genovese che rimane montato tutto l'anno.
Tante le scene rappresentate nei vari riquadri e tante le figurine attribuite alla scuola del Maragliano.


6.4 Il presepe della SS. Concezione

Accanto alla chiesa della SS. Concezione, in Piazza dei Cappuccini, nel periodo natalizio viene montato un grande presepe e tra le figurine almeno una trentina appartengono alla scuola del Maragliano.


6.5 Il presepe dell'Istituto San Giuseppe

Nell'Istituto delle Giuseppine in Salita Inferiore San Rocchino, sono conservate una trentina di figurine, alcune delle quali sempre appartenute all'Istituto ed altre frutto di un lascito di un professore del Seminario.
La critica attribuisce molte statuine alla scuola del Maragliano ed il mendico al Canepa. 
La tradizione orale, che le monache si tramandano di generazione in generazione, narra che un pastore a manichino  con la testa calva e il volto dalla fisionomia fortemente caratterizzata sia l'autoritratto del Maragliano. Non si può negare una certa somiglianza con i ritratti del Maragliano conosciuti ma ciò non è sufficiente a ritenerlo l'autoritratto quanto piuttosto un ritratto eseguito da un intagliatore per rendere omaggio all'indiscusso protagonista dell'arte dell'intaglio del legno a Genova in epoca barocca.


6.6 Il presepe di San Bartolomeo di Staglieno

Nell'oratorio accanto alla chiesa di San Bartolomeo viene allestito nel periodo natalizio un presepe che fin da piccolo non perdo occasione di visitare. Per la grandezza e varietà delle figurine è uno dei presepi artisticamente più importanti di Genova e forse il mio preferito.
Tra le tantissime figurine presenti, ben due mendici attribuiti al Maragliano e una splendida "gloria della Natività" di cui vi ho parlato più sopra. 


6.7 Il presepe del Santuario di Nostra Signora del Monte

Nell'oratorio accanto al Santuario di Nostra Signora del Monte, in cima all'omonima salita, nel periodo natalizio viene allestito un grande presepe artistico con figurine attribuite al Maragliano e alla sua scuola (appartengono al Santuario dal 1926 a seguito del lascito del comm. Enrico Peirano).


6.8 Il presepe di Palazzo Rosso

A Palazzo Rosso in Via Garibaldi sono conservate moltissime figurine, frutto di numerosi lasciti, tra le quali alcune del Maragliano e alcune rare in tutto legno opera di G.B. Pittaluga.
Nel periodo natalizio viene allestito il presepe al piano terreno del palazzo visibile da strada o nelle sale dei piani nobili.


6.9 Il presepe del Museo dei Cappuccini

Il Museo dei Cappuccini, sito accanto alla chiesa di Santa Caterina di Portoria, conserva molte statuine del presepe, tra le quali alcune della scuola del Maragliano.
Ogni anno nel periodo natalizio vengono allestite mostre a tema e molte statuine sono esposte al pubblico negli spazi del Museo.
Oltre alle statuine di scuola genovese, sono qui conservati anche molti "Macachi albisolesi", statuine in terracotta modellate e dipinte dalle "figulinaie" tra la fine dell'800 ed i primi del '900, testimoni anch'esse della società nella quale sono nate.
Merita poi una menzione speciale il moderno presepe meccanico di quaranta metri quadrati costruito a partire dagli anno 30 del '900 dall'artigiano di Carmagnola (TO) Franco Curti, considerato oggi uno dei più antichi d'Italia nel suo genere. Realizzato in circa 12.000 ore di lavoro, si sviluppa in quaranta metri quadrati con oltre 150 personaggi in movimento ed è composto dalla ricostruzione di Betlemme, Gerusalemme e Betania al tempo di Gesù. Cadute d'acqua, vedute panoramiche orientali e degradanti cambi di luce completano il quadro suggestivo della Natività. Ancora oggi conserva i suoi meccanismi originali realizzati a mano e azionati dalle cinghie di cuoio delle vecchie macchine da cucire a pedale.
Ogni anno viene montato nella cappella accanto alla sala museale occupando tutta la navata e prende vita per la gioia dei bambini e non solo.


6.10 Il presepe di Greccio

Negli spazi del Monastero delle Clarisse Cappuccine in Via Chiodo  55 viene allestito ogni anno un presepe con artistiche statuine settecentesche che rievoca l'atmosfera del primo della storia, quello appunto di Greccio. Tra le figurine non può mancare quella raffigurante San Francesco che del presepe fu l'ideatore.


6.11 Il presepe di Villa Luxoro

A Villa Luxoro in Via Capolungo a Nervi sono conservate tutte le figurine raccolte da Tammar Luxoro alla fine del XIX e successivamente donate, insieme alla villa, al Comune di Genova.
Purtroppo da molti anni gli interni della villa sono chiusi al pubblico e questa casa museo, che meriterebbe di vivere ed esser vissuta da tutti noi, è lasciata ad un colpevole abbandono.


6.12 Il Presepe del Santuario della SS. Natività di Maria - Belvedere

Nella chiesa della Natività di Maria Santissima, sulla collina di Belvedere, antico borgo sopra Sampierdarena oggi inglobato nella nostra città, nel periodo natalizio viene allestito un presepe con alcune statuine settecentesche della scuola del Maragliano.


6.13 Il presepe reale

Il presepe reale o dei Savoia è così chiamato perché fu la casa regnante a commissionare questo lavoro a Giovanni Battista Garaventa (1776-1840) presumibilmente negli anni che seguirono l'annessione dei territori liguri. 
Il presepe è composto da ottantacinque tra personaggi (cinquantatré dell'altezza compresa tra i 38 e 77 cm), animali ed elementi d'arredo.
Le figurine sono in legno con volti finemente intagliati e bulbi oculari in pasta di vetro.
Il presepe è oggi in collezione privata ma più volte è stato esposto a Palazzo Reale di Genova nel periodo natalizio. 


6.14 Il presepe napoletano delle Brignoline

A Marassi, nella Casa Madre delle Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario (luogo dove spesso mi reco poiché lì ancora vivono le suorine che furono le mie insegnanti all'asilo) ogni Natale viene allestito un presepe un tempo con statuine appartenute a Gio Francesco Brignole Sale, che faceva allestire questo presepe nella sua dimora (Palazzo Rosso in Strada Nuova). Precedentemente ritenute genovesi, successivi studi le hanno riconosciute come opera del napoletano Nicola Fumo vissuto a cavallo tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo.


6.15 I presepi di pietra

Meritano una menzione particolare alcuni presepi fissati nel marmo e nella pietra di promontorio che "vivono" in alcune chiese e palazzi dei vicoli.
Il primo è nella chiesa del Gesù: nella cappella della famiglia Raggi c'è l'altare della Natività, eseguito da Tomaso Orsolino intorno al 1623. Sotto la mensa dell'altare troviamo un presepe marmoreo con la Sacra Famiglia, il bue, l'asinello, i pastori e due angeli che reggono il piano di marmo della mensa. Dalla "Descrizione dei sepolcri e delle cappelle appartenenti alla famiglia Raggio", datata 1633, veniamo a sapere che questo presepe a mo' do paliotto d'altare non è  sempre visibile ma "si scopre una volta all'anno in occasione della solennità del Natale".
Il secondo si trova sotto la mensa del primo altare sulla sinistra nella chiesa di Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani. Anch'esso opera dell'Orsolino, qui accanto alla Sacra Famiglia è rappresentata Santa Paola Romana che si inginocchia in adorazione del Bambino. 

La Natività di Tommaso Orsolino nella Chiesa di Santa Maria Maddalena e San Girolamo Emiliani
(foto di Antonio Figari)


Vi sono poi tre presepi fissati nel marmo (il primo) e nella pietra di promontorio (gli altri due): si tratta di tre Adorazioni dei Magi. La prima e più famosa si trova in Via degli Orefici: opera di Elia e Giovanni Gagini risale al 1457 ed è una delle più note pietre parlanti dei vicoli citata in tute le guide artistiche di Genova. Ve ne sono poi altre due, custodite una nell'atrio di Palazzo della Meridiana e l'altra lungo lo scalone di Palazzo Giovanni Garibaldi in vico Carmagnola, meno conosciute ma altrettnato meritevoli di essere esaminate. Vi rimando al paragrafo ad esse dedicato alla pagina de le PIETRE parlanti per approfondire il tutto e vedere ulteriori immagini.
Una curiosità: così come nei presepi genovesi in legno anche in questi tre scolpiti nel marmo e nella pietra di promontorio nel corteo dei Re Magi vi sono cavalli e non cammelli.


L'adorazione dei Magi in Via degli Orefici
(foto di Antonio Figari)

C'è poi una piccola formella scolpita in facciata della Cattedrale di San Lorenzo con la Natività: la trovate guardando con attenzione alla sinistra del portale centrale.

Formella con la Natività, Genova, Cattedrale di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)


6.16 Il presepe del Grechetto

Non posso poi non citare, in questo capitolo dedicato al presepe genovese, uno dei capolavori assoluti del nostro centro storico: l'Adorazione dei Pastori, opera di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto (1609-1664). Furono gli Spinola a commissionare nel 1645 questa pala d'altare per la loro cappella gentilizia, la chiesa di San Luca, dove ancora oggi si può ammirare (vi rimando al paragrafo dedicato a questa chiesa alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire la storia di questo luogo). 


6.17 Il presepe di cera

Mi piace concludere questo breve excursus sui presepi con un presepe che genovese non è ma che a Genova è custodito: si tratta di un prezioso micro presepe bavarese facente parte delle collezioni del Museo dell'Accademia Ligustica e qui giunto con legato testamentario dell'erudito genovese Antonio Merli, Accademico di Merito nella classe degli "Scrittori d'arte" e per molti anni Segretario dell'Istituzione.
Il presepe era creduto di avorio e così venne registrato al momento della donazione. In realtà questo raffinatissimo capolavoro, degno diun a "wunderkammer", siglato in basso a sinistra "JBC", è opera di Johann Baptist Cetto (Mainz 1671 circa - Tittmoning 1738) un ceroplasta bavarese di origini italiane che si era specializzato in queste minuscoole rappresentazioni da scene tratte dalla storia e dalla Bibbia.
Nel presepe dell'Accademia le piccolissime figure sono modellate in cera e popolano i ruderi di un tempio che accoglie la Natività  in un paesaggio nel quale troviamo animali e piante, i pastori con il loro gregge e sullo sfondo una città turrita e un paesaggio lacustre. Il tutto descritto con estrema attenzione al dettaglio: ne è un esempio la zucca essiccata che pende al fianco del pastore inginocchiato in primo piano davanti al Bambino.
Proprio per la sua estrema fragilità, il presepe di cera è custodito nei depositi dell'Accademia e solo nel periodo natalizio viene esposto nelle sale aperte al pubblico.


***


7. L'arredo urbano

Uno degli aspetti che più definiscono il carattere di una città è l'arredo urbano, ossia quell'insieme di elementi e soluzioni di arredo degli spazi pubblici cittadini che da un lato deve essere funzionale e dall'altro rispettare l'ambiente che lo circonda e nel quale è inserito, o almeno così dovrebbe.
In questo capitolo vi mostrerò i tanti esempi di arredo urbano che hanno contribuito a rendere ancora più bella Genova. Spesso infatti i nostri occhi, osservando una piazza o una via, non si soffermano su alcuni particolari che contribuiscono invece in maniera decisiva a farci apprezzare l'ambiente urbano in cui ci troviamo.
Non è qui mia intenzione fare un excursus storico sull'evoluzione dell'arredo urbano ma piuttosto mostrarvi la bellezza di antichi manufatti che ancora oggi resistono al tempo e, spesso, purtroppo all'incuria. 

INDICE
7.1 I lampioni
7.2 Le ringhiere
7.3 Le cancellate
7.4 I "vespasiani"


7.1 I lampioni 

Uno degli elementi che più caratterizzano l'arredo urbano di ogni centro abitato è il lampione il quale, nella sua accezione antica per le strade genovesi, coniuga eleganza a funzionalità.
Molti dei lampioni in ghisa che adornano le piazze centrali genovesi come Piazza Corvetto o Piazza De Ferrari nascono nelle fonderie Balleydier Frères (per questo motivo alla base di alcuni di essi sono incise le lettere BF), fonderie che avevano sede a Sampierdarena e che esportavano i loro prodotti oltre i confini della nostra città tanto erano apprezzati. Lo "stabilimento metallurgico di Balleydier Fratelli in San Pier d'Arena sul principio della St.da Vecchia vicino alla Lanterna" (così recitava la carta intestata della ditta che aveva sostituito il francese "frères" con "fratelli" e che, come avrete capito, si trovava nei pressi della Lanterna) viene fondato nel luglio del 1832 e rimane in attività  fino alla prima guerra mondiale quando viene inglobato nell'Ansaldo. Ancora oggi è ricordato nella toponomastica di Sampierdarena che ai Balleydier ha dedicato una via nei pressi di Via di Francia.
Uno degli esempi più monumentali e meglio conservati è rappresentato dai sei lampioni di fronte alla stazione di Brignole: sullo zoccolo di granito si erge, sorretto da quattro leoni, il fusto della colonna in ghisa che termina, sopra il capitello, con quattro bracci ortogonali ed uno superiore.
Altri esemplari degni di nota arredano ancora oggi piazza Corvetto e la salita che dalla piazza stessa porta al monumento di Mazzini da un lato (Via Martin Piaggio, Via Grenchen e Piazzale Mazzini)  e all'Acquasola dall'altro (Via XII ottobre e Viale IV Novembre). 

Il lampione in primo piano ancora oggi decora ed illumina Via Martin Piaggio


Sia a Brignole che a Corvetto, in Largo Pertini e in Piazza De Ferrari, con il passaggio dall'illuminazione a gas all'elettricità, furono sostituite le originali lampade rotonde con più moderni lanterne che snaturarono la grazia di questi manufatti.
Se i lampioni di cui sopra sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, la stessa cosa non possiamo dire per quelli nelle immagini qui di seguito che arredavano Piazza Fontane Marose e le terrazze di Via Milano, tutti caratterizzati dall'elegante base lavorata. O meglio, in realtà non tuo è andato perduto: se infatti non vi è più la base a parallelepipedo, il fusto con la corona di alloro sulla quale appoggiano i quattro delfini è stata riutilizzata in un altro punto della città o almeno questa è una mia supposizione confrontando le cartoline qui sotto e il fusto ancora esistente in un'altra parte della città. Presto caricherò qui le foto e mi direte se anche voi condividete quanto da me sostenuto.


Splendidi lampioni in ghisa in Piazza Fontane Marose


I lampioni di Via Milano


Curiosa la storia dei quattro monumentali lampioni di Ponte Pila: questi lampioni, come le righiere del ponte, furono progettati e realizzati per il ponte che collegava la zona di Santa Zita al centro città scavalcando il Torrente Bisagno.
Quando negli anni venti del novecento venne ultimata la copertura dal Bisagno e venne quindi meno la ragione stessa dell'esistenza di questo ponte, i grandi lampioni, così come le ringhiere, vennero portati più a monte, sempre lungo il corso del Bisagno, e collocati su quello che oggi è chiamato Ponte Giulio Monteverde proprio di fronte all'ingresso del Cimitero Monumentale di Staglieno.


L'antico Ponte Pila con i monumentali lampioni oggi sul Ponte Monteverde 


Particolarmente importanti per grandiosità e decorazioni i quattro lampadari in bronzo che furono creati per dare illuminazione a Galleria Mazzini e posizionati sotto le quattro grandi cupole. Oltre ad essi la galleria fu dotata anche di lampioni che ancora oggi "sbucano" dalle facciate dei palazzi con eleganti grifoni che reggono le lampade.
A differenza di questi ultimi, i grandi lampadari centrali, smontati perché la struttura non era più atta a reggerli, giacciono da alcuni anni in un magazzino comunale in attesa di essere rimontati e donare nuovamente luce e bellezza alla Galleria.
Simile ai lampadari di Galleria Mazzini nello stile e nelle decorazioni è il grande lampadario che illumina l'atrio del Collegio dei Gesuiti in Via Balbi 5, oggi sede dell'Università. Ritroviamo in esso i grifoni che reggono lo stemma di Genova e altri dettagli che lo avvicinano a quelli in Galleria Mazzini.



Meritano una menzione anche i lampioni liberty di Via Roma: anch'essi, nati con l'illuminazione a gas, vennero convertiti all'elettricità mantenendo la loro originaria bellezza e le tipiche decorazioni floreali che caratterizzavano il periodo nel quale furono progettati e realizzati.
Degni di essere menzionati anche i lampioni che illuminano da un lato i portici di quello che fu il Palazzo della Navigazione generale Italiana, oggi sede della Regione Liguria, e dall'altro i portici del Palazzo un tempo sede genovese del Credito Italiano.

Lampione in stile liberty in Via Roma
(foto di Antonio Figari)

 
A proposito dell'illuminazione a gas, a Genova venne inaugurato il servizio il 5 settembre 1846 con l'illuminazione del percorso tra Piazza Acquaverde e Piazza San Domenico (l'odierna Piazza De Ferrari). In quello stesso anno veniva inaugurata l'illuminazione pubblica a Torino mentre in poche altre città italiane il gas era arrivato già da qualche anno (Napoli nel 1840, Milano nel 1843, Venezia, Firenze  e Verona nel 1845).
Nel 1888 i 484 lampioni cittadini alimentati a gas vennero riconvertiti all'elettrico. Finiva un'epoca e veniva sancita la morte di un mestiere molto particolare, quello del lampionaio, ossia colui che, armato di un lungo bastone sulla cui estremità era posta una fiamma, provvedeva ogni sera all'accensione dei lumi dei vari lampioni.
Vi rimando alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici per approfondire la storia dell'Officina del Gas e delle Officine Elettriche Genovesi.
Nel secondo dopoguerra c'è da segnalare un esempio virtuoso di arredo urbano ricercato. Se vi capita di entrare dall'ingresso di Piazza Portello nell'atrio che precede il lungo corridoio che vi conduce all'ascensore di Castelletto di levante (di cui trovate la storia alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici), alzate il vostro sguardo: potrete osservare una lampada a sospensione "Grappolo", ideata nel 1967 dal maestro Luigi Caccia Dominioni per Azucena ("brand" fondato dallo stesso insieme a Ignazio Gardella e Corrado Corradi dell'Acqua nel 1947). E' bello pensare che si sia voluto arredare questo spazio pubblico con un'icona del design italiano e non con un semplice oggetto di nessun valore.  


7.2 Le ringhiere

La conformazione di Genova con strade a diverse quote impone l'uso di un altro elemento di arredo urbano che riesce ad unire utilità e bellezza: la ringhiera.
Il materiale più usato è la ghisa che da una parte assicura elevata resistenza e durata nel tempo e dall'altra si presta ad essere lavorata per dare a questi manufatti un tocco di eleganza.
Gli esempi più belli in centro a Genova sono in Circonvallazione a Monte dove i corsi sono delimitati da ringhiere in ghisa con colonnine a torciglione o in Corso Andrea Podestà dove invece troviamo ringhiere a pannelli e pilastri sagomati a disegno.

Antica immagine di Corso Firenze con la tipica ringhiera ancora oggi presente


Antica immagine di Corso Andrea Podestà con le ringhiere in ghisa ancora oggi presenti 


Molto belle sono anche le ringhiere oggi su Ponte Giulio Monteverdi, proprio davanti all'ingresso del Cimitero Monumentale di Staglieno, un tempo, come vi raccontavo nel precedente paragrafo dedicato ai lampioni, sul Ponte Pila (al paragrafo stesso vi rimando per vedere una loro immagine).
Particolari e degne di nota sono poi le ringhiere, tipiche dei parchi pubblici del genovesato, che imitano una staccionata di rami d'albero: eseguite sul posto da esperti artigiani, avevano un'anima in ferro ricoperta di cemento. Dello stesso materiale con la stessa tecnica erano spesso eseguito anche piccole abitazioni atte ad ospitare animali o attrezzi (ne troviamo esempi in Villetta di Negro).


7.3 Le cancellate

Quando lo scopo non è delimitare le strade a diverse quote quanto piuttosto proteggere la proprietà, le ringhiere si alzano e diventano, per così dire, cancellate.
Genova, al pari delle metropoli europee come Parigi, Londra o Vienna, era famosa per le sue cancellate artistiche  che, delimitando spazi privati, diventavano parte attiva dell'arredo pubblico contribuendo a quel gusto per il bello che caratterizzava il nostro centro cittadino.
Oggi poco rimane di questo antico sfarzo e la ragione è in massima parte da ricercarsi negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Con l'entrata in guerra l'Italia aveva bisogno di materiale per costruire armamenti ed è così che viene lanciata la campagna "Ferro alla patria in guerra" che porterà allo smantellamento, nella sola Genova, di chilomentri di antiche cancellate che, finita la guerra, saranno sostitute troppo spesso da più ordinari materiali come l'ardesia o il cemento.
Sarà questo momento storico a sancire la fine di una delle caratteristiche per le quali Genova era famosa nel mondo.
Mentre era obbligatorio donare alla patria entro il termine del 31 dicembre 1940 le cancellate, era invece facoltativo privarsi dei cancelli: è questo il motivo per il quale oggi abbiamo ancora antichi cancelli affiancati da cancellate più moderne non certo all'altezza di ciò che andarono a sostituire.
Via Serra e la limitrofa Via Galata fanno eccezione a quanto sopra detto poiché ancora oggi conservano le antiche cancellate volute dalla famiglia Serra: è questo oggi senza dubbio l'esempio più importante per qualità e quantità di ciò che avreste potuto vedere camminando nel centro di Genova fino agli anni '40 del Novecento.
Da segnalare anche la lunga cancellata, che insiste su Corso Andrea Podestà, del Palazzo ex-Eridania, oggi occupato dall'Università.
In ultimo, non posso non segnalare, in questo breve itinerario alla scoperta delle antiche cancellate artistiche genovesi, quelle della sede genovese della Banca d'Italia. I tre ingressi che conducono nel salone del piano terreno sono infatti protetti da pesanti cancellate che, oltre ad adempiere il loro primario ruolo di protezione, sono splendidamente decorate con girali floreali.


7.4 I "vespasiani"

Anche gli orinatoi pubblici, i cosiddetti "vespasiani", potevano diventare piccole opere d'arte degne del miglior arredo urbano  che si potesse progettare. Eccovene di seguito un esempio.

Vespasiano davanti al Cimitero Monumentale di Staglieno


  
***

8. La cucina genovese

Vera e propria arte, tramandata di generazione in generazione, testimone delle tradizioni e della storia di ogni luogo, è l'arte culinaria. Genova non fa certo eccezione.
Non aspettatevi però un elenco di ricette quanto piuttosto la storia di alcuni piatti e pietanze che legano la loro nascita alla nostra terra e alla sua storia.

INDICE

8.1 La cucina ed i suoi arredi, testimoni di un tempo che fu
8.2 La sciamadda e lo "street food" ante litteram
8.3 La farinata 
8.4 La trippa e la "sbira"
8.5 I "Natalin" 
8.6 Il Pandolce
8.7 La frutta candita
8.8 Il Falstaff di Verdi
8.9 La torta di Mazzini
8.10 I biscotti del Lagaccio


8.1 La cucina ed i suoi arredi, testimoni di un tempo che fu

Prima di iniziare a parlarvi di piatti genovesi, voglio raccontarvi come era fatta e come funzionava una tipica cucina genovese, fulcro di ogni casa, dalle più povere ai grandi palazzi della nobiltà.
La mia analisi si concentrerà su una tipica cucina genovese ottocentesca e mi permetterà anche di raccontarvi come si preparava il cibo all'epoca. 
Il banco di cucina era formato da un ronfò a legna con due o più posti a cerchi per le pentole e i fornelli dentro i quali si metteva il carbone  per le casseruole. Sotto vi era il forno e lo scaldavivande.
Per cucinare il pollame e la cacciagione nelle cucine più ricche c'era il girarrosto a molla con carica a chiave, detto "Martin" in genovese. Sulla parete accanto ad esso trovava posto una "coquille a rotir". Il tutto funzionava così: si caricava di carbone ardente la griglia della "coquille a rotir" (invenzione che risale al 1811) che rifletteva verso il banco di cucina il calore mentre il "martin" faceva girare lo spiedo infilzato di pollo o arrosto. Sotto il "martin" una teglia recuperava il grasso da cottura (quante volte senza saperlo usiamo l'espressione "grasso che cola") che veniva poi usato quale condimento.
Sui fornelli del ronfò venivano scaldati anche i ferri da stiro.
Il  caffè in chicchi veniva macinato in grandi macinini che ancora oggi vediamo appoggiati sui pensili di alcune vecchie cucine.
Altro elemento fondamentale di ogni cucina era il lavello in marmo con uno o due lavandini sovrastati da uno o più piani dove poter mettere ad asciugare le stoviglie lavate.
Sul grande tavolo in legno (nelle cucine più belle con piano in marmo) che trovava posto al centro della cucina venivano preparati i piatti da mangiare mentre sulla madia, i cui cassetti inferiori contengano utensili, veniva impastata la farina con grandi mattarelli. Alcuni di questi ultimi erano bucherellati per stampare i ravioli.
Le casseruole erano per lo più in rame stagnato all'interno e così anche le pentole di diverse misure ed i tegami; non era insolito che vi fosse anche qualche teglia in terracotta smaltata in giallo.
Non mancavano, disposte in fila come soldatini o come i cipressi di carducciana memoria, "albanelle" (termine genovese che indica recipienti cilindrici) in vetro con coperchio, atte a contenere olive in salamoia, fagioli ed altro.
Utensili fondamentali per ogni cucina genovese erano poi i mortai in marmo di diverse misure con i loro pestelli in legno per la preparazione del pesto. In casa mia ne è conservato uno in ebano nero, così fatto perché si consumava meno.
Una curiosità: la cenere prodotta dal ronfò veniva poi adoperata come sbiancante per il bucato o per pulire le lame in acciaio dei coltelli. Si cercava di fare in modo che tutto avesse un suo utilizzo evitando ogni tipo di spreco: un modo di vivere in armonia con l'ambiente.
Se volete vedere un esempio di cucina ottocentesca il mio consiglio è quello di visitare quella di Palazzo Spinola di Pellicceria nel centro storico o di recarvi a Cornigliano a Palazzo Gentile Bickley, sede di una biblioteca civica. Altra cucina ottocentesca ancora intatta è quella a Palazzo Montanaro, nella residenza dove visse il poeta Paul Valery, aperta al pubblico per visite guidate.


La cucina ottocentesca di Palazzo Gentile Bickley a Cornigliano
(foto di Antonio Figari)


8.2 La sciamadda e lo "street food" ante litteram 

Il termine "sciamadda", in genovese, significa letteralmente "fiammata". Era questo l'elemento caratterizzante di antiche osterie dove, tra le bianche piastrelle e le mensole, appoggiate ai muri, in un grande forno sempre acceso faceva capolino appunto una fiamma.
Sotto il forno trovava spazio un grande vano per la legna, il carburante di questi locali.
Il cibo, che veniva preparato su grandi banconi in marmo e poi cotto nei grandi forni, poteva essere consumato dentro la sciamadda oppure all'esterno.
L'antico appellativo è rimasto ancora oggi in uso e alcuni di questi locali, con le loro caratteristiche piastrelle bianche alle pareti, il bancone in marmo e la grande bocca del forno sempre acceso, resistono al passare del tempo. Eccone un esempio:


Il forno, la legna e le teglie di farinata da Sa Pésta
(foto di Antonio Figari)


8.3 La farinata

Uno dei tipici alimenti liguri che viene cotto nelle sciamadde genovesi è la farinata.
Acqua, olio extravergine d'oliva, farina di ceci e sale: una ricetta semplice che nasconde dentro di sé una leggenda legata alla sua nascita.
Si narra che la farinata nacque nel 1284, sulle navi genovesi, al rientro dalla vittoriosa battaglia della Meloria: durante una tempesta alcuni barili di olio e sacchi di ceci si rovesciarono e mischiarono tra loro e con l'acqua salata del mare dando vita ad una strana poltiglia. Si decise di far asciugar l'impasto così formatosi e mangiandolo i genovesi scoprirono una prelibatezza che ancora oggi tutti ci invidiano. Arrivati in città si decise di migliorare questo piatto facendo cuocere l'impasto in forno. Il risultato piacque e, per scherno agli sconfitti e per il suo caratteristico colore, venne chiamato "l'oro di Pisa".
In realtà già ai tempi dei greci e dei romani si mangiavano sfornati di ceci, legume che proviene dal mondo arabo. Furono quasi certamente i commerci di Genova con i musulmani ad introdurre i ceci nella cucina ligure dando poi vita a quella che oggi conosciamo come farinata.


8.4 La trippa e la "sbira"

Trippe appese e fagiolane all'Antica Tripperia La Casana nell'omonimo vicolo 
(foto di Antonio Figari)


8.5 I "Natalin"

"Natalin" è il termine genovesi che identica i cosiddetti maccheroni di Natale: si tratta di una pasta che assomiglia alle penne lisce ma di una lunghezza di circa 20 centimetri preparati con farina e fecola. Cotti in brodo di cappone (anch'esso protagonista del pranzo di Natale)posso essere accompagnati con salsiccia di maiale tagliata in piccole sfere (simili a monte, simboleggiano la prosperità e sono di buon augurio).


8.6 Il Pandolce

Secondo la tradizione questo dolce nacque nel 1558. 
Proprio in quell'anno Andrea Doria, in occasione del matrimonio del prediletto nipote Gianandrea con Zanobia del Caretto, promosse un concorso tra gli artigiani dolciari genovesi per realizzare un dolce degno di nozze così prestigiose. Nacque così il Pandolce genovese.
In realtà già nell'antica Persia si festeggiava con un dolce a base di frutta secca, pinoli e canditi che non può che farci pensare ad un antenato nel nostro pandolce. Anche gli ingredienti del pandolce stesso (frutta candita e uvetta sultanina) sono originari del Medio Oriente e giunsero a Genova attraverso i traffici commerciali che divenivano anche scambi di conoscenza enogastromiche e culturali.
Un pane dal gusto dolce poi, simile al nostro pandolce, condito con canditi e frutta secca, ha un'origine che si lega alla cultura contadina italiana.
Insomma, come tutti i grandi classici, anche il pandolce si pone come punto di arrivo di una lunga tradizione culinaria.
Alto o basso, esso è il tipico dolce natalizio che non manca mai sulle nostre tavole. Una volta (a casa mia ancora oggi) esso arrivava in tavola adornato da un rametto di alloro, simbolo di prosperità e augurio di fortuna per l'anno nuovo che stava per arrivare.
La tradizione vuole che ne vengano conservate due fette, la prima da donare ad un bisognoso e la seconda da conservare fino al 3 febbraio, il giorno di San Biagio, santo protettore contro le malattie della gola.


8.7 La frutta candita

Arance, clementini, pere, fichi, albicocche, nespole, pesche e prugne sono solo alcuni dei frutti che si prestano ad essere lavorati, secondo antichi metodi tramandati di generazione in generazione, con sciroppo di zucchero, per dare vita ad un'eccellenza genovese: la frutta candita.
Tutto nasce grazie allo zucchero, arrivato a Genova dal Medio Oriente grazie ai frequenti traffici commericlai.
Se già ai tempi dei romani era conosciuto lo zucchero che cresceva in India (per questo detto "sale indiano), furono gli arabi a notare la canna da zucchero in Mesopotamia e portarla fino alle rive del Mediterraneo in Palestina. Attraverso un preciso procedimento, lo zucchero si univa alla frutta permettendo alla stessa di non marcire ma di durare ben oltre la sua stagione tradizionelae: nascevva cos' la frutta candita arrivata A Genova attraverso i frequenditi traffici con le sponde più occidentaliorientsli del Mar Mediterraneo.
L'arrivo dello zucchero fu una svolta per tutta la filiera della produzione dei dolci che fino a quel tempo potevano utlizzare come dolcificante solo il miele e succo estratto da frttuta troppo matura.
Tanto famose le lavorazioni della frutta con lo zucchero (frutta candita, confettura di frutta e conserve)  da essere così raccontate da Gian Domenico Peri nel suo "Negoziante", pubblicato a Venezia nel 1662: "le confetture e le conserve che si lavorano a Genova come le più eccellenti che si acconcino in alcuna parte del mondo, ed eccellentissime n'escono quelli di molti monasteri di monache, così li zuccheri rosati, l'agro di cedro, e altri medicinali".
Come si evince dalle parole del Peri, oltre alle botteghe specializzate, vi erano anche i monasteri tra i protagonisti di questa produzione locale.


8.8 Il Falstaff di Verdi

"Cari Klainguti, i vostri Falstaff sono migliori del mio".
Così recita un biglietto firmato da Giuseppe Verdi appeso al muro della Pasticceria dei Fratelli Klaiguti in Piazza Soziglia n. 98 (vi rimando alla pagina dedicata a le BOTTEGHE storiche per approfondire la sua storia). 
I Falstaff erano gustose brioches che ancora oggi, o meglio, ancora fino a poco tempo fa fino a quando questo negozio era aperto (in questo momento è in attesa di una riapertura che viene sempre rimandata), si potevano gustare in questo angolo dei vicoli.
Quello che per il resto del mondo è una famosa opera verdiana, insomma, a Genova è una prelibatezza per il palato!


8.9 La torta di Mazzini

Giuseppe Mazzini, dal suo esilio in Svizzera, in una lettera alla madre Maria, così descriveva un dolce che ancora oggi possiamo assaporare nei vicoli e che da lui prende il nome:
"(...) Prima di dimenticarmi, voglio attenere la mia promessa e soddisfare un mio capriccio. Eccovi la ricetta di quel dolce che vorrei faceste, e provaste, perché a me piace assai.
Traduco alla meglio, perché di cose di cucina non m'intendo, ciò che mi dice una delle ragazze in cattivo francese: pelate e pestate fine fine tre once di mandorle, tre once di zucchero, fregato prima ad un limone, pestato finissimo. Prendete il succo del limone, poi due gialli d'uovo, mescolate tutto questo, e movete, sbattete il tutto per alcuni minuti, poi sbattete i due bianchi d'uovo quando potete en neige, dice essa, come la neve - cacciate anche questo nel gran miscuglio, tornate e movere. Ungete una tourtiére, cioè un testo da torte, con butirro fresco, coprite il fondo della tourtiére con pasta sfogliata, ponete il miscuglio sul testo, su questo strato di pasta sfogliata, spargete sopra dello zucchero fino, e fate cuocere il tuto al forno.
Avete inteso? Dio lo sa. Mi direte poi i risultati: intanto ridete (...)"
(Alla madre, Grenchen, 28 dicembre 1835).
Tra i luoghi dove ancora oggi si può assaporare una fetta di questo tipico dolce genovese, non posso che consigliarvi la Pasticceria Liquoreria Marescotti in Via di Fossatello (di cui troavte la storia alla pagina de le BOTTEGHE storiche).


8.10 I biscotti del Lagaccio

Nella valle che dal cosiddetto "Lagaccio", ossia il lago artificiale voluto da Andrea Doria come riserva d'acqua per irrigare i suoi giardini e fornire acqua alle tante fontane degli stessi, scendeva verso il mare, furono installate numerose manifatture che sfruttavano la forza dell'acqua per far funzionare i propri macchinari. La più importante era una fabbrica di polvere da sparo, poi divenuto proiettificio e nell'ottocento caserma militare (quella che ancora oggi chiamiamo Caserma Gavoglio). Difronte ad essa vi era un tempo un panificio che, nel 1593, secondo la tradizione, iniziò a produrre particolari biscotti che presero il nome di "biscotti del Lagaccio". 
Oggi essi non vengono più prodotti in questa zona ma il loro nome è rimasto lo stesso e molti produttori dolciari genovesi continuano a sfornare questi tipici biscotti (i cui ingredienti sono farina, burro, zucchero e un pizzico di anice) che da generazioni accompagnano i genovesi a colazione e a merenda.


(continua...)



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14 commenti:

  1. Complimenti per il sito. Veramenrte interessante e correttamente documentato.
    Ti segnalo che anche davanti alla Chiesa dell'ex Monastero di Santa Chiara, a San Martino, c'è un bellissimo risseu seicentesco, con figure umane(raramente presenti nei risseu), di recente restaurato in qualche punto. Ma non è facile arrivarci.

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    1. Ciao! Grazie per le tue parole di apprezzamento e per la tua segnalazione. Conosco il risseu seicentesco delle Clarisse di San Martino con le sue scene bibliche: è uno dei più belli, insieme a quello delle Turchine ora a Palazzo Reale, presenti a Genova. Per il momento tuttavia la mia ricerca si ferma ai risseu presenti nei vicoli della Superba, ma se sforerò dal "mio" territorio sicuramente parlerò di questa splendido mosaico da te citato.

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  2. Complimenti per il sito e grazie per le segnalazioni interessanti. Se possibile darei volentieri una mano, neilimiti delle conoscenze e possibilità. Mario Chiapetto, Torino

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    1. Ciao Mario. Grazie per i complimenti. Il modo migliore di darmi una mano è segnalarmi luoghi dei vicoli di Genova poco noti da visitare ed inserir qui sul mio sito. Altro modo di darmi una mano è diffondere on line la conoscenza del mio sito. Grazie

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  3. Complimenti, bellissimo sito. Io avrei bisogno di lei. Mi hanno dato una rubrica su Casantica parlare delle scuole di ceramica in Italia. Siccome l'argomento sarebbe infinito e io ho due pagine dove devo cercare di attirare l'attenzione ma non stancare abbiamo pensato di limitare tutto alle mattonelle . Per quella di Savona e Genova ci limitiamo ai Laggioni . La pinacoteca di Savona mi fornisce alcune foto in alta risoluzione per quelle riguardanti la loro città, ma di Genova non ho nulla. Lei potrebbe inviarmi alcuni particolari o quelle che sono qui sopra visibili di palazzo Pinelli o palazzo di Negro, o s. Lorenzo.
    Basterebbero 2 o 3 foto perché non ho molto spazio . Grazie
    Anna De Vincenzo cell. 3475025651- www.artemaioliche.it

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    1. Cara Anna, La ringrazio per le Sue belle parole sul mio sito. Sarò lieto di poterLa aiutare nella Sua ricerca. Mi scriva una mail al mio indirizzo info@isegretideivicolidigenova.com.
      A presto
      Antonio

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  4. Complimenti per l'accuratezza del sito e delle informazioni,ai ragazzi della mia generazione queste cose non interessano piu' ormai

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    1. Grazie per le tue parole! Anche a molti ragazzi della mia generazione queste cose interessano poco, è un vero dispiacere!
      Per curiosità... quale è la tua generazione?

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  5. Grazie per questo viaggio artistico virtuale. Mi accorgo solo oggi di quanto è bello e caratteristico il campanile di S. Agostino!! Paola

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    1. Cara Paola, grazie a Te per le Tue parole! Eh sì... il campanile di Sant'Agostino è meraviglioso e lo è ancora di più quando il sole lo illumina dando alle sue piastrelle colori e tonalità sempre diverse!

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  6. Caro Figari
    nel corso di un recente viaggio a Pechino ho visitato il giardino di Marco Polo, così definito perché oggetto di visite da parte del Veneziano. Bene, una tipica finitura della pavimentazione a pavoni in pietre bianche su pietre nere che adorna i vialetti si chiama '' li-so'' e cioè 'pietre piccole'- Affido a chi ne sa più di me di dirmi se 'risseu' deriva da 'li so'' o viceversa. Se mi dici come inviarti le foto lo farò volentieri.
    Giordano Bruno

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  7. Bellissime immagini. Ancor piu che in Spagna gli azulejos si trovano in Portogallo. Non sapevo che Genova ne conservasse ancora degli esemplari. Grazie ancora. Maria

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  8. Piacevole come sempre lo sono le piccole sorprese. Grazie

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